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Il film della settimana – Collateral

Collateral
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Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piattaforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Collateral.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Collateral? Ecco la risposta senza spoiler.

“Cominciò come una notte qualsiasi”. È così che la locandina introduce il pubblico nell’ennesimo grande film di Michael Mann, ambientato proprio nelle ore più buie del giorno, quando il sole cala lasciando spazio a una notte che di ordinario non ha proprio niente. Protagonisti assoluti di Collateral sono Tom Cruise e Jamie Foxx: il primo, svestendo i consueti panni dell’eroe, diviene il grigio e spietato assassino su commissione Vincent in ruolo per lui inedito; il secondo, invece, è il mite tassista Max, il cui sogno nel cassetto è aprire un’azienda di noleggio limousine. Incaricato di uccidere cinque testimoni scomodi per conto di un cartello messicano, Vincent ingaggia l’ignaro tassista per farsi portare in giro tutta la notte nelle strade di Los Angeles. Per Max inizia dunque un viaggio infernale, costretto a scarrozzare e in certi casi aiutare il killer nello svolgere il suo compito.

In questo action thriller urbano ad alta tensione, profondamente morale e mai banale nei suoi risvolti, Mann gioca come suo solito con gli opposti (elemento perfettamente visibile, ad esempio, nel suo film più famoso, Heat – La sfida), i quali però non possono far a meno di attirarsi l’un con l’altro. Poli opposti di due calamite indivisibili, scopriranno di avere in comune più cose di quante non pensino, trasformandosi in emblemi di un’incomunicabilità spietata. Cruise e Foxx battagliano sferrando fendenti di ottima bravura, contornati da un cast che completa l’opera divinamente: basti pensare a Mark Ruffalo, Javier Bardem, Jada Pinkett Smith o Emilio Rivera (il Marcus Alvarez di Sons of Anarchy). Il tutto immerso nella deserta e malinconica Los Angeles, il personaggio aggiunto di Collateral.

Un film al limite della perfezione, con scene d’azione meravigliosamente eleganti e dialoghi esistenziali profondissimi, che purtroppo viene spesso ingiustamente dimenticato. È il momento di recuperarlo, dato che è presente su Netflix, Amazon Prime Video, Sky e Now Tv (a noleggio su Timvision, Apple Tv e Chili). E dopo, vi aspetta la nostra approfondita recensione.

SECONDA PARTE:  La recensione spoiler di questo gioiellino chiamato Collateral

Collateral

Un taxi sa sempre quali sono il suo punto di partenza e di arrivo; l’incertezza sta tutta nel percorso ed è proprio lì che si colloca magistralmente questa perla dimenticata di nome Collateral. Del resto, il cinema ha sempre dato un certo spazio a questo mezzo pubblico urbano, sia quello internazionale con ad esempio Taxi Driver che quello nostrano con Il tassinaro, ma più o meno tutti gli attori hanno avuto a che fare con un taxi in un loro film. E Michael Mann riesce nell’incredibile compito di rendere emozionante, tensiva e originale una situazione che abbiamo visto miliardi di volte sul grande schermo. La maggior parte degli eventi, infatti, si svolge all’interno della vettura di Max, il cui apparentemente ordinario passeggiero di quella notte gli sconvolgerà l’esistenza.

Vincent interrompe la consueta routine di un uomo mite, timido e gentile, che dona alla sua ultima cliente una cartolina che raffigura la meta dei suoi sogni. Piena di colori, dove può sfuggire al grigiore di una vita che lo travolge senza che lui abbozzi la minima reazione. Ma appena dopo averla lasciata, l’incubo si materializza di fronte ai suoi occhi, personalizzato nel glaciale e feroce killer di un incredibile Tom Cruise. Il divo ha sempre incarnato personaggi eroici, positivi e impavidi. Gli esempi sarebbero tantissimi e potremmo sintetizzarli semplicemente citando il suo Ethan Hunt, protagonista della saga di Mission Impossibile.

Allora, Mann distrugge egregiamente l’immagine cinematografica di Cruise: gli toglie il mantello da eroe, lo sveste della sua luminosità e lo colora di grigio, nei capelli e nell’anima.

Vincent è un predatore crudele guidato da una filosofia tutta sua; un uomo nichilista, disilluso e disincantato verso la realtà che lo circonda e con il solo desiderio di portare a termine la sua missione. Un lavoro che presenta complessi significati metaforici sul tema della solitudine e dell’indifferenza di un mondo che preferisce voltarsi dall’altra parte e non è causale che Max e Vincent trovino più affinità del previsto, con il primo sempre pronto a rubare i trucchi del secondo se il gioco lo richiede.

Collateral

Niente in Collateral è abbandonato al caso, soprattutto nella relazione tra i protagonisti.

Nelle scene in cui Vincent provoca Max, gettandogli addosso l’amara verità della sua insulsa e inutile vita, l’assassino si trova sempre dietro il lato guida, cosicché il tassista non possa vedergli il viso. Nei momenti più “tranquilli”, invece, Vincent si sposta e Max riesce a vederlo tramite lo specchietto retrovisore. Questo perché il cattivo è una sorta di grillo parlante per il buono, la voce destabilizzante di una coscienza che ci risveglia bruscamente, permettendoci di rinascere e di prendere in mano la nostra esistenza. Vincent spinge Max a cogliere l’attimo, a non temporeggiare sulle cose sperando che succedano da sole, a tornare il main character della sua storia. Diventando come il jazz, di cui Vincent, da vero appassionato, ne incarna l’essenza. Perché questo genere insegna una lezione molto utile: affrontare gli imprevisti, adattarsi ai cambiamenti, improvvisare.

