Dove sei, tenerezza umana? Forse solo nei libri? Scriveva Izet Sarajlić Izet Sarajlić, poeta e filosofo bosniaco. A questa domanda aggiungerei anche un’altra possibilità, ricordando quanta tenerezza sussista all’interno delle pellicole cinematografiche. Una macchina da presa è tutto quello che serve per scrivere una storia fatta di carezze, anche se all’interno contiene degli schiaffi. Questa è forse la magia del cinema: quando vuole, riesce a rendere delicato anche quello che non lo è. Per riuscire in questa impresa bisogna collegare con maestria diversi tasselli, donando al film la possibilità di sviscerare l’introspezione, la fragilità e le debolezze dei personaggi creando, a tutti gli effetti, una poesia cinematografica. Stiamo parlando di pellicole che, una volta conosciute, diventano qualcosa di essenziale, qualcosa di cui si aveva bisogno ma di cui non si era a conoscenza. Sono pellicole capaci di guardarti dentro attraverso l’occhio di una macchina da presa che stringe su dei volti che ci rappresentano, e che sono ben coscienti di farlo. Non sono storie singole, ma collettive, rappresentative.
Sono 120 minuti (minuto più, minuto meno) di fantasie capaci di sviscerare qualcosa che avevi bisogno di incontrare, e di cui non potrai più fare a meno
1) Otto e Mezzo – Federico Fellini
Perché non sa voler bene.
Considerato come uno dei capolavori più importanti di Federico Fellini, Otto e Mezzo arriva nel 1963 e rivoluziona completamente il panorama italiano e non solo. La storia si concentra su Guido, un regista di quarant’anni frustrato e stanco. Ogni cosa nella sua vita non funziona più, neppure ciò che utilizza per distrarsi da tutto quello che cade a pezzi. Guido è la totalità di tutto ciò che non va bene in lui, è i suoi smarrimenti, i suoi fantasmi. Il suo percorso all’interno del proprio smarrimento lo porterà a vivere nel disagio della propria esistenza, facendosi strada tra la follia e la realtà,il pericolo e la certezza. Fellini ci ha lasciato per questa ragione una delle più alte forme di cinema, forse la definizione più autentica di questo termine. Per la prima volta la figura dell’uomo in piena crisi viene raccontata senza mezzi termini o limiti, permettendo così al pubblico dell’epoca di vivere una nuova esperienza cinematografica fino a quel momento ancora dormiente. Guardare Otto e Mezzo significa venire a patti con un uomo disintegrato da se stesso e dalla sua tendenza ad auto sabotarsi, altro aspetto che prima degli anni ’60 non era ancora stato sdoganato.
2) La Notte – Michelangelo Antonioni
Preferivo averti così, come una cosa che nessuno poteva togliermi perché ero il solo a possederla. Una tua immagine per sempre. Oltre il tuo volto vedevo qualcosa di più puro e di più profondo in cui mi specchiavo.
Poco prima di Otto e Mezzo di Federico Fellini arriva La Notte di Michelangelo Antonioni, un altro mostro sacro del cinema italiano. Al centro della storia troviamo Giovanni, un uomo che sta affrontando un’intensa crisi matrimoniale. Lui e la moglie si ritroveranno a vagare in una villa di campagna che riserverà delle sorprese emotivamente devastanti per entrambi. Ognuno dei due vivrà infatti delle avventure sentimentali che li cambieranno profondamente, ma l’alba li aspetta e la verità sul loro rapporto li raggiungerà insieme al sole. I personaggi dipenderanno così l’uno dall’altro senza però esserne coscienti. Crederanno di ripartire da loro stessi, ma in realtà non riuscirebbero a far nulla senza l’aiuto dell’altro, anche se appena conosciuto. La catena dei legami di Michelangelo Antonioni si impone così fondamentale all’interno de La Notte, e racconta quanto in realtà siano i nostri rapporti a decretare la nostra esistenza, ciò che siamo. Sono lo specchio in cui ci riflettiamo, la messa in atto di ciò che abbiamo dentro.
3) The Lobster – Yorgos Lanthimos
Un giorno, mentre giocava a Golf, pensò che è più difficile fingere di provare sentimenti che non si hanno che fingere di non provare sentimenti che invece si hanno.
Forse è uno dei film più delicati di Lanthimos, forse è anche quello meno conosciuto. Il regista di origine greca ha collezionato dei grandi capolavori che hanno raccontato il mondo attraverso realtà fittizie e distopiche, ambientazioni angoscianti e quasi soffocanti. The Lobster arriva nel 2015, e racconta un futuro distopico in cui le persone single sono costrette a trasferirsi in un hotel in cui dovranno trovare la propria anima gemella. Se non riescono nella loro impresa, verranno trasformati in animali, dettaglio che restituisce ancora una volta un equilibrio tra la realtà e la fantasia di questa pellicola. Lanthimos sviscera gli elementi tossici dei rapporti mostrando come la solitudine non venga accettata dalla società che impone delle continue alternative a questa, anche se poi non fa altro che lasciarti lì in mezzo abbandonato. L’amore in The Lobster è un concetto obbligatorio, una chiave che apre le porte dell’accettazione nella società, e non della propria individualità. Lanthimos utilizza dunque questa pellicola per denunciare la falsità di un mondo patinato che finge sentimenti anche lì dove vi è un’arida apatia, un ingombrante silenzio.
