7) The Host è il monster movie che non ti aspetti sullo sfondo del cinema sudcoreano
Non per niente si parla di un’interessante creazione del regista Bong Joon-ho, interpretata da Song Kang-ho, Byun Hee-bong e altri figure note dello star system locale. Dopo il successo del regista Memories of Murder, The Host era molto atteso dalle masse. È stato distribuito su un numero record di schermi nel suo paese d’origine nel luglio del 2006. Alla fine delle proiezioni, a novembre, erano stati venduti 13 milioni di biglietti, rendendolo all’epoca il film sudcoreano con il maggior incasso di tutti i tempi. Ha vinto numerosi premi tra cui Miglior Film agli Asian Film Awards e al i Blue Dragon Film Awards. La storia ruota intorno ad un mostro marino, la cui nascita è probabilmente imputabile allo smaltimento abusivo di agenti inquinanti da parte di un’equipe di scienziati nel fiume Han a Seul.
La feroce creatura comincia così ad attaccare e uccidere i villeggianti intenti a godersi una serena vacanza. A primo impatto la trama sembra piuttosto banale. Eppure, il film evita i cliché rendendo protagonista un gruppo di eroi davvero insolito e iniettando al film una dose inaspettata di black humor. Man mano che passano i minuti, infatti, lo spettatore si rende conto di assistere a un altro tipo di spettacolo. Il brillante script permette infatti al film di cambiare registro narrativo con magistrale rapidità, tanto da sfrecciare tra commedia, tragedia, azione e tematiche politico-sociale.
Non troppo celati sono infatti molti punti scottanti del cinema sudcoreano sull’epoca contemporanea
Tra questi emergono l’ambiente e la sua distruzione da parte dell’uomo, l’onnipresenza militare americana e il ruolo politico della Corea del Sud nello scenario globale. Rilevante e d’effetto è dunque la speranza connaturata nella povera famiglia, vittima di una grande perdita e di un sistema che fa di tutto per non tutelare i più deboli.
Bong Joon-Ho, oltre che abile sceneggiatore, si dimostra essere un visionario regista capace di proporre sequenze esaltanti suffragate dall’eccellenza degli effetti speciali propria di Weta. Aggiungiamo in questa variegata insalata anche la peculiarità della colonna sonora e l’efficiente interpretazione di tutto il cast! Tali da far raggiungere l’obiettivo finale a pieni voti. Pertanto, può sembrare provocatorio definire quello sembra avere la patina del B-movie un capolavoro, è vero. Tuttavia possiamo declamare a gran voce che le singolari intuizioni incastonate in questo scenario già visto, lo hanno reso uno dei film del cinema sudcoreano più meritevoli del plauso di tutto il mondo.
8) Burning diventa l’immagine dell’umanità subdola dei nostri giorni
Questa volta analizziamo un protagonista del grande cinema sudcoreano diretto da Lee Chang-dong e basato sul racconto breve Granai incendiati di Haruki Murakami. Primo film diretto da Lee in otto anni, viene presentato al Festival di Cannes 2018, dove ha gareggiato per la Palma d’Oro finendo per ricevere il Premio Internazionale della Critica. Ha ottenuto un elogio della critica quasi universale, in particolare per il suo senso di disagio, la narrativa ambigua e le prestazioni registiche. Per questo è diventato il primo film coreano ad arrivare alla rosa dei nove film finali, premio che Parasite ha vinto alla cerimonia dell’anno successivo.
Il film racconta, attraverso l’occhio del protagonista Jong-su, la crescita verso una nuova coscienza di sé a seguito di un’esperienza drammatica. Il protagonista è un aspirante scrittore che vive una situazione economica di disagio poiché è stato costretto a rilevare la fattoria di famiglia dopo che suo padre viene mandato in prigione. Quando incontra per caso Hae-mi non la riconosce, ma la ragazza si ricorda di lui lo invoglia a instaurare con lei un forte legame non ancora definito. Ad un certo punto, però, la ragazza parte per l’Africa e chiede Jong-su di prendersi cura del suo gatto. Proprio quando questi elabora di essersi innamorato di lei, Hae-mi rientra dal suo viaggio con un certo Ben, un ragazzo enigmatico e molto facoltoso.
Nonostante tra i due non corresse buon sangue, Jon-su rivela a Ben i suoi sentimenti per la ragazza
Il complesso dualismo che si instaura tra Ben e Jong-su, in cui da lontano si inserisce Hae-mi come terzo elemento, determina lo scontro di due diversi modus vivendi. Da una parte abbiamo il grossolano idealismo di Jong-su, strutturato dal peso della miseria e del rimpianto. Dall’altra si erge Ben come la prepotente raffigurazione di ogni forma di male per la sua vittima. Detto ciò, Lee non definisce mai con certezza quanto il pregiudizio ossessivo di Jong-su nei suoi confronti possa contaminare la realtà dei fatti. Alla fine, dunque, non ci resta che il beneficio del dubbio.
Sicuramente entrambi diventano testimoni di una “generazione arrabbiata“, espressione usata dallo stesso Lee per descrivere il più intrinseco stato di afflizione di un Paese pieno di conflitti intestini. La verità ha mille facce e non sempre riveste una risposta univoca. Probabilmente questa neanche esiste, innescando nella mente umana uno status tanto paranoide da divenire fatale.