Ecco che lui non è un villain banale come il suo aspetto consiglierebbe – e si veste in quel modo, pieno di grigio, proprio per passare inosservato, diventare invisibile e sfuggire a coloro che lo inseguono. Un concetto, quello dell’anonimato, su cui Mann e Cruise hanno lavorato parecchio. Infatti, per prepararsi al ruolo, l’attore ha svolto l’impiego di postino per un mese, non venendo mai riconosciuto. E non finisce qui: il regista ha posto delle finte taglie sulla crew cinematografica, incaricando Cruise di ‘ucciderle’, ma non senza aver svolto prima un lavoro di osservazione per conoscere ogni spostamento e abitudine dei suoi obiettivi; successivamente avrebbe fatto la sua mossa semplicemente attaccando dei post-it sulla loro schiena ed esclamando: “Sei morto”.

Insomma, l’unico modo perché Vincent vivesse era eliminare l’ingombrante figura di Tom Cruise. Operazione perfettamente riuscita, aggiungiamo; tanto che non potremmo vederci nessun altro in quei panni (e il ruolo era stato offerto sia a Leonardo DiCaprio che a Edward Norton).

È dunque l’intenso rapporto tra Vincent e Max a essere al centro della trama di Collateral, due personaggi complementari che diventano lo specchio di una società che annienta i sogni e dove nessuno si conosce davvero. Lentamente Max si trasforma, la sua maschera si confonde con quella di Vincent, con Jamie Foxx intensissimo e bravissimo nel mostrare il cambiamento del suo personaggio.

Il tutto avviene nella notte di una Los Angeles che, come Cruise, viene stravolta e privata del suo volto più noto: quello caldo, vanesio, brillante e festaiolo con cui tante volte è stata rappresentata.

Il ritratto è desolante, amaro, solitario e questa città ormai perduta diviene contemporaneamente veritiera e dantesca: nel primo caso perché niente è compiuto per abbellirla o imbruttirla e quel coyote non sembra così tanto surreale come appare a un primo sguardo; nel secondo perché Los Angeles diventa la metafora del viaggio di Max nei giorni infernali, con Vincent che impersona una sorta di Virgilio malvagio. E per renderla tale, Mann decise di girare il film interamente in digitale, perché i suoi direttori della fotografia pensavano che il calore del 35 millimetri non fosse adatto per le cromie della pellicola, come spiegò lui stesso:

“Ho girato il film così perché solo questa tecnica poteva catturare tutte le luci di una notte in questa città”.

La metropoli statunitense diviene dunque il palco che rispecchia e enfatizza ossessioni, sentimenti, paure e desideri dei personaggi. Ascendendo a ruolo di deuteragonista, è uno spazio totale che ingloba in un unico disegno tutti i suoi pezzi; il luogo dove prendono piede gli interrogativi esistenziali di uomini incapaci di osservare qualcosa di completo al di fuori di loro stessi. Emblematica è, appunto, l’ultima inquadratura di Collateral: quel ponte sopraelevato, illuminato dall’alba imminente, percorso da un treno al cui interno potrebbe esserci il corpo di Vincent. Una strada senza inizio o fine, chiusa in una città notturna abitata solo da predatori e prede, dominata dalla legge del più forte e animalesca proprio come quel coyote. E viene da chiedersi allora: qual è la differenza tra lui e Vincent? Sono davvero così gli abitanti di Los Angeles?

Ne esce fuori un thriller dipinto come un pittore farebbe con i colori della sua tavolozza, rendendo ogni inquadratura di Collateral un capolavoro della postmodernità. E a completare il film, c’è la maestria di Mann nelle scene d’azione.

Lo scontro finale, l’uccisione nel locale jazz, la corsa in metropolitana e la sparatoria in discoteca sono curati nei minimi particolari, accompagnati da una colonna sonora poeticamente integrata con le immagini, con quel ritmo che aumenta il coinvolgimento e con una resa realistica del suono tale che sentiamo gli spari nel salotto di casa nostra. Soprattutto l’ultima scena menzionata è memorabile perché, nonostante la quantità di persone sullo schermo e il caos dominante, ogni cosa è chiara, leggibile e ottimamente rappresentata. Così come l’affascinante momento inserito appena prima della conclusione, che richiama La Finestra sul Cortile, senza dialoghi e con quella luce naturale che dà alla città un aspetto sfuocato.

Ma Collateral è in grado di alternare magistralmente azione e parola; anzi, per essere un thriller d’azione, i dialoghi molto spesso prendono il sopravvento nel determinare le personalità dei suoi protagonisti. Il taxi di Max diviene quindi lo studio dello psicologo, in cui il carattere del personaggio di Foxx viene analizzato approfonditamente da Vincent, esemplificato dai primi piani dei volti e degli sguardi che si scrutano a vicenda. Quasi come se la camera volesse entrare dentro di loro, per scoprirne gli angoli più remoti.

In poche parole, Mann riesce a costruire un capolavoro (sì, possiamo usare questa parola per Collateral) attraverso due personaggi agli antipodi – chiusi nella notte della Citta degli Angeli in cui cadere nell’abisso dell’oblio è facile – e una resa tecnica inarrivabile: dai dialoghi all’action, passando per il montaggio serrato, l’uso delle luci, il finale da antologia, quel confine sottile tra noir e crime-movie. Regalandoci, ancora una volta, una lezione di cinema che difficilmente dimenticheremo.

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