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Il film della settimana – Drive

Drive
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Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piattaforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Drive.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Drive? Ecco la risposta senza spoiler

Disponibile su Netflix (a noleggio su Prime Video e Apple TV), Drive racconta le vicende di un ragazzo di cui non ci viene rivelato il nome. Di lui sappiamo che lavora in un’officina meccanica, fa lo stuntman per riprese automobilistiche e, proprio per la sua bravura al volante, ogni tanto arrotonda lo stipendio facendo l’autista per alcuni rapinatori. La vita di Driver (il Pilota in italiano) – così il protagonista viene chiamato nel film – cambia totalmente quando si innamora della sua vicina di casa, Irene. Le cose si complicheranno con l’uscita di prigione del marito, Standard, soprattutto perché ha dei debiti con dei criminali che minacciano la sua famiglia. Toccherà allora a Driver, per amore della donna, risolvere questa intricata e pericolosa situazione.

È Nicholas Winding Refn a dirigere una pellicola che, per la prima volta nella sua carriera, non ha scritto. Eppure, e qui si vede la differenza tra un buon e un grande regista, Drive è totalmente suo, lo rilegge e lo reinterpreta secondo la sua poetica. A cominciare da Driver, una figura misteriosa, quasi magica e che dona all’opera un’atmosfera favolistica. Certo, una di quelle crudeli, data la violenza mai gratuita e il sangue. È Ryan Gosling a reggere egregiamente il film su Netflix sulle spalle, fatto di lunghissimi primi piani e pochi dialoghi, incarnando magnificamente la dualità del protagonista in una delle migliori interpretazioni della sua carriera. Al suo fianco troviamo attori semplicemente perfetti nei loro ruoli: Carey Mulligan incarna la purezza di Irene, Bryan Cranston è il tragico Shannon mentre Ron Perlman il gangster Nino, Oscar Isaac è Standard e Albert Brooks è il boss Bernie.

A conquistarci di Drive però non è solo la vera azione degli inseguimenti (per niente chiassosi o confusionari come quelli di Fast and Furious o Transformers), i diversi livelli emotivi, la romantica storia d’amore o l’intreccio tensivo e neo-noir, ma soprattutto la tecnica con cui è costruito, che gioca e dà significati importanti alla musica e alla fotografia. Ed è su questo che ci concentreremo nella seconda parte del pezzo.

SECONDA PARTE: La musica e la fotografia di Drive (con spoiler)

“Dammi ora e luogo e ti do cinque minuti. Qualunque cosa accada in quei cinque minuti ci penso io, ma ti avverto: qualunque cosa accada un minuto prima e uno dopo te la cavi da solo. Hai capito?”

Così inizia Drive, con un incipit adrenalinico e perfettamente costruito, in cui Refn svela le sue carte narrative e stilistiche immergendoci in una storia che segue le specifiche regole del regista. Esattamente come il cliente di Driver al telefono. E mentre il protagonista di Ryan Gosling è intento in quell’inseguimento mozzafiato per le notturne strade di Los Angeles, risuonano in sottofondo le chirurgiche, sintetiche e oscure note di Nightcall di Kavinsky & Lovefoxxx, la cui dolcezza del ritornello inserisce, nella meccanicità della musica e nella cupezza noir a tinte pulp del film su Netflix, un che di romantico e fiabesco, esemplificato da questo verso: “I want to drive you through the night down the hills“.

Già da questo primo brano viene esplicitato come la musica sia assoluta protagonista di Drive.

Il compositore Cliff Martinez – noto per le sue collaborazioni con Steven Soderbergh e per la colonna sonora di Grey’s Anatomy – ci regala momenti musicali che si sposano magnificamente con la poetica di Refn e incarnano al meglio lo spirito anni 80 dell’opera. Sempre al confine tra action e romanticismo, le canzoni e le musiche entrano in connessione profonda con noi e creano uno stretto legame con la scena in cui sono inserite, aumentandone il significato e l’interiorità stessa dei personaggi e delle loro relazioni. Un esempio (oltre all’elettrizzante Tick of the Clock e alla bellissima Wrong Floor della scena clou che verrà successivamente analizzata) è A Real Hero dei College ft. Electric Youth: presente in due momenti distinti, ovvero nella gita in macchina con Irene e nel finale, è dolce, nostalgica ed incarna l’essenza di Driver, ovvero un eroe arrivato dal nulla e che nel nulla ritornerà.

L’electro pop, dunque, scandisce il ritmo di Drive e rappresenta il tempo che scorre, la vita apatica del protagonista di Ryan Gosling, l’ordinarietà della quotidianità che va avanti senza particolari emozioni o scosse. Allo stesso tempo, è il battito del cuore di Driver che vive grazie a Irene, che farebbe di tutto per salvare la donna da un destino che non ha scelto lei, agendo dunque non più per sé stesso, ma per il bene di qualcun altro.

I veri significati di questo film su Netflix, però, si nascondono nei silenzi e nel non detto, che dilatano tempo e spazio.

Driver parla poco; non ne ha bisogno. Perché rendere situazioni e sentimenti banali attraverso delle parole che non riescono a esprimerne la grandezza? E rovinarli così del tutto? Lui ne è consapevole e, infatti, comunica ogni cosa con gli occhi, le espressioni che aggiungono via via una sfumatura di dolore in più, il sorriso stentato o il movimento delle sopracciglia. E quando ciò non è sufficiente, sono i fatti che parlano per lui. Anche all’Irene di Carey Mullingan non piace molto usare le parole. Per capirsi ai due basta guardarsi e poco male se non rispondono alle domande dell’altro. Non è apatia, semplicemente il loro innamorarsi è fatto di sguardi e sospiri, incarnando quel romanticismo totale che non si vede, eppure lo sentiamo in ogni cellula del nostro corpo. Respirandolo a pieni polmoni.

