Per introdurre questo articolo potremmo cominciare con una lezione di storia: dalle origini della commedia greca fino alle web comedies dei giorni nostri. Interessante, non c’è dubbio, ma ci perderemmo per strada e non arriveremmo al dunque.
Siamo qui, invece, per parlarvi delle commedie italiane apparse sul grande schermo, pellicole per le quali il cinema italiano è stato conosciuto e amato in tutto il mondo soprattutto a partire dagli anni Cinquanta fino alla fine degli anni Settanta quando milioni di spettatori, ovunque, non vedevano l’ora di godersi un capolavoro made in Italy del cinema.
La commedia è un genere su cui tutti, più o meno, hanno le idee chiare. Deve affrontare un argomento non troppo impegnativo, mostrare umorismo, strappare qualche risata e avere un lieto fine. Naturalmente, in linea generale perché esistono sempre le eccezioni.
La commedia, come genere, fa parte della storia dell’uomo ed è perciò ovvio che faccia parte anche della storia del cinema. Dal periodo del muto alla grande stagione hollywoodiana, dalla dark comedy al genere comico-farsesco, ogni anno al cinema sono uscite una mole di commedie. che hanno allietato spettatori di tutto il mondo. Perché questo deve fare la commedia.
Ogni nazione, poi, ha la sua tipologia di commedia, che rispecchia le caratteristiche del paese e il popolo , accentuando pregi e difetti dell’uno e dell’altro. L’Italia, come patria di un grande cinema, non è mai stata da meno nei confronti, per esempio, di Stati Uniti o Francia. Anzi, per un certo periodo è stata considerata maestra e presa come esempio. Le commedie italiane, hanno scritto pagine indelebili della storia del cinema, in particolar modo quelle cosiddette commedie all’italiana, genere riconosciuto come un segno distintivo del nostro paese, Un po’ come il cibo e la moda.
Le commedie italiane della commedia all’italiana, ci scuserete per il bisticcio di parole, iniziano con Divorzio all’italiana (1961), presente nell’elenco sottostante e, per convenzione, terminano con Fantozzi contro tutti (1980) con un passaggio dal nostalgico bianco e nero, per altro riutilizzato ancora oggi, al colore.
Caratteristica principale di questo “sottogenere” è la sceneggiatura che racconta con maggiore aderenza la realtà di un paese in pieno sviluppo sociale ed economico, con le sue intrinseche contraddizioni. Si potrebbe quasi dire che le commedie italiane dell’epoca sviluppano una corrente meno drammatica del neorealismo permettendosi, nel corso del tempo, una critica, anche feroce, al costume e alla società, alla politica e alla religione.
Maestri di queste commedie italiane all’italiana sono registi del calibro di Mario Monicelli, Nanni Loy, Dino Risi, Vittorio De Sica, Luciano Salce, Ettore Scola e davvero tantissimi altri. A grandi registi servono immensi attori tra i quali ricordiamo Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Totò, Aldo Fabrizi, Gino Cervi, Paolo Villaggio, Gigi Proietti, Monica Vitti, Sophia Loren, Claudia Cardinale e Gina Lollobrigida.
Per non parare dell’incredibile contorno realizzato da grandissimi caratteristi come Carlo Pisacane e Tina Pica della celebre scuola napoletana.
Ne abbiamo riportati alcuni, cercando di dare rappresentanza a tutte le principali sfumature di un genere che ha reso unico il nostro cinema: una panoramica complessiva per quanto possibile completa e variegata. Citare tutti i protagonisti delle commedie italiane richiederebbe un elenco lunghissimo e sarebbe un esercizio sterile. Così come lunghissimo, quasi infinito, è l’elenco delle commedie italiane che non abbiamo potuto inserire in questa ridotta scelta di venti.
Abbiamo cercato di rappresentare al meglio il genere pescando da una sorta di pozzo senza fondo con la consapevolezza che avremmo fatto un torto a qualcuno.
