Non essere cattivo (2015)
- Regia di Claudio Caligari
- Disponibile su Raiplay (e non è certo l’unico)
2015, ma anche 1983. Trent’anni abbondanti per chiudere una trilogia di film. Gli unici di uno straordinario regista che ha vissuto il cinema con innata passione. Al punto da averlo portato a esplorarlo attraverso numerose opere poi non realizzate. Non essere cattivo, però, ha visto la luce. L’ha fatto dopo la dipartita del suo autore, l’indimenticato Claudio Caligari, grazie all’impegno dell’amico Valerio Mastandrea, impegnatosi in prima persona per portare a termine l’impressionante sforzo espressivo di un artista che ha lasciato un segno profondo nel nostro cinema. Come dicevamo, Non essere cattivo chiude una trilogia composta da altri due film importanti: Amore tossico (1983) e L’odore della notte (1998).
Sarebbe riduttivo avventurarsi all’interno della trama o esprimersi brevemente a proposito della sua poetica: Caligari, scomparso nel 2015, è stato un autore profondo e ispirato, erede ideale di Pasolini e portatore del suo spirito all’interno delle sue opere con un taglio tutto suo. Qualcuno vede Non essere cattivo come punto finale del mondo pasoliniano, e probabilmente è vero. Ma è fondamentale, allo stesso tempo, evidenziare le peculiarità di un regista che ha vissuto il cinema con grande autonomia, senza compromessi. Senza mai scadere nella retorica, con un taglio da documentarista che non ha mai rinunciato alla sua visione del mondo.
Insomma: per questi e per tanti altri motivi, Non essere cattivo è uno di quei film italiani da vedere sul serio. Vederli e rivederli, entrando nelle profonde sfumature di un’opera che ha consegnato alla storia il talento di un artista dal quale abbiamo avuto tutto quello che è riuscito a darci. Tre film, straordinari. E l’eredità, impossibile, di un autore che ha portato in alto la bandiera del cinema italiano tra l’indifferenza di troppi.
Film italiani da vedere – Lo chiamavano Jeeg Robot (2015)
- Regia di Gabriele Mainetti
- Disponibile su Sky, Now e Infinity+.
Chiudiamo il nostro viaggio nella storia del cinema italiano con un’opera piuttosto nota anche ai lettori più giovani. Realizzato dall’istrionico Gabriele Mainetti, Lo chiamavano Jeeg Robot è quanto di più peculiare e poliedrico abbia prodotto il cinema italiano negli ultimi anni. Realizzato con un budget piuttosto ridotto, immerge il nostro movimento all’interno del genere supereroistico con modalità tutte sue, sovversive ed eclettiche. Basta leggere la sinossi, per rendersene conto: “Enzo entra in contatto con una sostanza radioattiva che lo rende fortissimo. Quando conosce Alessia la ragazza pensa sia l’eroe del cartone animato Jeeg Robot”.
Un plot stranissimo, per un film italiano degli anni Duemila. Un film italiano da vedere assolutamente.
Tantopiù, se si pensa al successo che ha avuto. Numerosi, infatti, i riconoscimenti ai David di Donatello, mentre il pubblico l’ha accolto fin da subito con l’enfasi dell’instant cult. Un successo meritatissimo, connesso soprattutto alla capacità di accogliere il cinema statunitense in casa propria senza mai scadere in miopi provincialismi. Lo chiamavano Jeeg Robot non è un film americano all’italiana, affatto. Al contrario, sfrutta canoni, ispirazioni ed elementi espressivi per inglobarli in un’ottica soggettiva fortemente italiana, dando vita a un prodotto unico e dal forte carisma. Apprezzato, peraltro, anche gli Stati Uniti. Variety, per esempio, lo definì così al tempo dell’uscita: “Sorprendentemente grintoso ed estremamente godibile”.
Il resto lo fa il cast, guidato in particolare dai convincenti Luca Marinelli, Claudio Santamaria e Ilenia Pastorelli, protagonisti nei panni di tre personaggi che hanno segnato immediatamente un’epoca. E hanno offerto una boccata d’aria fresca al cinema italiano, spesso incapace di osare e di esprimere al meglio il proprio potenziale. Ripartiamo da qui, come in parte abbiamo fatto negli ultimi dieci anni: il nostro movimento ha ancora molto da raccontare. E ha tutto per distinguersi ancora in tutto il mondo. Perché i nostri autori sanno essere, talvolta, i veri supereroi della situazione.
Antonio Casu