ATTENZIONE: SONO PRESENTI SPOILER IN TUTTI I FILM DI CHRISTOPHER NOLAN TRATTATI NEL PEZZO
Christopher Nolan ha segnato l’immaginario cinematografico degli ultimi vent’anni e, se dovessimo descrivere la sua filmografia con una parola, non avremmo dubbi sulla nostra scelta: tempo. Il regista ha un rapporto così profondo con esso da renderlo una presenza costante nelle sue opere, elevandolo spesso a protagonista dei suoi universi dove assume ogni volta una forma diversa. Ad esempio può essere un enigma da risolvere, un ricordo che segna per sempre una vita, una dimensione da piegare per connettere due cuori lontani, un nemico da combattere per salvare sé stessi, gli altri o l’umanità intera.
Gli stessi personaggi dei suoi film sono chiusi nelle maglie del tempo, vivendo in un momento che non è esattamente quello presente. Le narrazioni non sono mai cronologicamente lineari, ma reversibili, alternate, a spirale, all’indietro, piene di flashback e flashforward; in questo modo, proviamo esattamente quello che i personaggi stanno attraversando e diventiamo anche noi protagonisti delle pellicole di Christopher Nolan. Persino della prima, dimenticata eppure già intrisa di quella temporalità che è il cardine della sua poetica. Following è un noir a basso budget, girato in bianco e nero e con attori alle prime armi, in cui il regista gioca con il tempo attraverso numerosissimi flashback e un montaggio che ci fa immedesimare nella mente contorta e ossessiva di questo scrittore intento a redigere il suo libro, ma che finirà per essere vittima di un ladro.
Following è la pietra grezza su cui poggia il film con cui Christopher Nolan si è rivelato al mondo: Memento.
Il tempo caratterizza quest‘opera, perché incide direttamente sulla dimensione scenica e sul protagonista: infatti, Leonard Shelby è affetto da amnesia anterograda che non gli permette d’immagazzinare ricordi per più di quindici minuti, bloccandolo in quel lasso temporale. Eppure, per quanto possa apparire bizzarro, la sua percezione del tempo è l’unica cosa vera della sua vita. Limitante sì, ma reale. Ecco che, attraverso un montaggio spiazzante e al contrario e il cambio di cromia nei flashback (che sono in bianco e in nero), Nolan trasla la condizione di Shelby all’intera struttura di Memento. Lo organizza in sequenze da un quarto d’ora, spezzando il racconto lineare solo per ricongiungere tutti i suoi rami nel finale, dando così unità all’intera trama. Contenuto e contenitore si mixano sublimamente facendoci provare lo stesso disagio e disorientamento del protagonista. E non solo: Memento è anche una profonda riflessione sul ricordo, il nostro appiglio nel caos dell’esistenza, ma compagno ingannevole e facilmente corruttibile.
Similmente a Memento, il tempo è caratterizzante anche in The Prestige, sebbene non sia così invalidante per i due protagonisti e per noi. Grazie al montaggio che concatena i flashback tra loro e al presente, Christopher Nolan costruisce un puzzle intricato che dobbiamo ricostruire, pezzo per pezzo. Così, il gioco di prestigio non è solo nella trama, ma anche nella struttura di The Prestige. Infatti, i tre atti del film sono suddivisi nello stesso modo in cui il mago organizza il suo numero: prima c’è la promessa, poi il colpo di scena e infine il prestigio. Assistiamo al trucco – che è davanti ai nostri occhi per tutto il tempo, solo che non abbiamo guardato attentamente – che infine viene svelato, contraddicendo le convenzioni della magia. Allo stesso modo, però, quando l’illusione termina, si ritorna all’ordinarietà della vita quotidiana. Un po’ quello che succede col cinema che, proprio attraverso la magia, viene omaggiato da Nolan in questo suo sottovalutato film.
Il tempo non è solo strutturale nei film di Christopher Nolan, ma anche dilatato. Come in Insomnia e Interstellar.
Connotando il tempo sul piano scenico piuttosto che renderlo un elemento caratteristico del protagonista o della narrazione, lo espande all’estremo in Insomnia. L’imprevedibilità mostrata in Memento si arresta nell’eterno presente di quell’Alaska in cui il sole non cala mai, scombussolando i ritmi veglia/sonno e inceppando la circolarità tra giorno e notte. Così, pur essendo più lineare eccetto alcuni flashback, il tempo diviene immobile, fermo, bloccato, costringendo il Will Dormer di Al Pacino – e noi – a confrontarsi con demoni e ricordi. Dormer, infatti, fatica a concentrarsi in quella luce infinita, provocandogli l’insonnia che fa perdere lucidità a lui e, di conseguenza, alla trama stessa.
L’idea del tempo in Insomnia viene potenziata sul piano scenico-narrativo in Interstellar. La mancanza dell’alternarsi tra giorno e notte si trasforma nella mancanza di tempo da trascorrere con le persone a cui teniamo. È, infatti, l’amore puro e incondizionato che lega un padre e una figlia il collante del film. Il desiderio di Cooper di salvare Murphy e di tornare da lei lo guida in questa Odissea nell’universo, nelle pieghe dello spaziotempo che lo porta a quell’ultimo commovente incontro con l’anziana figlia nel finale. Interstellar, però, va anche oltre. Il tempo non viene più considerato solo nel suo scorrere, il regista non si limita a manipolarne le linearità. Diviene una dimensione concreta, percepibile, solida ed esplorabile. Cooper lo attraversa letteralmente, ne trascende i confini e se ne libera per tornare da Murphy, diventando protagonista assoluto i cui effetti si riversano sui personaggi e sulla trama di Interstellar.