Questa, in ogni caso, non è una classifica. Piuttosto una selezione di autori, registi, attori e attrici che nel corso di oltre sessant’anni di cinema, partendo solo dal dopoguerra, hanno rappresentato e rappresentano un genere, quello delle commedie italiane, che ha avuto i suoi alti e bassi ma che ancora oggi è capace di regalarci perle importanti che fanno ridere, sorridere, piangere e, perché no, anche riflettere.
1) Amici miei
Amici miei, del 1975, è considerato una pietra miliare del cinema italiano. Alzi la mano chi non l’ha visto. Voi, sì voi, che l’avete alzata: dovreste darvi da fare per rimediare a questa mancanza, il prima possibile. Magari vedendo la versione estesa (140 minuti) rispetto a quella che normalmente viene trasmessa in televisione (114 minuti).
Amici miei, diretto dal grandissimo Mario Monicelli, è il primo di una trilogia conclusasi con il terzo atto nel 1985, diretto da Nanni Loy. Ha vinto due David di Donatello e tre Nastri d’Argento e nella stagione cinematografica 1975-1976 è risultato campione d’incassi con oltre 7 miliardi di lire (oggi, circa 40 milioni di euro). Con oltre 10 milioni di spettatori è al ventunesimo posto nella classifica assoluta dei film più visti in Italia dal 1950 al 2016.
Amici miei prende spunto dalla realtà. Le zingarate che i cinque protagonisti compiono durante il corso del film, infatti, risalgono agli anni Trenta in quel di Livorno. Lì, a raccontarlo è lo stesso Monicelli, vissero cinque amici conosciuti per gli scherzi che facevano in giro per la città.
Il quintetto protagonista è composto da Adolfo Celi, Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Gastone Moschin e Duilio Del Prete, attori di altissimo livello.
2) Il ragazzo di campagna
Diretto dal duo Castellano e Pipolo, che del film sono anche autori del soggetto e della sceneggiatura, registi di commedie italiane ormai considerate cult come Attila flagello di Dio o Grandi Magazzini, il film uscì nelle sale cinematografiche nel 1984.
Il protagonista della pellicola è Renato Pozzetto il quale interpreta Artemio, contadino della campagna lombarda desideroso di lasciare il paese natio per andare a Milano e cambiare vita. Accanto a lui compaiono Massimo Boldi, nei panni del poco raccomandabile cugino Severino Cicerchia, e Donna Osterbuhr, nei panni di Angela, giovane donna in carriera, indipendente e fanatica tifosa della Juventus.
Il film, però, non si limita a raccontare le disavventure assai comiche di Artemio. Pone, tra i primi, l’occhio sulla Milano degli anni Ottanta, quella Milano da bere che stava confermandosi fulcro nevralgico dell’economia italiana, con tutte le sue contraddizioni.
Le zone di ripresa utilizzate per raccontare la vita contadina di Artemio sono diventate meta di pellegrinaggio da parte di migliaia di amanti del film. Esiste un vero e proprio ritrovo annuale durante il quale alcune scene del film, come quella del passaggio del treno, vengono ricreate appositamente. Al ritrovo è stato spesso visto lo stesso Renato Pozzetto il quale deve molta della sua fama a questo indimenticabile film apparentemente leggero ma ricco di significati.
3) Smetto quando voglio
Pellicola del 2014, primo capitolo di una trilogia completata nel 2017, ottiene una quantità di candidature ai premi italiani più prestigiosi vincendo un Ciak d’oro, un Nastro d’Argento, un Globo d’oro e oltre una decina di candidature ai David di Donatello.
Il film è diretto da Sydney Sibilia, e racconta la storia di un gruppo di ricercatori precari dell’università di Roma che, ciascuno con la sua specializzazione, decidono di creare una banda e mettersi a smerciare una droga creata appositamente.
