La custode di mia sorella
Come nel caso di The Last Song, La custode di mia sorella (2009) è tratto da un romanzo, questa volta di Jodi Picault. Qui, tuttavia, non ci sono inganni perché il film si presenta subito con l’atmosfera che lo contraddistinguerà dall’inizio alla fine. A essere, per me, insostenibile è proprio la premessa attorno a cui ruota il film: Kate Fitzgerald è una ragazzina colpita fin dall’infanzia dalla leucemia (e già la vicenda mi avrebbe profondamente commossa se si fosse fermata qui). Per cercare di “riparare” la patologia progressiva di Kate, i genitori concepiscono in provetta un’altra figlia, Anna, che non appena avrà la maturità per capire la situazione, cercherà di ottenere l’emancipazione medica e rivendicherà i diritti del proprio corpo che non può, e non deve, essere uno strumento da cui attingere in maniera assillante per salvare la sorella. La colonna sonora dà il suo bel contributo a esasperare le scene più drammatiche del film e no, non lo riguarderò un’altra volta!
Sette anime
Qui la decisione di non riguardare il film è in realtà molto ardua perché Sette Anime, nonostante mi abbia fatto produrre una quantità di lacrime dalla quale sono riuscita a fuggire soltanto costruendo l’Arca di Noé 2.0, mi è piaciuto davvero tanto. Del resto non ero nuova alla commozione da film di Will Smith, ho ovviamente pianto anche guardando La Ricerca della Felicità. Per quanto riguarda Sette Anime, che ho visto ben dopo la sua uscita proprio perché immaginavo la mia reazione, ciò che più mi ha attanagliato lo stomaco è l’idea di una sofferenza e un dolore che collegano diverse persone, anche apparentemente lontane tra loro. A tutto questo si aggiungono tematiche di certo non facili da affrontare, come quella del suicidio e del sacrificio totale per un’altra persona. Gli spunti di riflessione non mancano, un elemento che mi piace trovare in quello che guardo. Chissà, magari in futuro cambierò idea, ma per il momento non penso di avere il coraggio per avventurarmi di nuovo nella visione.
Il bambino col pigiama a righe
Con il film riguardanti la tematica della Shoah ho sempre avuto un rapporto complicatissimo perché ne capisco l’importanza, però allo stesso tempo mi distruggono. Qui non si tratta solo di piangere, di commuoversi. Ed è anche giusto così, visto l’argomento del quale stiamo parlando. I film sulla Shoah mi fanno proprio stare male e Il bambino col pigiama (2008) a righe non fa eccezione. L’ho visto ai tempi della scuola, nel corso di una Giornata della Memoria, ed è stato davvero difficile bloccare lacrime e reazioni per non farmi vedere piangere dai miei compagni di classe. Vedere un bambino, nella sua innocenza e ingenuità, al centro della storia narrata non fa che acuire lo strazio – un po’ come accade con il bambino de La Vita e Bella e con quello di Giona che visse nella balena, tutti film che proprio non riesco a rivedere. La drammatica sequenza finale, poi, mi ha dato proprio il colpo di grazia.