È la teoria della relatività portata alle estreme conseguenze; quella che, in un certo senso, aveva già affrontato in Inception.
Se nella realtà certe volte un minuto sembra durare un’eternità o un giorno vola così velocemente che non ce ne accorgiamo, nei sogni queste sensazioni si amplificano. In Inception viaggiamo proprio nei sogni assieme alla squadra del Cobb di DiCaprio, senza comprendere appieno se quelle sequenze siano davvero oniriche o reali. Per orientarci, bisogna dire che ci sono tre livelli di sogno in Inception, ognuno con la sua temporalità, e più si va in profondità, più il tempo aumenta: come dice Cobb, 10 ore reali sono una settimana nel primo livello, sei mesi nel secondo, 10 anni nel terzo, persino l’eternità nel quarto. E, per renderne l’idea, viene usato un rallenty esasperato. Christopher Nolan dunque si serve della percezione distorta che abbiamo del sogno e la impianta nella struttura di Inception. Erto ancora a personaggio, il tempo rappresenta nuovamente anche il ricordo, in questo caso di un amore perduto. Beh, la mente umana però sa ingannarci e quella trottola ci pone un’importante domanda: cos’è davvero la realtà? Il regista ci invita, ancora, a non fidarci dell’apparenza, mentre siamo intenti a risolvere il suo ennesimo e meraviglioso rompicapo.
La relatività del tempo la troviamo anche in Dunkirk. Christopher Nolan non ci disorienta più con mille scatole cinesi temporali alla Inception, ma non per questo il tempo non è centrale in Dunkirk. Anzi. Il regista lo divide in tre unità narrative, a cui corrispondono tre ambientazioni differenti (la terra, l’acqua e il cielo) e tre archi temporali diversi: una settimana, un giorno, un’ora. Il montaggio salta tra le varie narrative senza linearità, l’unità di tempo viene frammentata senza perdere mai la sua armonia. Esso, però, diviene il nemico da sconfiggere per i soldati e ciò viene sottolineato dal ticchettio dell’orologio in sottofondo che incarna, facendosi presenza fisica, i diversi modi di vivere il conflitto – l’attesa di andarsene, l’ansia di non farcela, l’altruismo di chi vuole dare una mano.
Il tempo è parte integrante persino nella trilogia del Cavaliere Oscuro. Segna l’intera parabola di Bruce Wayne, a partire dal momento in cui i suoi genitori vengono assassinati e la sua vita cambia radicalmente. È anche l’ostacolo che deve superare per battere Joker e Bane; infine, l’opportunità per imparare da Ra’s al Ghul e per rinascere. Che sia alla fine de Il Cavaliere Oscuro o con Selina Kayle in quel di Firenze.
E per adesso, la summa di tutto quello che rappresenta il tempo per Christopher Nolan, che ci piaccia o no, è Tenet.
Quasi come fosse un best of della sua filmografia, riprende le sperimentazioni temporali di Memento, le dilatazioni di Interstellar, i rallenty e i ripiegamenti di Inception, le linee parallele di Dunkirk, la fanta-magia di The Prestige, la dimensione politica e di blockbuster di Batman. Il tempo, poi, è sia nemico da sconfiggere che alleato prezioso. Cercando di essere più semplici possibili, Tenet è basato sull’inversione temporale. Praticamente di quegli oggetti, persone e altro è stata invertita l’entropia, ovvero la misura del disordine presente in un sistema fisico, in modo che la loro temporalità sia al contrario: ad esempio, i proiettili, invece di uscire dall’arma, tornano nella pistola da cui sono stati sparati nel passato. Il processo d’inversione dell’andamento ordinario delle molecole (ad esempio teorizzato da Feynman nella teoria della casualità inversa, citata in Tenet) è possibile attraverso una fissione nucleare potente, tale da permettere una sorta di viaggio nel tempo: non si torna nel passato nel modo in cui la fantascienza ci ha insegnato, ma andando in senso inverso, mentre il mondo continua a camminare verso il futuro.
A viaggiare controcorrente non sono solo gli oggetti e le persone, ma anche le azioni, i dialoghi al contrario e l’intero arco narrativo del protagonista. Già perché, dopo quella mossa a tenaglia in cui sono riusciti a sconfiggere il nemico e salvare l’umanità, si scopre che quello è solo l’inizio: lui fonda Tenet e predispone tutto in modo che il sé del passato operi esattamente così. Ecco che Tenet riguarda non il cambiare il passato o il futuro, ma l’agire affinché tutto avvenga come da programma. E lo stesso movimento del tempo va ricercato nel modo in cui sono create le immagini. Esse vengono addirittura girate al contrario e magari riavvolte in avanti, mentre l’azione va in due direzioni diverse nella stessa sequenza. Si sovverte la regola base in cui tutto va in avanti anche nel passato. Perché il movimento, adesso, è anche all’indietro. E non si era mai visto prima di Tenet.
Arrivati alla conclusione del viaggio nella filmografia di Christopher Nolan, senza seguire la cronologia lineare esattamente come fa il regista, possiamo comprendere il perché nessuno abbia mai saputo usare il tempo come lui, mettendolo al servizio di opere meravigliose, personaggi profondi e intensi, trame originali e indimenticabili, per sempre scolpite nella nostra mente e nella storia della settima arte. In attesa di vedere che cosa combinerà con Oppenheimer. E noi non vediamo l’ora di scoprirlo.