Smetto quando voglio ha sorpreso positivamente la critica cinematografica tanto da essere accostato a I soliti ignoti. Il film è stato elogiato per l’interpretazione dei suoi attori, tra i quali spicca il compianto Libero De Rienzo; per la sceneggiatura per nulla scontata e capace di approfondire, in maniera divertente e riflessiva allo stesso tempo, il dramma del precariato; e la regia, considerata moderna e brillante capace di allotanarsi dagli stereotipi classici delle commedie italiane degli ultimi decenni.
4) I mostri
Altro capolavoro tra le commedie italiane, diretto da Dino Risi e sceneggiato da un gruppo di personaggi importanti del mondo cinematografico italiano, tra i quali Ettore Scola, I mostri è stato selezionato tra le cento pellicole italiane da salvare, una iniziativa realizzata in collaborazione con la Mostra del cinema di Venezia e con il sostegno del Ministero dei Beni culturali.
Si tratta di un film a episodi, venti per la precisione, i quali hanno un solo unico comune denominatore: la Roma dei primi anni Sessanta. Nell’affascinante città eterna queste venti storie, di lunghezza variabile tra lo sketch e il racconto, per un totale di 118 minuti, raccontano di personaggi particolari interpretati da Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi. Attorno a loro, come spalle o semplici riempitivi, compaiono altri attori importanti e persino Ricky Tognazzi, all’epoca ottenne, alla sua prima partecipazione cinematografica. Questi personaggi, i mostri del titolo, sono una rappresentazione caricaturale e simbolica del cittadino italiano dell’epoca.
Il film, nel 1977, ebbe un sequel: I nuovi mostri, altra pellicola a episodi diretti da Mario Monicelli, Dino Risi ed Ettore Scola e candidato all’Oscar come miglior film straniero nel 1979 e un terzo capitolo, uscito nel 2009, intitolato I mostri oggi e diretto da Enrico Oldoini.
5) Vacanze di Natale
Molti storceranno il naso nel vedere questo titolo avvicinato a veri e propri capolavori del cinema italiano. Dovreste ricredervi, fidatevi. Forse non tanto per il genere di comicità proposta, comunque molto edulcorata e più ricercata rispetto ai successivi capitoli, quanto per l’immagine, in chiave sarcastica e agrodolce, che dà del nostro paese agli inizi degli anni Ottanta.
Vacanze di Natale (1983), considerato il capostipite dei cinepanettoni, è un affresco di una Italia che non era più quella del boom economico degli anni Sessanta ed era sopravvissuta agli di Piombo. Un’Italia che sbirciava alle mode provenienti dagli Stati Uniti e che iniziava ad applicare nel linguaggio parlato una terminologia straniera per darsi un tono.
Il film, sceneggiato dai fratelli Vanzina e diretto da Carlo, è ambientato in una delle località sciistiche più rinomate d’Italia e racconta, senza alcun filtro, le contraddizioni di un paese all’epoca tra le prime potenze mondiali. Da un parte le famiglie altolocate, dall’altra una piccola borghesia che frequenta gli stessi luoghi dei ricchi pur non potendoselo permettere.
I personaggi presenti in scena sono la versione invernale di quelli che erano apparsi sullo schermo durante la stessa estate, quella del 1983, in Sapore di mare e sono interpretati praticamente dagli stessi attori: Jerry Calà, Christian De Sica e Karina Huff.
6) Febbre da cavallo
Diretto da Steno, padre dei fratelli Vanzina, Febbre da cavallo è uno di quei film che, nel corso degli anni, ha acquistato il giusto posto nella storia della commedia italiana.
Uscito nel 1976 venne accolto tiepidamente. La sua fama crebbe nel corso degli anni Novanta grazie alla ritrasmissione della pellicola nelle televisioni private soprattutto romane, e da film specifico, poiché ambientato negli ippodromi e nelle sale scommesse, divenne una di quelle pellicole le cui battute e scene comiche influenzarono l’immaginario collettivo.
Il film, che lanciò la carriera di due grandi interpreti della commedia italiana come Enrico Montesano e l’indimenticabile Gigi Proietti, racconta la storia di due appassionati di corse di cavalli costretti a inventarsi ogni genere di trucchi e inganni per potersi procacciare i soldi necessari a sovvenzionare la loro passione fallimentare.
