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La spiegazione del finale di Fight Club

La scena finale
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ATTENZIONE: L’ARTICOLO CONTIENE SPOILER SU FIGHT CLUB

Dopo aver diretto una pellicola come Seven non deve essere stato facile per David Fincher raggiungere un livello tecnico e contenutistico elevato quanto quello del thriller del 1995. Eppure appena quattro anni dopo è riuscito a donare al pubblico un film come Fight Club che per complessità non ha nulla da invidiare al suo predecessore. Perché, dietro alle apparenze, quest’opera e soprattutto il suo finale nascondono una stratificazione di significati e di letture per nulla banali, che meritano un’analisi approfondita.

In questo cult Fincher ha decostruito e ricostruito, giocando con noi spettatori, e per farlo ha utilizzato l’espediente narrativo accanto a quello più propriamente cinematografico del montaggio. Ha smontato e rimontato situazioni e personaggi in un racconto caotico e allucinato che va ben al di là del combattimento e della violenza del club segreto. Quindi, per poterci orientare tra i mille interrogativi che emergono durante la visione del film e per comprenderne il finale, la domanda giusta da porsi è: i calci e i pugni che percuotono brutalmente i personaggi, portandoli persino allo stordimento o allo svenimento, arrivano dagli altri individui o dai modelli e le convenzioni della società moderna?

Una società che ci spinge in un angolo a colpi di violenza psicologica oltre che fisica. Che ci ricatta con il possesso e il consumismo spinto e ci usa a proprio piacimento. Che ci aliena e ci deruba della nostra coscienza, quella con la C maiuscola, preziosa e insostituibile. “Siamo materia organica che si decompone come ogni altra cosa”, dice Tyler Durden (Brad Pitt) al protagonista, il Narratore senza nome, impersonato da un nevrotico e insonne consulente assicurativo (Edward Norton). Assolutamente sì. È un dato oggettivo.

Ma siamo anche pensiero, emozioni, sentimenti. Per dirlo con una parola sola: anima. E quindi il volto pallido e stralunato dell’uomo diventa l’Urlo di Munch che squarcia la sua stessa esistenza. Un urlo di dolore, di angoscia e di solitudine ma anche una presa di Coscienza, appunto. Coscienza che inizia con l’accettazione della sofferenza, come la bruciatura chimica sul dorso della sua mano.

Edward Norton
Credits: 20th Century Fox

Ma chi è veramente il Narratore? È l’impiegato medio di una grossa casa automobilistica? È Tyler Durden? O siamo noi? Come individui e come collettività? È questa la chiave di lettura del finale (e del film). In Fight Club infatti l’epilogo è il prologo. È un cerchio che si chiude e che è tutto completamente incentrato sulla persona. E sulla mente. La visione antropocentrica voluta dal regista coincide quindi con l’introspezione psicologica del protagonista, con il suo ritorno a essere sé stesso dopo aver compiuto una discesa spericolata all’interno del lato più torbido e inesplorato della psiche umana. Psiche che può giocare brutti scherzi quando viene ridotta a un semplice strumento di esecuzione di dogmi imposti subdolamente dalla società in cui viviamo.

Ma noi non siamo questo. Non siamo l’ingranaggio minuscolo e insignificante della catena produttiva di Tempi Moderni di Charlie Chaplin. “Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la canticchiante e danzante me**a del mondo!” Questa battuta, tra le più famose di Fight Club, è il cardine della filosofia della pellicola. Conduce lo spettatore all’accettazione dei fatti, la stessa avuta dal personaggio interpretato da Edward Norton durante la sequenza conclusiva.

Ecco quindi che sullo schermo davanti ai nostri occhi vediamo una grande vetrata affacciata sullo skyline notturno di una metropoli. Ma soprattutto vediamo Tyler Durden infilare una pistola in bocca a…Tyler Durden. In questo preciso momento scopriamo che il Narratore della storia e il personaggio di Brad Pitt sono la stessa persona. Ed è sconcertante. Perché ciò a cui abbiamo assistito fino a ora non è nient’altro che la scissione della mente del Tyler di Norton. La sua psiche disperata, sofferente e squilibrata ha creato un alter ego cinico, anarchico, istintivo e primordiale, il Tyler di Pitt, perfettamente complementare alla personalità passiva e sottomessa del consulente assicurativo. E quindi tutti gli avvenimenti che si sono succeduti durante il film sono certamente reali ma sono stati originati da un unico individuo.

