Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piattaforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Carnage.
PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Carnage? Ecco la risposta senza spoiler
Disponibile su Sky, Now, Timvision e Infinity (a noleggio su Chili), Carnage si apre con questa musica allegra, che accompagna dei bambini che giocano in un parco. Mentre la camera si avvicina ai soggetti, si nota che invece stanno litigando e uno dei due finisce per colpire l’altro con un bastone. Da quel momento in poi, l’ambientazione si sposta per tutta la durata del film nell’appartamento dei genitori del fanciullo leso, Penelope e Michael Longstreet. Si incontrano con la madre e il padre dell’altro bambino, Alan e Nancy Cowan, per chiarirsi sull’accaduto e trovare una soluzione al problema. Sin da subito il clima è nervoso, ma col procedere dei minuti, quella barriera emotiva fatta di cortesia e falsità si sgretola, i pregiudizi, le frustrazioni e le differenze sociali emergono. E lo scontro sarà inevitabile.
A Roman Polanski è servita una sola location e quattro notevoli attori – i Longstreet sono Jodie Foster e John C. Reily, i Cowan Kate Winslet e Christoph Waltz – per creare una dramedy di successo, che punta il dito contro l’ipocrisia sventolata dalle società che si ritengono civili, che pensano di nascondere le sue oscure verità dietro un trucco pesante, tanto da convincersi di essere superiore alle altre. È la maschera moralista sotto la quale ribolle l’impulso alla violenza e la vanità dell’ego; una facciata che emerge dalle azioni e dalle parole dei quattro genitori. Polanski rappresenta bene il clima tensivo attraverso le inquadrature, i primi e mezzi piani che valorizzano il lavoro espressivo eccezionale degli interpreti, intrappolandoli nell’immagine così come i loro alter-ego filmici sono chiusi in quella casa e in quella falsa diplomazia.
In maniera graduale si raggiunge il culmine del climax emotivo di un film duro, senza mezze misure e che mette a tratti a disagio, continuamente e intelligentemente interrotto da espedienti che allentano la tensione e animano la nostra attesa. Per scoprirli, non vi resta che addentrarvi nella seconda parte del pezzo, dove verrà approfonditamente analizzato questo gioiellino chiamato Carnage.
SECONDA PARTE: L’analisi (con spoiler) di Carnage
Come abbiamo menzionato precedentemente, Carnage è incentrato su quattro personaggi totalmente diversi tra di loro che provano a risolvere civilmente la spiacevole situazione creatasi tra i loro bambini. È Penelope Longstreet ad aver avuto l’idea di questo incontro. Si presenta come una donna liberale, progressista, intenta nella stesura di un libro sul Darfur e dalla quale emerge la volontà di educare i figli in maniera mirata e precisa. All’apparenza si dimostra cordiale ma, fin da subito e credendo di essere moralmente inattaccabile, lancia frecciatine velenose verso i Cowan – e i lineamenti duri e tirati di Jodie Foster sono perfetti per questo personaggio.
Più la conversazione va avanti nel film di Polanski, più fuoriesce la vera Penelope.
Vorrebbe essere diversa, tenta di elevarsi culturalmente attraverso un perfezionismo esagerato e interessandosi in maniera ossessiva a ogni tipo di argomento: dalla letteratura all’arte, passando per la psicologia, la scrittura e l’educazione. Non accetta che qualsiasi cosa, come ciò che è accaduto al figlio, possa sfuggire dal suo serrato controllo; non concepisce compromessi, battute o errori di alcun tipo. Ma soprattutto, ha questa rabbia repressa datale da un’esistenza che detesta e di cui si vergogna. Suo marito, infatti, è un rozzo grossista di sciacquoni che non può regalarle la vita elegante che tanto desidera. Però, Michael Longstreet è un uomo accogliente, bonario, che cerca di essere accomodante con i Cowan e di invitare a parlare garbatamente senza imporsi sull’altro.
Anche la Nancy di Kate Winslet, consulente finanziaria con uno sguardo apatico e debole, tenta di mantenere una certa calma e cordialità, pur apparendo irritata dal comportamento del marito, quell’Alan che incarna la perfetta controparte della Penelope di Jodie Foster.
Il Christoph Waltz di Bastardi senza gloria dà vita a un ricco avvocato di successo, apparentemente disinteressato da quello che sta succedendo tra quelle mura perché sempre attaccato al cellulare. Questo è uno degli espedienti narrativi più efficaci di Carnage, in grado di spezzare l’azione grazie al quel suo continuo squillare che avviene in tempi perfettamente funzionali alla narrazione. È vero che gli avvocati devono affrontare questioni delicate e urgenti, ma in un momento come quello Nancy si aspetta la totale attenzione di suo marito. Senza contare che deve difendersi da sola dalle accuse poco velate dei Longstreet, soprattutto riguardo alla scarsa educazione del figlio.