7) L’armata Brancaleone
Branca Branca Branca, Leon Leon Leon! Fischio. Colpo di grancassa. E via con la marcia iniziale composta dal grandissimo Carlo Rustichelli che accompagna le animazioni di Emanuele Luttazzi per i titoli di testa di uno dei più importanti e iconici capolavori della commedia italiana cinematografica.
Il film, diretto da Mario Monicelli che partecipò anche alla stesura della sceneggiatura, racconta le scalcagnate vicissitudini di un manipolo di uomini nell’Italia dell’XI secolo. Comandato da Brancaleone da Norcia, personaggio realmente esistito, questo gruppo scassato attraversa il paese finendo in situazioni tragicomiche fino a raggiungere l’agognata meta, in Puglia, per riscattare un feudo sotto assedio da parte dei saraceni.
Il film, uscito nel 1966, vede protagonisti Vittorio Gassman, Gian Maria Volonté e Vittorio Pisacane, accompagnati da Catherine Spaak e Barbara Steele. Il film fu un successo strepitoso e il titolo divenne di uso corrente ed è riportato da diversi dizionari per definire un gruppo di disperati che si gettano in una impresa titanica.
La critica dell’epoca elogiò il film per com’era stato ideato. Per l’occasione, infatti, venne creato un vero e proprio idioma, un misto tra il latino maccheronica, il dialetto del centro Italia e il volgare dell’epoca.
Di questo film Vittorio Gassman ebbe a dire, in una intervista: “c’era la bellissima invenzione di quel linguaggio e di quel personaggio, una specie di samurai che ormai tutti conoscono e che è stato credo il personaggio che mi ha dato più popolarità“.
8) Un americano a Roma
Film del 1954, diretto da Steno su sceneggiatura curata, tra gli altri, da Ettore Scola e Lucio Fulci, Un americano a Roma è uno tra i più celebri film interpretati da Alberto Sordi. Se non lo conoscete perché troppo giovani potreste cercare su Youtube la celebre scena con l’iconica battuta del “Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo adesso, maccarone! Io me te magno…!” per farvi un’idea della grande interpretazione del comico romano.
Il film racconta la storia di Ferdinando Mericoni, detto Nando, personaggio nato per un altro film di Steno, Un giorno in pretura, un giovanotto romano con la fissa degli Stati Uniti derivata probabilmente dall’aver visto l’esercito americano liberare Roma, nel 1944.
L’ americanismo, amplificato dal modo di vestire, di muoversi e di parlare, uno slang privo di senso e divertentissimo da ascoltare, porterà un sacco di guai a Nando che vive perennemente come fosse su un set di un film hollywoodiano, di cui è grande fan.
9) Ricomincio da tre
Nel 1981 Massimo Troisi, scrisse, diresse e interpretò questo film che ottenne un grande successo di pubblico e vinse, tra gli altri, due David di Donatello e quattro Nastri d’Argento.
Il film, una tra le più importanti commedie italiane degli anni Ottanta, racconta la storia di Gaetano, interpretato da Massimo Troisi, che decide di abbandonare la cittadina dove abita per esplorare il mondo. Arrivato a Firenze, dove ad attenderlo c’è una zia, dopo un lungo viaggio piuttosto tragicomico, Gaetano incontra Marta, infermiera presso un centro di igiene mentale, della quale si innamorerà perdutamente.
Praticamente tutto in dialetto napoletano, il film fu campione d’incassi nella stagione 1980-1981 guadagnando oltre 15 miliardi di lire (circa 30 milioni di euro attuali). Inizialmente snobbato Ricomincio da tre è stato uno di quei film che ha guadagnato il successo tramite il passaparola tanto da detenere ancora oggi il record di film proiettato più a lungo: ben quarantatre settimane.
