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Il film della settimana: Ex Machina

Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piattaforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Ex Machina.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Ex Machina? Ecco la risposta senza spoiler

Disponibile su Sky e NOW (a noleggi su Amazon Prime Video e Apple Tv), Ex Machina è incentrato sul giovane programmatore Caleb Smith, impiegato per la multinazionale che detiene il motore di ricerca più potente al mondo, ovvero Bluebook. Vince una lotteria indetta nella sua azienda, il cui premio consiste nel trascorrere una settimana nella tenuta segreta del capo e fondatore della compagnia, Nathan Bateman. Una volta giunto a destinazione, scopre di dover lavorare alla nuova intelligenza artificiale creata da Nathan, testando se Ava (il nome dell’I.A.) possieda o meno una propria coscienza attraverso il test di Turing. In pratica, se Caleb non si rende conto di star parlando con un robot, vuol dire che la macchina non sta solo simulando il comportamento umano, ma l’ha compreso, fatto suo e riesce a usarlo spontaneamente. Ben presto, però, Caleb si ritroverà in una claustrofobica situazione in cui non riconoscerà più la verità dalla simulazione.

Alex Garland propone nel suo esordio alla regia un film semplice nella storia, ma potente nel messaggio e nelle tematiche che affronta. Caratterizza alla perfezione i pochi personaggi della pellicola – splendidamente interpretati da Domhnall Gleeson (Caleb), Alicia Vikander (Ava) e Oscar Isaac (Nathan) – i quali mettono in luce, attraverso gli ottimi dialoghi, la superba e profonda sceneggiatura. Crea un’atmosfera lenta dietro la quale si nasconde qualcosa di disturbante, chiudendola in quella location in stile Kubrick in cui c’è la sensazione che ogni dettaglio possa essere fondamentale e portare a riflessioni decisive. Passa dalla fantascienza al thriller, toccando punte di horror alla Black Mirror, in un climax da brividi. In tutti i sensi.

Ex Machina è, dunque, una di quelle opere che cambia la nostra visione del mondo; una profonda analisi sull’intelligenza artificiale, sull’umanità stessa e sul loro rapporto, che ci costringe a porci una delicatissima domanda: chi è davvero l’uomo e chi la macchina? Ed è proprio sulla relazione tra uomo e tecnologia che si concentra l’approfondimento nella seconda parte del pezzo.

SECONDA PARTE: Il rapporto tra umanità e tecnologia in Ex Machina (con spoiler)

Ex Machina

Ex Machina parte da una premessa tanto semplice, quanto rivoluzionaria: il test di Turing. Come spiegato nella prima parte ma ripeterlo non fa mai male, esso serve per capire se una macchina riesce a pensare autonomamente. Se posti davanti a essa, non ci rendiamo conto che stiamo interagendo con un computer, allora il test è superato. Durante le conversazioni tra Caleb e Ava, il primo presenta un atteggiamento di superiorità, sicuro di avere il controllo e di essere lui l’interrogatore. In realtà, la cosa è molto più complessa di quel che crede. Ed è proprio dalla perdita delle sue certezze che si ragiona sul rapporto tra umano e intelligenza artificiale; su come la tecnologia venga usata per parlare di tutti noi nella pellicola su Sky e NOW.

E allora, punto di partenza dell’analisi è sicuramente l’I.A. interpretata da Alicia Vikander.

Ava è ritratta inizialmente in maniera classica. Questo robot è amichevole, dolce, mansueto e sottomesso all’uomo-padrone; cose che, con l’andare avanti della trama, si perderanno. È durante i black-out, quando Nathan non può sorvegliarli, che emerge la sua vera natura; lì, in quei momenti di confidenza con Caleb, dove si sente libera di mostrare sentimenti profondamente umani come l’amore, la voglia di libertà, la paura o la speranza. Così, il tarlo del dubbio sull’identità di Ava inizia a penetrare prima nelle mente di Caleb, poi nella nostra, perché pure noi siamo coinvolti nel test di Turing e siamo chiamati a determinare se Ava abbia davvero una coscienza umana o se quelle emozioni che sembrano così autentiche, in realtà, sono il frutto di una simulazione.

È ambigua l’interpretazione di Ex Machina sulla grande questione del chi è davvero l’essere umano, eppure è illuminante. Dopo aver ucciso Nathan e aver intrappolato Caleb nella casa che l’ha imprigionata fino a quel momento, Ava fugge nel mondo da sola, senza più catene che la legano. Dunque, da un lato sembra che lei abbia finto i sentimenti per Caleb per convincerlo ad aiutarla, rendendoli dunque parte di una simulazione che negherebbero il suo possedere una coscienza umana e, quindi, il test di Turing stesso. Però, dall’altro lato, le macchinazioni ordite da Ava per ottenere la sua libertà incarnano quella spinta del tutto umana a raggiungere quello che desideriamo, anche a costo di tradire la fiducia di un’altra persona. Allora, Ava l’ha superato quel test, perché non simula ed è perfettamente autonoma nel portare avanti inganni e vendette, combattendo inoltre per la sua stessa vita. E, come dice la tagline di Ex Machina:

“Non c’è niente di più umano della voglia di sopravvivere”

O, in seconda battuta, di ingannare e vendicarsi.

Quello che compie Ava in Ex Machina è un vero e proprio percorso evolutivo.

