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Caracas, un viaggio nella Napoli labirintica di Marco D’Amore – La Recensione

Toni Servillo in Caracas
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ATTENZIONE: l’articolo potrebbe contenere spoiler su Caracas, il film di Marco D’Amore appena approdato su Sky!!

Napoli è un labirinto. Un intricato dedalo di saliscendi, piani sovrapposti, frattaglie, guazzabugli, viuzze secondarie e accumuli di scarti. È una babele tossica, confusa e confusionaria, disordinata, caotica, incomprensibile. Una polveriera di contraddizioni, un cenacolo disaggregante di polarizzazioni. È estrema ed estremista. Strenuante e straniante. Disincantata e parossistica, tremenda e struggente. Non è un angolo di paradiso, semmai un codazzo di inferno. Terrificante e scomoda, eppure ammantata da un misterioso e perverso magnetismo. È in questa Napoli – che potrebbe essere anche Caracas – che cammina Marco D’Amore, figlio alienato di una terra di frontiera.

È Napoli che lo ha cresciuto, è Napoli che lo ha ammaliato. Punto di partenza e punto di arrivo, ma anche tragitto, itinerario accidentato, tappa obbligata.

Il Ciruzzo spietato, affascinante, amico e nemico di Gomorra è cresciuto e ha indossato la sua arte. Da prodotto a plasmatore, in cerca di una forma sua, di una identità differenziante. Dopo essersi cimentato nella regia con alcuni episodi di Gomorra, D’Amore ha inaugurato la sua carriera dietro la macchina da presa con L’immortale. Un film a cui ha impresso il suo marchio, che lo ha spinto in una dimensione artistica differente, ma che ha comunque in Napoli il suo punto di convergenza. Una Napoli torbida e sporca, manufatto dannato di un tempo dannato. Ed è sempre Napoli il fulcro artistico dell’altra opera registica di Marco D’Amore. Napoli magica è un itinerario nella bellezza senza fine della città. È un po’ l’altra faccia della medaglia, suona quasi come una forma di risarcimento a tutto il buio che va raccontato, ma che comunque non dice tutto.

caracas, scena di apertura del film

Lo stesso buio che avvolge le sequenze di Caracas, un film all’apparenza esotico, ma in realtà fosco e brutale.

Per la sua terza opera registica, Marco D’Amore ha scelto un romanzo dello scrittore Ermanno Rea come soggetto. Caracas è infatti l’adattamento cinematografico di Napoli ferrovia, un libro complesso e difficile, come complesse e difficili sono le dinamiche sulle quali si regge la città. Caracas è appena sbarcato su Sky Cinema e NOW (ecco le novità del palinsesto 2024/25). È un film che è stato accolto con un po’ di freddezza, forse per la sua struttura articolata, forse perché oscuro e di difficile interpretazione in ampi tratti. Non era facile adattare per il grande schermo un romanzo di Ermanno Rea. Napoli ferrovia, in particolare, è un’opera nevrotica e contorta, difficile da armonizzare in un film

Marco D’Amore ci ha provato lo stesso, con un risultato che non poteva convincere tutti. Caracas non è propriamente un film di intrattenimento. La sua finzione è reale, i marchingegni narrativi sono complessi e non mirano ad accaparrarsi il plauso del pubblico generalista. Si propongono invece di raccontare una storia dura, si mettono al servizio del regista e provano a tracciare punti di riferimento in un campo minato. Protagonista della storia è Caracas, un figlio disgraziato di una Napoli disgraziata. Caracas è un naziskin arrabbiato che vuole convertirsi all’Islam. Non ha una casa, non ha una famiglia, non ha dei punti cardine ad orientarlo. E perciò cerca una casa, cerca una famiglia, cerca dei punti cardine con cui orientarsi. All’inizio crede di averli trovati nell’ideologia fascista: camerata, squadrista, apparentemente disciplinata.

Marco D'Amore e Toni Servillo

Poi l’inganno viene fuori, il senso di appartenenza si sgretola e viene giù come le vetrine dei negozi assaltati con ferocia brutale dalle sue truppe di disperati.

Il mito di Dio, patria e famiglia è solo un inganno, una bugia raccontata per trovare una sistemazione in una società che marginalizza ed esclude. Allora Caracas sceglie di abbracciare l’Islam, una cultura che sembra accoglierlo, al posto di respingerlo. Il punto focale è però sempre lo stesso: trovare una comunità di cui sentirsi figlio, una luce alla quale poter ritornare dopo aver peregrinato nel buio. Accanto a questo figlio dannato, c’è un’altra figura comunque tragica a suo modo: si tratta di Giordano (Toni Servillo), alter ego di Ermanno Rea in Napoli ferrovia. Uno scrittore che è tornato a Napoli dopo anni di esilio volontario. Un artista vinto, uno sconfitto della vita. Comunista infervorato dalle grandi idee in gioventù, Giordano ha perso lo smalto di un tempo.