10) Divorzio all’italiana
Stefania Sandrelli e Marcello Mastroianni sono protagonisti di questa pellicola italiana che, tra il 1962 e il 1963 vinse un Oscar come miglior sceneggiatura originale, due Golden Globe come miglior film straniero e miglior attore maschile, un BAFTA come miglior attore straniero, tre Nastri d’Argento, un Globo d’Oro e un Prix de la meilleure comédie al Festival di Cannes.
Scritto e diretto da Pietro Germi, basato sul libro Delitto d’onore di Giovanni Arpino, il film racconta la storia del barone Ferdinando Cefalù, detto Fefè, maritato con Rosalia (Daniela Rocca) e innamorato della sedicenne Angela, sua cugina
Divorzio all’italiana è un interessante ritratto satirico di una certa mentalità, e con essa certe pulsioni, tipica della provincia siciliana dell’epoca, la quale si fa forte di una legislazione italiana arretrata e carente sia nei confronti del divorzio che del delitto d’onore. Il risultato è questa commedia tagliente considerato uno dei migliori film dell’epoca che servirà da modello per molti altri.
11) Fantozzi
Fantozzi, ragionier Ugo, matricola 1001/bis dell’Ufficio sinistri (secondo la sigla iniziale). L’iconico personaggio creato dalla fulgida mente di Paolo Villaggio fece la sua apparizione nelle sale cinematografiche nel marzo del 1975. E fu un successo strepitoso. Sia per la pellicola che per il personaggio al quale il comico genovese dedicò altri nove film a cominciare da Il secondo tragico Fantozzi uscito l’anno successivo.
Sia il primo che il secondo film sono tratti dai due bestseller che Villaggio pubblicò nel 1971 e nel 1974, intitolati rispettivamente Fantozzi e Il secondo tragico libro di Fantozzi. Gli altri, invece, hanno una sceneggiatura propria che ricalca il modello strutturale a episodi.
Fantozzi, pur essendo un successo al botteghino, non piacque alla critica. Troppo frammentario, troppo poco divertente, poco pungente. Villaggio venne deriso e paragonato a una scarsa figurina da cinema muto, con le sue facce buffe e la sua pantomima goffa, grottesca, al limite del fastidioso.
Oggi, invece, è considerato un film cult. Non tanto per il personaggio in sé quanto per ciò che raccontava nelle sue disavventure. Una specie di rivisitazione dei personaggi dell’italiano medio, in questo caso mediocre, interpretati dieci anni prima da Alberto Sordi.
Situazioni, battute e modi di dire, come il terribile utilizzo del congiuntivo di filiniana memoria o il “com’è umano, lei” sono ancora oggi in uso nel parlato corrente, segno distintivo di un film che non ha tempo.
Fantozzi, diretto da Luciano Salce, è un concentrato di satira sociale e politica capace di risvegliare la coscienza dello spettatore il quale ha di fronte a sé un personaggio detestabile, con i peggiori difetti di questo mondo. Un personaggio dentro il quale, in maniera catartica, sono concentrati i più bassi istinti. Un personaggio capace di scatenare forti emozioni che vanno al di là della semplice risata.
In Fantozzi c’è altro, un qualcosa che lo spettatore non vorrebbe ma disgraziatamente riconosce di sé. Di fronte alla viltà fantozziana lo spettatore ride per non piangere e autocommiserarsi. In questo sta la grandezza del primo film di Paolo Villaggio: si addossa le peggiori nostre abitudini per portarne il peso e venire crocifisso in sala mensa come capro espiatorio di tutti.
12) Non ci resta che piangere
Opera unica del duo Benigni-Troisi (e di entrambi avremmo potuto citare una decina di altri titoli d’altissimo livello), Non ci resta che piangere uscì nelle sale nella stagione cinematografica 1984-1985 divenendo campione d’incassi con oltre quindici miliardi di lire (circa venti milioni di euro, oggi).
Il film racconta la storia di due amici, un bidello e un insegnante, che si ritrovano nella Toscana del 1400, quasi 1500. L’insegnante, Roberto Benigni, decide che i due debbano raggiungere la Spagna per impedire a Cristoforo Colombo di scoprire l’America.
