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10 film da vedere per riscoprire il cinema sudcoreano

5) In Train To Busan il rischio di non sopravvivere diventa certezza

Descriviamo una pellicola horror d’azione sudcoreana del 2016 diretta da Yeon Sang-ho e interpretato da Gong Yoo, Jung Yu-mi e Ma Dong-seok. Il film è stato presentato in anteprima nella sezione Midnight Screenings del Festival di Cannes di maggio. Ad agosto il film ha stabilito un record come primo film coreano a superare 10 milioni di spettatori. Innumerevoli sono i grandi film horror del cinema sudcoreano, ma questo è considerato tra i migliori del sottogenere. Il prodotto è ambientato principalmente su un treno da Seul a Busan mentre un’apocalisse zombie scoppia improvvisamente nel Paese minacciando la sicurezza dei passeggeri. L’obiettivo del regista, che dai corti è passato ai lungometraggi nel 2011 con Seul Station, era quello di ibridare lo zombie-movie apocalittico con il tipico film ambientato su un treno.

In questo modo ha sfruttato la dimensione chiusa e asfissiante dei vagoni e il moto costante del mezzo. Così ha abilmente ribattuto con originalità a quella tradizione cinematografica che va da La signora scompare di Hitchcock fino a Snowpiercer (qui un elogio alla serie) di Bong Joon-ho. Viene descritto con efficacia e allo stesso tempo delicatezza il tema dei passeggeri che disperati devono fare fronte comune contro un pericolo improvviso. La contaminazione è perenne mentre il bene e il male si mescolano con una prevalenza del secondo.

Non ci si può più fidare di nessuno. Sullo sfondo, inoltre, osserviamo un Paese dilaniato per questa calamità e per tutto il dolore che ha già storicamente subito. È inevitabile il riferimento all’epidemia della Mers e al rapido sviluppo industriale che ha progressivamente ampliato il divario socio-economico tra la popolazione coreana. Questa ha dato vita a una società troppo individualista e improntata al rampantismo incarnato proprio nella figura del protagonista.

Nonostante si tratti di un genere inusuale nel cinema sudcoreano, il regista dimostra di conoscerne le strategie narrative

Questo dimostra anche la sua malcelata intenzione di renderlo accattivante e apprezzabile da tutti i veri appassionati di questo universo. Non si perde quindi in lunghi spiegoni sulla cornice contestuale comune a tantissimi film simili. Si affida inoltre alla convinzione che il pubblico avesse già visto Seul Station, di cui Train to Busan rappresenta appunto il sequel autonomo. Pertanto Yeon Sang-ho concede solo una concisa premessa che mostra un cervo investito che si rialza.

L’intenzione è quella di lasciare una libera interpretazione sulle cause scatenanti del dramma in atto. Molto meglio permettere un più ampio respiro alle dinamiche che coinvolgono i personaggi succubi di una tale tragedia senza preavviso. La macchina da presa ostenta ogni loro contorto movimento, che sia esso di attacco o di difesa, tale da contribuire ad un Baccanale senza poesia e speranza di salvezza. Gli zombie costituiscono infatti una massa atomizzata a cui si oppone il gruppo di passeggeri. Questi infatti cercano con tutte le proprie forze di riscoprire il valore della solidarietà tra umani in una situazione di emergenza. Anche lo spettatore si allinea spontaneamente alle sensazioni dei malcapitati, pur non conoscendo a fondo la loro connotazione. La fine sembra infatti così vicina che il supporto morale e lo sprone a metterci tutte le energie rimanenti sembrano l’unico espediente possibile per ritardare la tragica conclusione.

6) Ferro 3 – La casa vuota è un viaggio tra la solitudine e l’amore di tre anime

Abbiamo di fronte un drama del 2004 diretto da Kim Ki-duk e uno dei film meglio riusciti del cinema sudcoreano. La pellicola, vincitrice del Premio speciale per la regia, è stata presentata alla 61ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, in concorso come film a sorpresa. Il regista, prima di giungere alla pittura, suo più grande amore, si è avvicinato al cinema solamente negli ultimi anni senza la minima esperienza. Di conseguenza una sua opera è sempre una scoperta artistica magica e addirittura sensoriale. Abbandonata l’atmosfera bucolica ed estasiata della favola per adulti Primavera, estate, autunno e inverno e… ancora primavera, il regista coreano torna ai giorni nostri per raccontare il tema della solitudine e dell’amore.

Tae-Suk è un giovane che trascorre le sue giornate entrando nelle case lasciate vuote occasionalmente dai proprietari. Dorme sul divano, si fa la doccia, lava i panni, aggiusta gli oggetti che non funzionano, gioca a golf e si scatta fotografie da solo con la sua camera digitale. Tutto con una leggerezza del tutto disarmante. Un giorno, entrando in una casa, si imbatte in una giovane donna di nome Sun-hwa che dei segni di maltrattamenti sul viso. E una volta scoperto che la causa risale ai continui litigi con il marito, la prenderà sotto la sua ala per vagare insieme nelle case degli altri. Condividendo dunque questa stramba esperienza, il loro nascituro rapporto di amicizia si trasformerà lentamente in amore. Loro malgrado, però, la relazione clandestina viene interrotta da un arresto del ragazzo nella prigione di Stato a causa di una denuncia.

La giovane donna è costretta a tornare nuovamente dal marito-carnefice

Ferro 3 descrive la solitudine dei protagonisti che comunicano senza parlare, tanto da far emergere a contrasto le urla stridenti di chi li circonda. A sostituire il dialogo sono i silenziosi e sinuosi movimenti di Tae-Suk, tali da renderlo quasi una creatura eterea e priva di sostanza terrena. È la curiosità infine a far incontrare queste due anime sole e infelici.

Questa dà origine a un sentimento rasente la perfezione dotato di una estetica candida ed alienata dalla società corrotta. ll titolo stesso del film rimanda al golf, lo sport per persone facoltose sul quale il regista si espone. “Ho voluto io stesso che il titolo internazionale del film fosse 3-IRON. Chi gioca a golf sa che la mazza n. 3 è quella meno usata. Immaginatela infilata in una costosissima borsa da golf… In questa immagine vedo la metafora di una persona abbandonata o di una casa vuota“.

Ecco allora che nell’opera alcune inquadrature si caricano di un significato metaforico, diventano simboli di qualcos’altro, coerentemente con la natura polisemantica del cinema sudcoreano. La ripresa iniziale, che mostra una statua di donna posta dietro a una rete colpita ripetutamente da palline da golf, è dunque la sintesi dell’esistenza di Sun-hwa. L’ultima immagine invece, senz’altro la più enigmatica, ritrae l’invisibilità dei protagonisti fino alla loro incorporeità. L’unione dei corpi appare infatti come l’unione di due masse che non si sommano ma che si fondono secondo ataviche soluzioni filosofiche e spirituali.

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