Non guardare in alto, don’t look up: è uscito il 24 dicembre, vigilia di Natale, sulla piattaforma streaming Netflix il nuovo film di Adam McKay, regista, sceneggiatore, attore e comico già vincitore di un premio Oscar nel 2016 per la miglior sceneggiatura non originale di La Grande Scommessa, ricavata dal libro Il Grande Scoperto di Michael Lewis.
In realtà Don’t Look Up è stato trasmesso al cinema l’otto di dicembre ottenendo, però, poca visibilità e successo. Chissà se la scelta di renderlo pubblico in quel giorno, da parte di Netflix, sia voluta oppure no. Ma diremmo proprio di sì. Fatto sta che è un caso abbastanza singolare la sua uscita in un giorno così particolare dell’anno, visto e considerato il genere catastrofico.
Il film era stato annunciato nel novembre del 2019 e venduto dalla Paramount Pictures a Netflix alcuni mesi dopo. Jennifer Lawrence (qui vi raccontiamo di come si sia ferita durante le riprese) è stata la prima attrice a far parte del cast con Leonardo DiCaprio che ha firmato subito dopo. Il resto degli attori si è unito all’inizio del 2020. Le riprese erano originariamente previste per l’aprile del 2020 ma a causa della pandemia di COVID-19 sono state ritardate fino al novembre dello stesso anno e terminate nel febbraio di quest’anno.
Don’t Look Up è stato nominato uno dei dieci migliori film del 2021 dal National Board of Review e dall’ American Film Institute e ha ricevuto quattro nomination ai Golden Globe e sei ai Critics’ Choice Awards.
Don’t Look Up è un film satirico con una forte dose fantascientifica, una sorta di allegoria sarcastica e fortemente critica sull’indifferenza dei media, dei governi e della cultura in generale, nei confronti delle grandi crisi che attanagliano il mondo moderno, a partire dal cambiamento climatico. I protagonisti, DiCaprio e la Lawrence (i quali si spartiscono 50 dei 75 milioni di dollari del budget), sono due astronomi di poca importanza nel panorama scientifico nazionale e internazionale che tentano di avvertire l’umanità, in tutti i modi possibili, di una cometa in avvicinamento capace di distruggere la Terra. A completare il già di per sé cast stellare, è il caso di dirlo visto l’argomento, ci sono anche Meryl Streep, nei panni di una presidente degli Stati Uniti, una specie di ibrido presidenziale tra la candidata Sarah Palin, Hillary Clinton e l’ex presidente Trump; Rob Morgan, nei panni di uno scienziato inascoltato a capo di uno strano progetto della NASA in difesa del mondo, realmente esistente; Jonah Hill, nei panni di un arrogante, presuntuoso e stupido capo di gabinetto della Casa Bianca, nonché figlio della Presidente; Ron Perlman, nei panni di un decorato ex militare razzista e omofobo; Cate Blanchett, nei panni di una giornalista televisiva frivola e senza vergogna; Mark Rylance, nei panni di un altro incrocio tra Elon Musk, Jeff Bezos e Bill Gates; e tanti altri ancora, senza dimenticare Ariana Grande che interpreta una sua parodia molto ben riuscita.
Don’t Look Up è una satira dai buoni intenti che punta il dito contro quei politici e quei titani della tecnologia incapaci, per il loro tornaconto personale, di smettere di essere venali. Così ciechi e ottusi da anteporre alla loro vita e quella dei loro cari i soldi e la carriera. Così disonesti e poco lungimiranti da posticipare la salvezza dell’umanità perdendosi in chiacchiere e teatrini anche se ci fosse una cometa (o una pandemia) diretta verso la Terra. Don’t Look Up potrebbe essere una sorta di Armageddon in salsa Veep, in sostanza, senza però la retorica trionfalistica del primo ma con tutta l’incapacità politica del secondo.
McKay sa come strutturare una divertente parodia del mondo anche se forse appare un po’ poco tagliente nei confronti dei social più moderni come Instagram o Tik Tok. Molte idee e tante battute funzionano decisamente bene ma a volte si ha l’impressione che la presa in giro, verso tutto e tutti, sia il centro della storia lasciando un po’ (forse troppo) da parte la critica sociale dando così l’impressione che manchi quasi una logica interna.
La coppia protagonista è ben caratterizzata anche se DiCaprio, pur incredibilmente bravo a districarsi tra le crisi di panico, passa dall’essere un ansioso professore di astrofisica bisognoso di Xanax all’occorrenza a latin lover ossessionato dal mondo dell’apparire per poi tornare a essere il buon padre di famiglia e amorevole marito in troppo poco tempo.
