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Il film della settimana – Brothers

Brothers
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Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Brothers.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Brothers? Ecco la risposta senza spoiler

Disponibile su Sky, Now e RaiPlay (a noleggio su Amazon Prime Video, Timvision, Apple Tv e Chili), Brothers apre uno spaccato nella vita di Sam Cahill, ufficiale decorato dei Marines che deve recarsi in Afghanistan per la sua quarta missione. Serio, responsabile, con una moglie – Grace – e due bambine, è l’orgoglio del padre Hank, veterano del Vietnam. Al contrario del figlio minore Tommy, che ha dilapidato il suo potenziale tra birra, criminalità e prigione. La presunta morte di Sam, però, dà una terribile scossa alla sua esistenza; allora decide di occuparsi di Grace e delle nipotine, finendo per creare un nuovo idilliaco equilibrio familiare. Il ritorno miracoloso di Sam romperà la situazione, portando i fratelli verso un emotivo confronto finale.

Intenso melodramma e remake del film danese Non desiderare la donna d’altri di Susanne Bier (di cui vengono smussati gli angoli più estremi e tolti gli spunti più leggeri per sottolinearne l’aspetto tragico e concentrarsi sui protagonisti), Brothers è una pellicola dalle molteplici sfumature: è denuncia sociale contro la guerra e le sue terribili conseguenze; dipinto crudo della disfunzionalità in una famiglia; analisi dei modi di elaborare un lutto e del concetto di identificazione; riflessioni su temi quali seconde possibilità, colpevolezza, responsabilità, perdono.

Attraverso l’ampio ricorso al montaggio alternato, trasformato in elemento simbolico, Jim Sheridan traccia le contrapposte parabole di due fratelli, che però finiscono per sovrapporsi e scambiarsi. Quello scontro è, infatti, la colonna portante di Brothers, sorretto da un trio d’attori in stato di grazia: Tobey Maguire (Sam, candidato al Globe per questo ruolo), Jake Gyllenhaal (Tommy) e Natalie Portman (Grace). Con l’assistenza di Sam Sheperd nei panni di Hank. Un film con un livello di sobrietà preciso, tale da essere drammatico ma mai pietistico o eccessivo, diretto e a tinte forti come il suo regista. Merita di esser visto e, una volta fatto, tornate qui a leggere la nostra recensione.

SECONDA PARTE: La recensione con spoiler di Brothers

Brothers è una profonda indagine dei rapporti familiari e, in particolare, di due fratelli che non potrebbero essere più diversi: Sam è un rispettato membro della comunità e dell’esercito, padre amorevole e marito devoto, che fa sempre la scelta più responsabile; Tommy è imprevedibile, anticonformista, poco incline al rispetto delle regole, un galeotto che non ha piani per il domani. La vergogna della famiglia, tradotta nell’astio che il loro padre Hank – uomo imponente tanto quanto afflitto, ottimamente interpretato da Sam Shepard – prova per lui; sentimento ricambiato da Tommy. Infatti il primo accusa il figlio minore di essere un poco di buono, quest’ultimo vede in Hank la causa dei problemi che angosciano Sam, convinto dal genitore a seguire una vita di rigida moralità militare.

È proprio la presunta dipartita di Sam l’evento cruciale che segna l’esistenza dei due fratelli, i quali avevano sempre cercato di mantenere buoni rapporti nonostante il padre.

Dopo la sua partenza Brothers si spacca in due mondi: l’americano tradizionale e rassicurante, l’afgano minaccioso e polveroso. Tuttavia, i colori non corrispondono a ciò che vediamo e contrastano con l’emotività dei personaggi. Sam vive momenti desolanti e violenti, eppure è immerso nelle tonalità calde del giallo e dell’arancione. Tommy e Grace, invece, che ritrovano la felicità nell’altro, sono circondati da colori freddi e ovattati, spesso ripresi in scene notturne illuminate in modo che le loro espressioni risaltino, per scavare nei luoghi più nascosti della loro anima: bellissima è, a questo proposito, la scena in cui sentono un vecchio nastro vecchio, confidandosi di come, da adolescenti, ascoltassero Bad degli U2 senza sosta. Trasportandoli in un bacio così desiderato ma proibito; l’inquadratura sulla fede della donna ricorda, a noi e a loro, il perché.

Basta uno sguardo tra i due, senza bisogno di tante parole, per capire che non possono. E sono proprio gli occhi ad avere un ruolo importantissimo in Brothers. Perché sì sa, gli occhi non mentono mai.

Brothers

Quando Sam torna a casa, interrompendo l’armonia che si era formata e l’identificazione del fratello con lui, Grace lo guarda e sa che c’è qualcosa che non va. Prova a confortarlo, vorrebbe condividerne il dolore, ma scalfire la corazza in cui si è chiuso l’uomo è un’impresa titanica. Però è anche Sam a non vedere più negli occhi di sua moglie. I traumi delle azioni compiute e subite in guerra l’hanno sconvolto nel profondo, mettendolo di fronte alla bestialità dell’essere umano, e ormai Sam non si sente più parte della sua famiglia che è andata avanti senza di lui. Al punto da diventare paranoico su Grace e Tommy, da non fidarsi di nessuno e dal vagare solitario la notte. Perché i suoi incubi sono diventati realtà; perché se chiude gli occhi sente le voci dei terroristi; perché quello che ha vissuto lo tormenta pure nella tranquillità del Midwest.