Il film, scritto e diretto dalla coppia, fu un successo di pubblico ma la critica non risparmiò critiche ai due protagonisti, soprattutto in qualità di registi e sceneggiatori. La pellicola, comunque, resta un cult della commedia italiana, ricca di spassose gag, alcune delle quali, come il celebre dialogo alla dogana, sono diventata intercalare di tutti i giorni.
13) Bianco, rosso e verdone
Scritto e diretto da Carlo Verdone e prodotto da Sergio Leone, questo road movie racconta le storie di tre personaggi macchiettistici cari al comico romano i quali, dalle città dove vivono si dirigono, in auto, verso le rispettive sedi di voto: Furio, il pedante e logorroico impiegato statale, che parte da Torino, con moglie e figli, alla volta di Roma; Mimmo, che raggiunge Verona per prendere la nonna (la grandissima Elena Fabrizi) e accompagnarla a Roma; e Pasquale, emigrato, che da Monaco di Baviera parte alla volta di Matera.
I personaggi di Verdone, tra i più divertenti presenti nelle commedie italiane, sono scritti e interpretati divinamente, ciascuno caratterizzato alla perfezione con le sue manie e nevrosi. La figura di Furio, impagabile nel farsi mandare a quel paese dal servizio telefonico autostradale, verrà poi ripresa in Viaggi di nozze mentre quella di Mimmo non è altro che la continuazione del personaggio creato per Un sacco bello.
Quando, dopo mille peripezie, Pasquale esce dalla cabina elettorale dopo aver votato si lascia andare a uno sfogo, in un linguaggio incomprensibile, che venne improvvisato dallo stesso Verdone, in difficoltà con le battute del copione.
14) Don Camillo
Un’altra pellicola che appartiene alla lista dei cento film italiani da salvare, Don Camillo è un piccolo gioiello della commedia italiana cinematografica. Tratto dai racconti di Giovannino Guareschi, il film uscì nelle sale nel 1952 e fu campione d’incassi fruttando oltre un miliardo e mezzo di lire (circa trenta milioni di euro, oggi). Nella classifica di sempre dei film più visti in Italia è al settimo posto mentre si trova al dodicesimo in quella francese. Fu distribuito in altri diciotto paesi del mondo, tra cui Giappone, Brasile e Stati Uniti, ottenendo consensi di pubblico e il plauso della critica.
Don Camillo, interpretato da Fernadel, racconta la storia di un prete di campagna del secondo dopoguerra, alle prese con un sindaco, Peppone, interpretato da Gino Cervi, comunista. I due personaggi, politicamente parlando, non scorre buon sangue ma sotto sotto si vogliono bene e, soprattutto, nutrono un profondo rispetto reciproco. Li accomuna esser parte dei Ragazzi del ’99, i giovani che nel 1917 presero parte alla Prima Guerra Mondiale, e l’aver fatto la Resistenza, seppure in schieramenti diversi, contro i nazisti e i fascisti in Italia.
Don Camillo è uno di quei rari casi in cui l’adattamento cinematografico è migliore del libro. Il film, al quale seguirono altre quattro pellicole con gli stessi protagonisti, in Italia venne accolto piuttosto tiepidamente da una critica schierata troppo politicamente.
In realtà il film, girato a Brescello, è davvero ben fatto grazie a un adattamento che, a differenza dei racconti, non parteggia per nessuna delle due parti. E Don Camillo, che spesso risulta vincitore rispetto a Peppone nella loro continua faida, viene sempre messo al posto suo dalla voce di un Crocifisso che continua indicargli la via che si confà a un sacerdote.
15) I soliti ignoti
Mario Monicelli, su una sceneggiatura del grandissimo duo Age & Scarpelli, dirige un cast straordinario composto, tra gli altri, da Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Renato Salvatori, Totò, Claudia Cardinale, Tiberio Murgia e Carlo Pisacane.
