2) Million Dollar Baby
Se dovessi definire questo film d’autore chiamato Million Dollar Baby, direi che è uno di quei terribili pugni allo stomaco che fanno male per giorni e giorni. Clint Eastwood costruisce un’opera dolorosa come poche, impossibile da rivedere. Almeno per me. Come un incontro di boxe, la pellicola è divisa in due round. Il primo è la classica storia di rivincita con Maggie (aspirante Rocky al femminile), che nel pugilato cerca una rivalsa per la sua miserabile vita, e con Frank, che ritrova in lei quel legame paterno che si era rotto con la sua stessa figlia. Una bella favola che svanisce nel secondo round e la realtà arriva sottoforma di uno sgabello mal posizionato (e io sto già piangendo), lasciandoci addosso ferite impossibili da rimarginare e portando alla nostra riflessione un tema delicatissimo quale l’eutanasia.
Eppure non è un film sul fine vita, né sulla boxe. Million Dollar Baby è uno specchio sul dolore, sull’amicizia, sull’amore, sulla dignità di quei perdenti che si rialzano dopo ogni colpo. Emerge un affresco appassionato e senza moralismi, elevando a protagonista assoluto quel lato umano sempre presente nel cinema eastwoodiano, nei suoi film premiati agli Oscar e non. Pessimistico sì, quasi insostenibile in quella lotta alla sopravvivenza straziante e nell’illusione della vittoria, ma toccante nella sua celebrazione della libera scelta. Qualsiasi essa sia.
Semplicemente è la vita, che ci prende a schiaffi nel momento meno atteso, facendoci scoppiare in un pianto inconsolabile, soprattutto di fronte alle lacrime di Clint in Million Dollar Baby.