Il Fight Club, la lotta fisica e liberatoria, il progetto Mayhem e persino gli amplessi con Marla Singer (Helena Bonham-Carter) sono tutti opera del Tyler-Narratore. È lui il grande demiurgo che sta dietro il piano di sovversione della società capitalista. È lui che si picchia da solo mentre viene inquadrato dalle telecamere di un parcheggio. È lui che fa pipì nelle pietanze dei ricchi ed è sempre lui che produce sapone dal grasso delle liposuzioni. Gli indizi attraverso i quali capire che i due sono una cosa sola sono disseminati per tutta la pellicola, eppure non ce ne accorgiamo veramente. Il cervello li coglie, ma la nostra coscienza vigile un po’ meno.

Una scena del film di David Fincher
Credits: 20th Century Fox

E questa è un’altra grande idea di Fincher. L’introduzione di alcuni fotogrammi della durata di un battito di ciglia che ci mostrano il Tyler di Pitt che piano piano va delineandosi nella mente del Tyler di Norton. È esponenziale: più la mente di quest’ultimo si sdoppia, più l’alter ego si palesa, fino a prendere il sopravvento e ad agire come essere indipendente. Perfino i titoli di testa suggeriscono allo spettatore la nascita di Tyler Durden. Sono infatti un viaggio trascendente nelle sinapsi del cervello del protagonista.

Ma torniamo alla scena finale. Siamo al capolinea, in cui i due Tyler si affrontano per l’ultima volta. La pistola che nell’incipit del film vediamo essere premuta nella bocca del Narratore, si sposta nella sua mano. Ora l’arma è puntata sul Tyler Durden di Brad Pitt e quindi sul Narratore stesso. Questo atto ci fa capire la sua presa totale di Coscienza, confermata dalla frase: “Ho gli occhi aperti Tyler”. Ecco quindi che il grilletto della pistola viene premuto. È necessario sopprimere quella parte estremista e malata della mente. Bisogna trovare un equilibrio.

Ma quello a cui assistiamo è a tutti gli effetti un omicidio-suicidio. La traiettoria della pallottola però compie una deviazione fortunata, uscendo dalla guancia di Tyler senza ucciderlo. Nel frattempo arriva Marla, che si rivolge all’uomo chiedendo chi è colui che gli ha sparato. Chi è il colpevole. E cosa rispondere a questo punto? Il carnefice e la vittima sono la stessa persona, che è esattamente ciò che tiene imprigionati anche noi nella nostra quotidianità materialista e vuota: noi stessi.

Nel frattempo le note della splendida canzone Where is my mind? dei Pixies aumentano di volume ad accompagnare l’esplosione dei palazzi al di là del vetro, di fronte a Tyler e Marla. I due si prendono per mano mentre guardano, come noi, i centri del potere economico sgretolarsi e crollare come giganti di sabbia. Anche se il Tyler-Pitt è stato rimesso al suo posto, il progetto Mayhem è comunque iniziato. E in questo momento c’è un altro colpo di genio di Fincher e dello sceneggiatore Jim Uhls.

La scena finale
Credits: 20th Century Fox

Infatti l’ultimissima immagine che vediamo prima dei titoli di coda è il fotogramma di un pene. Questo è l’ennesimo gioco ironico con il pubblico perché ci ricorda come Tyler, durante la sua parentesi di follia, rimaneggiava le pellicole dei film inserendo brevi scene pornografiche. E quindi la spiegazione definitiva viene da sé. L’alter ego ribelle è stato “ucciso” provvisoriamente, ma è pur sempre parte integrante e per certi versi fondamentale della mente del protagonista. È solo assopito da qualche parte in un angolo del suo cervello ma non si può escludere che possa risvegliarsi nuovamente, un giorno o l’altro.

Il significato del finale di Fight Club e la riflessione che ne consegue sono più che mai necessari. Lo erano nel 1999 così come lo sono oggi. Tra social network, piattaforme di streaming e shopping online le nostre esistenze sono diventate ancora più isolate, alienanti e meccaniche rispetto a com’erano 26 anni fa. Ma non dobbiamo dimenticare che ognuno di noi conserva dentro di sé una parte ribelle, umana e senziente che se usata in maniera intelligente può condurre a cambiamenti positivi. Possiamo fermarci e prendere Coscienza di noi stessi, di chi vogliamo veramente essere e di come vogliamo vivere, accogliendo e accettando i nostri sé. I vari Tyler Durden che ci compongono.