Jennifer Lawrence, invece, è la persona giusta per comunicare al mondo la sua imminente fine. Sa farlo in maniere ferma e diretta, senza romanticizzare la propria e altrui angoscia e senza manierismi di genere. In pratica sembra se stessa, realmente, con quel modo di fare che l’ha resa osannata e ridicolizzata in egual misura (cercate suoi fail su Youtube, sono spassosissimi e la rendono così divinamente umana) a Hollywood.
Quando i due si trovano a contatto con coloro che dovrebbero salvarli (e salvare il pianeta come in Armageddon o in Deep Impact) e cioè la politica e i militari statunitensi, i quali si prendono il diritto di salvare (o distruggere a seconda dei punti di vista) il mondo e l’umanità, si renderanno conto che nessuno li sta ad ascoltare perché troppo presi da altre cose più importanti come scandali sessuali e elezioni (un classico, insomma). Non solo non li ascoltano ma li prendono pure in giro. E in questo Meryl Streep è davvero geniale perché incredibilmente sopra le righe eppure perfettamente credibile, purtroppo.
Così, ai nostri protagonisti non resta altro che rivolgersi alla carta stampata la quale rappresenta, ormai soltanto più nell’immaginario collettivo americano, quel potere capace una volta di far cadere i presidenti e oggi soltanto buona per essere utilizzata come carta per pulire i vetri.
Le strade dei due protagonisti, vittime dell’abuso di potere presidenziale tra le altre cose, a un certo punto si separano in maniera drammatica e non sono in grado di viaggiare nemmeno parallelamente tra loro. DiCaprio intraprende il lato oscuro della forza, ammaliato e sedotto dall’apparenza, finendo divo su internet e televisioni mentre la povera Lawrence finisce, come una reietta qualunque, a fare la cassiera senza interessi in un supermercato qualsiasi.
Mentre il mondo della politica, anziché unire per cercare di migliorare la situazione e magari fare qualcosa di utile risulta invece altamente quanto per nulla incredibilmente divisivo, è capace soltanto di abdicare il suo ruolo per appaltarlo ai privati disinteressati del bene comune, i due protagonisti, di fronte all’apparizione della cometa nel cielo, riescono a riappacificarsi e proseguire nella loro campagna di informazione che li porterà dritti dritti a condividere, insieme, il destino finale dell’umanità.
Don’t Look Up, pensato inizialmente come una forte critica nei confronti della politica mondiale incapace di prendere le giuste iniziative in maniera rapida ed esaustiva per salvare il mondo dalla catastrofe climatica che bussa alle nostre porte, è terribile e potente perché fa, o dovrebbe fare, riflettere. Sui social, ormai come spesso accade, ha creato due correnti estreme: chi grida al capolavoro e chi alla classica americanata, ciascun gruppo cercando di fare la voce più forte per sovrastare l’altra.
Nel guardarlo oggi non si può non avere l’impressione che sia stato scritto per raccontare la follia dei contorni che giornalmente ci raccontano la pandemia dentro la quale ormai viviamo: dagli scienziati che cambiano idea ogni giorno, ai politici che urlano di aprire o chiudere tutto, all’esistenza stessa del virus messa in discussione sui social dividendo l’opinione pubblica tra chi crede e chi no.
Guardando Don’t Look Up viene voglia di gridare, come fanno la Lawrence e DiCaprio perché si prova in maniera viscerale la sensazione che la folle corsa dell’umanità verso un baratro infinito sia inarrestabile. Il film di Adam McKay è terribilmente vero, crudo, reale, persino indigesto, perché tali sono le emozioni che lascia. Pur affrontando tanti argomenti contemporaneamente e senza approfondirne uno, peraltro e non a caso perfettamente in linea con l’attualità odierna, Don’t Look Up ha tutte le carte in regola per diventare un’icona significativa e rappresentativa di questo mondo e di questa umanità. Con buona pace di chi credeva che ne saremmo usciti migliori.
Il film di Adam McKay riassume grottescamente questi ultimi mesi pandemici lasciando allo spettatore interrogativi più che spaventosi, il cui peggiore di tutti è riassumibile in un laconico: siamo davvero così? Ma il pessimismo di Don’t Look Up risulta, alla fine, apparente. Seppure non ci sia speranza per il macro la si può trovare nel micro a patto di voler essere se stessi e non inventarsi altrimenti.