Il silenzio, infatti, se ben fatto all’interno del cinema, ha una potenza straordinaria. Fin dagli esordi, Refn è un maestro nel giocare con i silenzi e gli attimi sospesi. Così facendo, dona all’opera su Netflix una carica emotiva straordinaria rendendo pieni e ricchi quegli apparenti vuoti e trovando l’amore in un braccio che protegge o in un bacio al rallenty.

Drive

La stessa minuziosa attenzione e profondità Refn la pone nella fotografia di questo film su Netflix, con un’estetica curata, mai fine a sé stessa e priva di fastidiosi virtuosismi.

Non solo ricerca la perfezione geometrica nella costruzione dell’inquadratura per singoli quadranti (iniziando a comporla dal basso) ognuno portatore di storie e dettagli importantissimi, ma ogni fotogramma potrebbe essere appeso in una galleria d’arte. Nella fotografia c’è lo stesso impatto emotivo presente nella musica, grazie al raggiungimento della luce perfetta in base alla scena e dell’armonia delle immagini. Le dicotomie e i contrasti di Drive vengono espressi anche attraverso la presenza di luci calde o fredde che sottolineano le diverse emozioni. Ad esempio, la prima, presente quando Driver e Irene sono in macchina, esprime il loro amore nascente (e man mano la loro storia va avanti, la fotografia è sempre più calda); quella fredda, invece, sottolinea preoccupazione e inquietudine.

E alla fotografia non possiamo non ricollegarci l’eccellente e significativo uso del colore. Si alternano schemi analoghi (ovvero di colori che si trovano vicini nella ruota, come il giallo e l’arancione) a quelli complementari (colori all’opposto della ruota, come l’arancione e il blu) e Refn, come fosse un pittore con la sua tela, spazia tra tonalità calde e fredde che hanno la stessa valenza delle luci: le prime rappresentano una situazione di pace e benessere; i secondi di distacco, incertezza o pericolo. Un esempio è la prima inquadratura dopo i titoli di testa, dove Irene esce dall’ascensore immerso nel caldo e tranquillo arancione, andando all’esterno che è invece nei toni del freddo e minaccioso verde.

È il rosso a colorare Drive, simboleggiando il potere, la violenza e il pericolo. Lo troviamo, ad esempio, nella scena in cui in cui Irene dice al personaggio di Ryan Gosling che il marito sta per tornare e il rosso ci avvisa che ci saranno sicuramente dei problemi. Le scene con Bernie sono piene di rosso e la sua superiorità viene evidenziata anche attraverso la sua inquadratura dal basso verso l’altro. Sempre in una scena con questo personaggio, vediamo come Refn spesso ribalti il significato dei colori, in questo caso l’armonia dell’arancione: poco prima di uccidere Shannon, è avvolto in quella tonalità che fino a poco incarnava la positività. Il contrasto tra personaggio e colore rappresenta il suo inganno: infatti, Shannon non si accorge, a differenza di Driver, della pericolosità di Bernie. E non è nemmeno casuale che questi due personaggi parlano troppo e sbagliano tanto, opponendosi così a Ryan Gosling.

Un ribaltamento che, in parte, troviamo nell’iconica scena dell’ascensore, la più importante di Drive.

Sintesi di crudeltà e sentimento, del pulp e del romanticismo del film su Netflix, incarna la dualità del protagonista divisa tra l’essere un solitario di poche parole e l’eroe protettivo disposto a tutto per la sua principessa, anche all’atto più violento. Refn trasforma quel non-luogo angusto in un palcoscenico, ne abbassa le luci, ne rallenta il tempo manipolando la realtà secondo la prospettiva dei personaggi, con Ryan Gosling che difende Irene e poi le dona uno dei baci più belli della cinematografia moderna, che il regista prolunga all’infinito prima del ritorno delle luci e dell’esplosione del sangue, di una violenza mai gratuita, ma sempre dolorosa e riflessiva. Il tutto, ovviamente, senza dire una singola parola.

È un momento potente, in cui siamo tornati a quella scena iniziale con Irene che esce dall’ascensore e Driver che vi rimane dentro. La chiusura e apertura di una porta è un espediente molto simbolico nel cinema. Se all’inizio lo spalancarsi dell’ascensore avvicinava i due protagonisti, qui invece è l’emblema del loro allontanamento. Un distacco enfatizzato, appunto, dai colori. L’arancione, infatti, diviene l’esternazione di un pericolo in arrivo, dato che è il colore della camicia del killer e, grazie alle luci, della giacca di Driver, oltre che dell’ambiente che li circonda e in cui avverrà la violenza. Questa tonalità è, inoltre, il complementare del blu della camicia di Irene e il contrasto è bene evidente, così come quello tra l’apparente caldo ascensore – ora simbolo di pericolo – e il freddo ambiente esterno, che rappresenta la salvezza per la donna.

Quella è anche l’ultima scena in cui Driver e Irene sono insieme, con le porte che si chiudono sulla loro struggente storia d’amore per sempre, che sembra metaforicamente durare quei fatidici cinque minuti in cui può succedere di tutto. Ma terminato quel pochissimo tempo in cui non è davvero possibile assaporare la felicità, il personaggio di Ryan Gosling si rimette alla guida dell’auto e parte. Ora dobbiamo cavarcela da soli, noi e Irene. Anche se ci chiediamo costantemente dove sia il nostro guidatore. Ma si sa, purtroppo lo scorpione non può cambiare la sua anima, nemmeno se lo desidera con tutto sé stesso. Esattamente come Driver.

Il film della scorsa settimana – La città incantata