È andato ad ingrossare le fila dei disincantati dalla vita. L’inchiostro della sua penna si è asciugato, come il sangue nelle vene, l’ispirazione nelle tasche. Giordano conosce per caso Caracas e con lui cammina per i vicoli ciechi della città, riafferrando vecchi ricordi e provando sensazioni che sembravano spente, perdute per sempre. Caracas è un film rapsodico, che si nutre di frammenti e li sparpaglia senza un senso logico. È nevrotico, fa continui salti tra passato e presente, tra finzione e realtà. La visione di Caracas non può essere una lineare. Lo spettatore dovrebbe approcciarsi al film sapendo a cosa va incontro (un po’ quello che succede con Kubra, che ha a che fare con la religione e che va guardata avendo fede). Uno dei motivi per cui una certa fetta di pubblico ha accolto con scarso entusiasmo il film è che si è ritrovato di fronte un’opera veramente contorta.

marco d'amore

Caracas andrebbe guardato sospendendo i propri giudizi e le proprie certezze, proponendosi di andare oltre i metri di giudizio convenzionali e abbandonandosi al flusso poco lineare della visione.

D’altronde, la realtà nella quale viviamo è altrettanto frammentaria. Si tratta di una realtà complessa, che non si afferra in una volta. Lo dicono anche i personaggi del film: “a volte è meglio non sapere le cose“, perché le cose sono complicate. Caracas si avvicina più di quanto crediamo alla realtà, al nostro modo di percepirla e farne tesoro. Questa realtà è discontinua e irregolare, ergo i personaggi che la abitano non potrebbero essere in alcun modo uniformi e armonici. Caracas è un labirinto, una babele nella quale tutti ci sentiamo persi. È forse questo che voleva dirci Ermanno Rea quando ha scritto Napoli ferrovia. E Caracas cerca di riflettere anche nella struttura questa sensazione di disorientamento di fondo.

Il film è un labirinto già a partire dalla sua struttura. È impostato su uno schema circolare, non ha neanche un inizio e una fine. È piuttosto un flusso disarmonico che da un punto si sposta all’altro, a volte anche senza coerenza. La trama è spezzettata da ampie parti surreali, segmenti onirici che cancellano il confine tra finzione e realtà, che ci confondono e che ci fanno girare la testa. Ed anche scenograficamente Caracas diventa un labirinto. Napoli, con i suoi vicoli secondari, le strade buie e avvolte dalla foschia, gli ammassi di umanità che popolano le sue strade, è il labirinto perfetto per ambientare questa storia imperfetta. Tutti ci sentiamo persi in Napoli ferrovia. Tutti ci sentiamo persi in Caracas. E si perde solo chi è alla ricerca di qualcosa.

Toni Servillo in caracas

Cosa si cerca veramente in un labirinto? Una via di fuga? La redenzione? La speranza?

La domanda rimane sospesa fino alla fine e oltre. Caracas parla solo di necessità di esistere e resistere, non dà indicazioni su come farlo. Non è la disciplina di un’ideologia fascista ad offrire risposte, né la fede cieca in un Dio straniero. Questo film parla di sensazioni molto più profonde, incavate e insabbiate sotto la polvere di una società post-ideologica nella quale è difficile trovare se stessi. Caracas è anche un film estremo ed estremista. Nello stile e nella caratterizzazione dei personaggi. Nella struttura e nella fotografia. D’altronde parla di un personaggio che oscilla tra due estremismi, il fascismo e l’Islam, che raccontano di culture completamente diverse, ma che poggiano le basi sulla comune necessità dell’individuo di trovare delle risposte.

L’estremizzazione, quando assorbita e incanalata nell’inconscio, può diventare nevrosi. Viene immagazzinata come inquietudine e rifiuto della realtà. Siamo, dopotutto, nell’epoca che ha segnato la devitalizzazione delle vecchie ideologie. Camminiamo in un cimitero di idee morte e sepolte, sostituite da sensazioni indecifrabili che ne hanno pian piano preso il posto. Caracas è un personaggio che cerca la sua idea, la sua pace. Un po’ come forma di redenzione, un po’ come risposta al caos della vita. Tradurre queste suggestioni e questi stati d’animo in un film non era un’impresa semplice. E infatti il risultato non ha accontentato tutti. Caracas è un film che può piacere solo se si è disposti a calarsi nel labirinto in cui è ambientato. A sacrificare la ricerca di linearità per la possibilità di perdersi.