L’addestramento da soldato non l’ha protetto da ciò che ha passato, costretto a uccidere un suo compagno per non essere ucciso; ha bisogno di un aiuto che non riesce a chiedere, anche perché una delle cause del suo male deriva proprio dalle persone che ama. Grace, Tommy, persino suo padre, addirittura le sue figlie. Straziante è, infatti, udire la maggiore dirgli che era meglio se rimaneva morto, ne percepiamo tutto il dolore, sia da una parte che dall’altra (dopotutto, è solo una bambina sconvolta che viene costantemente ignorata e il palloncino è il suo modo per dire ai presenti che anche lei esiste).

Eppure, è aggrappandosi a loro, ai pochi punti saldi della sua esistenza che Sam potrà superare quel momento. In quell’abbraccio prima di Tommy che, nonostante lo guardi con spavento dopo il suo devastante crollo psicologico in casa, riesce solo per un secondo a far riposare gli occhi spiritati e folli di Sam; poi della moglie quando l’accompagna all’ospedale psichiatrico. Anche in questo caso le parole non servono, basta la struggente comunicazione non verbale, l’estrema connessione tra i personaggi, i silenzi che sottolineano emotivamente questi istanti.

Brothers

È la guerra la causa dei comportamenti dei personaggi in Brothers.

È la ragione per cui Hank elogia Sam e disprezza Tommy, per cui il primo è così traumatizzato, per cui il secondo decide di migliorare, che sconvolge la vita di Grace. Non ci sono vincitori, ma solo uomini ossessionati dal potere e posti l’uno contro l’altro da credenze che non fanno che dividerli in questo marcio mondo. Lì, dove essere buoni è impossibile e fare la cosa giusta ci costringe a rinunciare per sempre a noi. Come Sam, spogliato di sé stesso e privato della gioia di un’esistenza serena per un “bene superiore”. E allora Brothers ci pone un delicato interrogativo: chi è il sopravvissuto? È davvero il soldato che non muore e torna in patria? Forse. Ma senza più l’innocenza, la leggerezza e lo sguardo di un tempo: è il destino del reduce, preparato alla guerra ma non alla pace, abbandonato dalla propria nazione incurante del suo stato mentale.

Brothers apre così uno scorcio su quella vita e ci obbliga a guardare i suoi crudeli effetti sulla psiche umana, sulla personalità di un soldato, e quanto incida nei suoi legami.

E se fa terribilmente male è grazie a un regista capace di restituire tutta la tragicità di questa situazione e alle meravigliose interpretazioni dei tre attori protagonisti.

Natalie Portman è perfetta come moglie e madre che, dopo il dramma, ritrova la forza per sorridere nuovamente. Dolce, protettiva e desiderosa di protezione, rende ottimamente lo spaesamento della compagna di un reduce, che vorrebbe solo comprenderne la sofferenza. La sua performance è commovente, credibile, in sottrazione come quella del Tommy di Jake Gyllenhaal, creando due figure dolorose ma trattenute. Quest’ultimo dipinge con intensità il ragazzo problematico che diventa il faro che salva la famiglia del fratello; un personaggio complicato di cui riesce a rappresentare magnificamente la personalità, il cambiamento, soprattutto con i suoi espressivi sguardi.

Chi però supera ogni nostra aspettativa in Brothers è Tobey Maguire, interprete di Sam.

Conoscendo le carriere di Maguire e Gyllenhaal e dovendo assegnare le due parti, forse li avremmo invertiti. Insomma, il faccino da bravo ragazzo del primo e i ruoli stranianti e drammatici del secondo (come Donnie Darko o Brokeback Mountain) lasciano pochi dubbi. Tuttavia, Maguire è straordinario e toccante nell’attraversare le varie fasi della complessa psicologia di Sam: da tenero padre a coraggioso soldato, finendo nei panni del veterano instabile, ossessionato dal tradimento e mangiato vivo dai sensi di colpa. Trasmette esattamente la disperazione, il distacco e la vergogna del sopravvissuto. Il desiderio di uccidersi per porre fine alle sofferenze e la voglia di combattere, di non affogare. Di essere salvato da Tommy come lui fece quando da piccoli il fratellino cadde nel fiume.

Perché, in fondo, la guerra è una delle direttrici di Brothers, perfettamente bilanciata dall’intimità del dramma familiare. E il vero merito del film è di parlare di problemi pubblici attraverso quelli privati, di una famiglia qualsiasi lacerata dalla guerra e dall’elevazione della sua follia a cultura. Chiarendo in quel finale aperto, senza happy ending, che il nostro non è più il tempo degli eroi. Lasciandoci quindi spiazzati, a riflettere su quanto devastanti siano le conseguenze. Oggi più che mai.

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