I soliti ignoti è un capolavoro, tra le commedie italiane, senza tempo. Monicelli creò quello che diede l’impronta per un genere che si unì al neorealismo, allo spaghetti-western e il peplum (i film in costume ambientati nell’antichità) i quali resero il cinema italiano mondialmente conosciuto e apprezzato.
La storia racconta di un gruppo di ladruncoli di poco conto nella Roma del dopoguerra decisi a compiere il furto della loro vita. Il furto richiede accortezza e il gruppo comincia a pianificare tutto in maniera molto dettagliata prendendo persino lezioni di scasso da Dante (Totò), impossibilitato a partecipare al furto in quanto sorvegliato dalla polizia.
Ciò che colpì la critica dell’epoca fu il fatto che gli attori, generalmente tutti commedianti, non si limitarono a interpretare una maschera comica com’erano solitamente abituati. Nel film, infatti, è presente una drammaticità molto forte che viene alleggerita da un’ironia fine e pungente e non più da giochi di parole e gag improvvisate. I momenti comici non mancano ma sono bilanciati da una realtà concreta ben definita. Si potrebbe dire che la commedia classica, in I soliti ignoti, incontri il neorealismo per farne un nuovo genere.
16) Totò, Peppino e… la malafemmina
“Una farsa grossolana urlata in dialetto napoletano dalla prima all’ultima scena (…). E’ avanspettacolo e fumetto della peggior qualità, né la presenza di bravi attori come Totò e Peppino De Filippo si fa avvertire, almeno sul piano della buona recitazione“. Così la critica nel 1956, quando il film uscì nelle sale cinematografiche. Una vera e propria stroncatura.
Fortunatamente per noi, nel corso dei decenni, questa pellicola è riuscita a ritagliarsi il giusto spazio nell’Olimpo delle commedie italiane diventando un’icona del genere.
Totò e Peppino, un duo incredibile capace di improvvisare intere scene su un semplice canovaccio, sono, in questo film, probabilmente all’apice della loro carriera in coppia. Lo dimostrano nelle scene più famose come quella della dettatura della lettera (scene che viene omaggiata in Non ci resta che piangere, tra gli altri film) o quella del loro arrivo alla stazione di Milano con colbacchi e pellicce. Per non parlare di quella, utilizzata anche per alcune pubblicità, del dialogo con il vigile meneghino, che utilizza il celeberrimo “nojo volevan savuar” entrato nel linguaggio comune.
17) Miseria e nobiltà
Due anni prima di Totò, Peppino e… la malafemmina, il celeberrimo comico napoletano è protagonista di Miseria e nobiltà, una pellicola tratta dall’omonima pièce teatrale di Edoardo Scarpetta.
Il film del 1954 è diretto da Mario Mattoli e racconta la storia di don Felice Sciosciammocca (Totò) un popolano squattrinato che di mestiere fa lo scrivano e don Pasquale (Enzo Turco) che invece fa il fotografo ambulante, anche lui poverissimo. Entrambi lavorano vicino al Teatro San Carlo ma i loro guadagni non consentono loro di sopravvivere; per questo i due convivono insieme con le rispettive famiglie in un appartamento in affitto (che non pagano da mesi). Da questa convivenza, soprattutto grazie alle rispettive compagne, nascono una serie di baruffe tipiche della commedia teatrale.
Anche questo film venne stroncato dalla critica al suo esordio. E come quello precedente, nel corso dei decenni è stato rivalutato soprattutto per la bravura di Totò, qui fenomenale nel tenere in piedi, praticamente da solo, l’intera sceneggiatura.
Celeberrima è diventata la scena durante la quale le famiglie di Totò e di Enzo Turco, riunite davanti a un tavolo finemente apparecchiato, si gettano a capocollo verso una zuppiera colma di spaghetti.
18) Fracchia la belva umana
Forse non tutti sanno che Giandomenico Fracchia è il primo personaggio creato da Paolo Villaggio. Ideato alla fine degli anni Sessanta per la televisione, la maschera di Fracchia ottenne un grande successo di pubblico. I due personaggi, Fantozzi e Fracchia, erano inizialmente molto diversi tra loro, con le loro precise peculiarità. Nel corso del tempo però, si sono fuse insieme e la figura di Fracchia è praticamente sparita dalla circolazione.