Alan, però, dotato di una glaciale ironia, analizza con cinismo e razionalità la situazione davanti ai suoi occhi, non sopportando le tendenze drammatiche e rigidamente morali della Penelope di Jodie Foster, che a scherzare o sdrammadizzare sull’accaduto proprio non ne vuole sapere. E saranno loro, così distanti e che non si potranno mai comprendere, a trascinare nel baratro i loro coniugi.
Infatti, inquadrare questi personaggi è fondamentale perché Carnage non farà altro che spogliarli dalle loro maschere e far emergere quello che sono davvero. E lo fa attraverso il conflitto, rappresentandolo a tutto tondo.
I convenevoli fanno presto a trasformarsi in battibecchi in cui i quattro si rinfacciano le azioni dei rispettivi figli, per poi passare alla critica dei metodi educativi e ai giudizi sulle vite lavorative altrui. La visita è sul punto di concludersi più volte ma, quando i Cowan fanno per andarsene, c’è sempre uno scambio di parole che li riporta nell’appartamento, a riprendere in mano la conversazione che, ogni volta, si fa sempre più accesa. È un altro degli espedienti usati da Polanski, quello dell’abbandono dell’abitazione, che piano piano distrugge il muro di ipocrisia e falsità e che separa le due coppie e i costumi buonisti che tutti, soprattutto le donne di Kate Winslet e Jodie Foster, hanno prontamente indossato.
Le coppie coniugali scoppiano e si riformano in questi continui cambi di alleanze. Fuoriescono crisi esistenziali, problemi matrimoniali e di ogni tipo; si toccano temi importanti come l’educazione, lo scontro tra culture, le classi sociali, le disparità economiche e la violenza; emerge in particolare la contrapposizione di genere, fase in cui le due donne e i due uomini si alleano, quando fino a pochi secondi fa erano su fronti opposti. Ricordiamo che la situazione degenera quando Nancy, in un momento parecchio teso, rigetta la torta di Penelope sulle riviste preferite di quest’ultima, rovinandole. Inoltre, c’è un riflettore puntato sull’alienazione della tecnologia, quando Kate Winslet getta il telefono del marito nell’acqua e, per la prima volta, l’uomo perde il controllo.
Attraverso il raggiungimento del punto di rottura fisico e mentale dei protagonisti e il loro continuo cambio di fazione, il film mette in luce l’estrema fragilità che accompagna l’essere umano, legato in maniera imprescindibile alla difesa del suo ego.
In più, bisogna considerare che quello tra di loro è uno pseudo-conflitto: pur avendo abbondantemente già risolto il problema tra i loro figli all’inizio dell’opera, continuano a battibeccare non perché ci sia una reale ragione di fondo, ma semplicemente perché non riusciranno mai a trovare quella risoluzione emotiva che cercano a causa delle loro enormi differenze caratteriali e del diverso modo di intendere la vita. E lo fanno trovando sempre un nuovo pretesto per litigare, dimostrando quanto peso abbiano davvero le parole sulle persone, che in Carnage suonano come una dichiarazione di guerra. Anche se la prima parolaccia arriva a metà film, segno che il velo si sta squarciando e la vera natura dei quattro sta per emergere. Ne rafforza il concetto l’appartamento dei Longstreet, dove spiccano il bianco e il nero, i mobili sembrano provenire direttamente da una pubblicità di case e altri particolari mostrano l’altezzosa sicurezza in sé di Penelope.
Altro elemento che esaspera il conflitto è la totale convinzione dei protagonisti che, al di là dei loro valori, la loro visione del mondo e i loro comportamenti siano quelli migliori e portatori di verità. Di conseguenza, non avendo una mente flessibile e predisposta all’altro, l’ascolto dei quattro è goffo, forzato e, quindi, non permette il ridimensionamento e la rilettura del conflitto. E, infatti, il messaggio pedagogico del film è significativo e fa capire che cosa nasconde davvero quella lite violenta tra i bambini: è nei comportamenti perbenisti e ipocriti delle famiglie borghesi, tutte apparenze e dove si finge la verità, che si annida l’origine del male.
Perlomeno in Carnage i quattro riescono a buttare fuori il veleno e il rigetto dell’altro – e della verità – viene incarnato dal vomito della Nancy di Kate Winslet.
L’alcol li aiuta in questo, cancellando pudore e ipocrisia e, paradossalmente, rendendo l’atmosfera più distesa perché nessuno ha più voglia di mentire, ma tutti desiderano liberarsi delle loro rabbia interiore. E nel finale la camera ritorna in quel parco giochi dei primi minuti, avvicinandosi lentamente a quei fanciulli che, un tempo nemici, ora si divertono insieme come se niente fosse. I genitori, invece, sono svuotati per essersi confrontati con i demoni che logorano la loro esistenza. Mentre viene da chiedersi se noi potremmo mai essere così malvagi e senza cuore o odiare qualcuno così intensamente, capiamo anche che l’amicizia e l’innocenza dei bambini non andrebbe mai persa e, da adulti, non dovremmo trasformarli in complessità e colpa. Ed è questa la morale, se proprio ne vogliamo trovare una, di un’opera che ci lascia alla fine con una complessa questione: ma alla fine, chi è davvero la vittima e chi il carnefice?