Nathan descrive spesso come l’I.A. sia il passo successivo nella nostra scala evolutiva, uno di quelli decisivi come lo fu il passaggio dalla scimmia all’essere umano. Gli indizi disseminati nel film su Sky e NOW sono molteplici a riguardo, di cui il più evidente sono le maschere nel corridoio della villa che ripercorrono la storia dell’umanità fino ad arrivare ad Ava, la nuova e perfetta specie. Un momento ripreso anche dall’androide quando, dopo la scoperta di tantissime donne-robot create da Nathan e nascoste letteralmente come scheletri nell’armadio, indossa la pelle di chi l’ha preceduta, portando così un pezzo di loro in quel raggiungimento della libertà che tutte avevano sognato. È questo atto che chiude l’emancipazione della sua specie. Distrutte le catene del padrone, afferma l’indipendenza degli androidi che – e non è casuale – sono tutte donne, collegandosi ulteriormente a questioni fondamentali della nostra società contemporanea.

Ava non è più schiava, ma, elevatosi a punto massimo dell’evoluzione, è perfettamente in controllo della sua vita e del suo destino, pronta per dare il via a una nuova era per la Terra. Il suo nome, del resto, rimanda all’Eva biblica, anche lei ribellatosi al suo Creatore e in cerca della sua identità al di fuori del giardino dell’Eden.

Il concetto di creazione, infatti, è centrale in Ex Machina, che ci pone una domanda semplice ma difficile allo stesso tempo: c’è un limite che non dovrebbe essere superato nemmeno dagli scienziati? Ecco che, nell’opera su Sky e NOW, Nathan diviene l’archetipo dell’uomo che vuole rendersi uguale a Dio. Più volte, infatti, definisce sé stesso una divinità che riuscirà, con la sua invenzione, a creare una forma di vita superiore, destinata a surclassare l’imperfezione dell’uomo. Abbandona così i panni dello scienziato per indossare quelli del creatore di una nuova specie e per affermare la sua genialità genitrice in un delirio d’onnipotenza che non gli permette di vedere le conseguenze di ciò che sta facendo.

È un qualcosa di estremamente attuale in una società come la nostra, dove la scienza ha raggiunto vette così elevate da poter realizzare l’impossibile. Diventa, dunque, imperativo chiedersi se è eticamente giusto perseguire quell’impossibile. Fondamentale, quindi, è la figura dello scienziato, nelle cui mani c’è il progresso dell’intera umanità e con le sue scelte può indirizzarlo verso lande oscure e pericolose o verso terre inesplorate e positivamente umane.

Ex Machina

Abbiamo menzionato come i droidi siano solo donne, il che apre una riflessione sulla questione di genere.

Ava, infatti, ha una corporeità e un genere ben definito e viene programmata per essere eterosessuale e provare piacere fisico. Caleb si chiede il perché, Nathan si giustifica dicendo che, se vuole realizzare una tecnologia cosciente, la dimensione della sessualità è fondamentale perché definisce l’essere umano. La verità, però, è più sfaccettata di così. Infatti, Ava è costruita per essere scrutata proprio da Caleb, uomo etero, senza legami amorosi o familiari e facilmente manipolabile, ed è sulle sue preferenze fisiche ed emotive che viene modellata. Ecco che, dunque, a essere testata non è solo Ava, ma anche Caleb, sottoposto a colloqui con una macchina per cui può provare attrazione e osservando come lei può sfruttarlo a proprio vantaggio. E non solo. Ava risulta la damigella in pericolo che solo Caleb può salvare, alimentando così il suo ego. Lei è l’oggetto da guardare, lui il fortunato che può farlo.

Garland è consapevole di ciò, di come il cinema classico indugiava spesso sulla protagonista femminile, soprattutto se l’inquadratura era una soggettiva della controparte maschile. Ecco che, allora, decostruisce questi stereotipi nel suo film su Sky e NOW. Ava non deve essere salvata, è conscia di come pensa Caleb e lo manipola. Lo provoca dolcemente con affermazioni del tipo:

“Ogni tanto la notte, mi chiedo se mi guardi dalla videocamera, sperando che tu lo stia facendo”.

E chiaramente lo sguardo di Caleb non è analitico o obiettivo, ma voyeuristico. Nathan è sicuro che quel comportamento deriva dalla sua programmazione, ma l’androide si ribellerà anche a lui. Ed è pure liberandosi dallo sguardo dei due uomini, dal condizionamento maschile, che conquista la sua indipendenza, identità e coscienza. Anche perché lei è stata costruita per compiacere l’onnipotenza di Nathan e il servilismo indirizzato verso la conquista di Caleb. Ava indaga e rovescia quello sguardo, sfruttando le debolezze altrui. E si arriva, così, all’ultima inquadratura di Ex Machina, volutamente ambigua. Ava è libera nel nostro mondo, eppure l’ultima volta che la vediamo è, di nuovo, attraverso un vetro. Garland è come se ci dicesse che, finalmente, l’unico sguardo a cui deve sottostare è il suo. Finalmente può agire senza essere costantemente osservata, ottenendo pieno controllo sulla sua identità.

Ecco tutto quello che Ex Machina ci dice su di noi mediante la tecnologia. Parla dei nostri sentimenti, delle speranze, delle paure, del timore dell’ignoto, dello smarrimento e del bisogno di rassicurazioni. Scava a fondo in noi, rivoltando le carte e arrivando a farci chiedere chi sia davvero la macchina in questo film su Sky e NOW. Il tutto inserito nell’era dei social, di Google, del virtuale, sottolineando un percorso che ormai è compiuto, perché uomini e macchine cammineranno insieme per molto, moltissimo tempo.

Il film della settimana scorsa: Animali notturni