A lui sono dedicate due commedie italiane: Fracchia la belva umana (1981) e Fracchia contro Dracula (1985), entrambe dirette da Neri Parenti.
In Fracchia la belva umana ritroviamo alcuni attori cari a Villaggio: Gigi Reder, nei panni della madre siciliana della belva umana; e Anna Mazzamauro, nei panni della signorina Corvino, amore segreto dello sfortunato Fracchia.
Al di là delle gag di Villaggio che ormai cominciano a esser piuttosto scontate visti i tre precedenti film su Fantozzi quello che rende interessante questa commedia è la presenza di Lino Banfi. I due, entrambi all’apice delle rispettive carriere, si incontrano per la prima volta e ne nasce un duo davvero spassoso. Alla sofferenza di Fracchia replica l’arroganza sciocca del commissario di Polizia Auricchio. I due, insieme, creano alcune tra le più spassose scene comiche della cinematografia degli anni Ottanta.
19) Ieri, oggi e domani
Vincitore di un Oscar e di un Golden Globe come miglior film straniero e di tre Nastri d’Argento, Ieri, oggi e domani è un film diretto da Vittorio De Sica e interpretato da Marcello Mastroianni (vincitore di un BAFTA per la sua interpretazione) e Sophia Loren.
Si tratta di un film a episodi, tre, ambientati in tre grandi città italiane: Roma, Milano e Napoli.
La peculiarità di questa pellicola sta nel fatto che i soggetti sono stati tratti da tre grandi autori della letteratura italiana dell’epoca: Eduardo De Filippo, Alberto Moravia e Cesare Zavattini.
Il film racconta tre spaccati della vita italiana del dopoguerra con ambientazioni temporanee ben riconoscibili nei personaggi interpretati dal duo di attori. Un passato fatto di rovine e di espedienti per vivere; un presente che unisce attraverso una relazione clandestina la ricca borghesia di Milano al ceto medio; e un futuro basato sulla resistenza alle tentazioni carnali. Tutti e tre gli episodi portano come titolo il nome del personaggio femminile interpretato da Sophia Loren la quale conclude il terzo episodio con uno spogliarello molto casto che, trent’anni dopo, riproporrà, sempre a Marcello Mastroianni, nel film di Robert Altman Prêt-à-Porter.
20) Tre uomini e una gamba
E concludiamo questa lunga carrellata di commedie italiane con un altro film di grandissimo quanto inaspettato successo.
Dice Giovanni: “andammo al cinema per vedere la reazione della gente, travestiti perché temevamo che gli spettatori ci chiedessero indietro il prezzo del biglietto. E invece ridevano. Ridevano prima, durante e dopo le battute. Così forte che molti dialoghi erano impossibili da ascoltare“.
Tre uomini e una gamba, scritto da Aldo, Giovanni e Giacomo e diretto da Massimo Venier uscì in quaranta sale, nel pieno del periodo natalizio insieme ad altri film ben più importanti come La vita è bella, Hercules della Disney, Fuochi d’artificio di Pieraccioni e Sette anni in Tibet. Senza pretese, in sordina, la commedia del trio comico che spopolava in televisione, ospite fisso della Gialappa’s Band, come spesso accade esplose diventando un caso nazionale. Il film incassò oltre quaranta miliardi di lire (circa 30 milioni di euro, attuali) e restò nei cinema per diversi mesi.
Anche in questo caso diverse battute sono diventate parte integrante del comune parlare di oggi, chiaro segnale di quanto presa abbia fatto questo film sul pubblico.
La storia, che racconta di un viaggio da Milano in Puglia, è farcita di gag e personaggi del celebre trio. Proprio grazie a questa commistione Aldo, Giovanni e Giacomo vinsero un Nastro d’Argento