4) La Pazza Gioia – Paolo Virzì
Io sono nata triste.
Guardare La Pazza Gioia significa morir di malinconia, accettare la nostra tristezza come qualcosa che non possiamo allontanare, ma soltanto gestire. Donatella e Beatrice sono ospiti di una comunità per donne affette da disturbi mentali, ma riescono a scappare via per cominciare un viaggio che le segnerà profondamente. Nessuna delle due ha mai davvero conosciuto la delicatezza, hanno sempre dovuto improvvisarla in qualche modo, anche quando non vi era alcuna traccia. Sono nate tristi, ma con la rivoluzione nello stomaco. Non hanno paura di fuggire e ricominciare da capo, non hanno paura di cercare quel che vogliono trovare, e non hanno neanche paura di trovarlo. Sono come degli animali finalmente liberi che pretendono di conoscere qualsiasi parte del mondo, come dei prigionieri che riescono a evadere ma con poco tempo a disposizione. Donatella e Beatrice sono mosse da un senso di rivoluzione che le porterà ad andare ovunque, anche dentro un passato che non le lascerà mai in pace.
5) Le Conseguenze dell’Amore – Paolo Sorrentino
Una cosa sola è certa, io lo so: ogni tanto, in cima a un palo della luce, in mezzo a una distesa di neve e contro un vento gelido e tagliente, Dino Giuffrè si ferma, la malinconia lo aggredisce e allora si mette a pensare. E pensa che io, Titta Di Girolamo, sono il suo migliore amico.
Titta Di Girolamo è un mistero per tutti, perfino per noi. Quando lo conosciamo non sappiamo nulla di chi sia davvero, di che cosa ci faccia in quel paesino così apparentemente privo di colore, così scuro da essere quasi paragonabile all’oscurità che il protagonista sembra portarsi dentro. Soltanto dopo la metà del film capiamo in realtà che cosa nasconda, come viva, quali siano i suoi rimpianti. Però poi scopriamo anche altro, lo vediamo rovinarsi con le sue mani a causa delle conseguenze di quel che ha fatto. L’amore può essere tante cose, ma per Titta Di Girolamo nessuna di queste sarà mai davvero bella. Sarà estenuante, deleteria, letale. Sarà quel che metterà fine alla sua attività, alla sua vita. Le Conseguenze dell’Amore rimane tuttora una delle pellicole più complesse di Paolo Sorrentino, una di quelle che comprendi forse alla seconda visione e di cui poi non potrai più fare a meno.
6) Licorice Pizza – Paul Thomas Anderson
Certo che vado al cinema, Alana.
Paul Thomas Anderson passa da Il Petroliere a Licorice Pizza con una facilità che solo un regista eclettico come lui possiede. La pellicola, arrivata nelle sale italiane soltanto qualche mese fa, narra le vicende dell’America degli anni ’70 da un punto di vista più infantile, dinamico e proiettato verso il domani. I protagonisti sono d’altronde due ragazzi che ancora hanno una storia da scrivere, degli obiettivi da raggiungere. Non vedono le cose come gli altri, ma tutto il contrario. Ogni occasione è per loro un albero da cui può essere raccolto un frutto, un seme da cui può sbocciare un fiore. La disillusione arriverà soltanto con il tempo, ma sarà immediata la sfiducia nei confronti dei rapporti. Il lavoro e gli obiettivi professionali, in Licorice Pizza, sono qualcosa a cui i protagonisti credono di più, dettaglio che fa capire ancora di più la differenza tra il presente e il passato. Nella pellicola di Paul Thomas Anderson tutti corrono senza trovar mai tregua, senza mai volersi fermare. Ogni passo indica un salto in avanti verso il futuro, ma anche verso lo smarrimento. Verso la libertà, verso la disintegrazione e poi la ricostruzione.
7) E’ Stata la Mano di Dio
Ma quand’è che avete cominciato a essere così deludenti? Perché siete così assertivi? Ma pensare a mangiare e bere, che è l’unica cosa che sapite fà
E’ Stata la Mano di Dio combina risata e angoscia nello stesso modo, quasi intercambiandole una dopo l’altra. Delicatezza e smarrimento sono qui i due protagonisti fondamentali, il libretto d’istruzioni che spiega come funzioni quell’oggetto. Queste due sensazioni rendono E’ Stata La Mano di Dio un film reale e non soltanto biografico. In nessun momento Sorrentino prende l’intera scena raccontando di sé in prima persona, ma soltanto in terza. Ciò che narra è la sua storia, ma in un modo diverso che segna ancora una volta l’importanza del cinema: il suo passato diventa presente, la sua individualità diventa una pluralità di storie. Nonostante la sua tematica personale, Sorrentino riesce a scrivere una pellicola che restituisce a chiunque qualcosa di proprio, dei dettagli in cui tutti possono riconoscersi per catturare qualcosa.