5) Il pianista
Anche le pellicole sull’Olocausto non è che siano una passeggiata, però devono essere viste per non dimenticare. Basti pensare al capolavoro di Spielberg, Schindler’s List, in cui si riesce a rimanere tutti d’un pezzo fino al cappottino rosso nel carretto, finché il protagonista non scoppia in lacrime perché poteva salvare più vite. Del resto, spesso e nel mio caso, l’altruismo fa commuovere più della tristezza. Ma quello che non riesco a vedere una seconda volta, di cui già a metà film sentivo il desiderio di spegnere per la rabbia e la disperazione, è Il Pianista. Adrien Brody (uno dei nemici del carismatico Thomas Shelby in Peaky Blinders) dona una prova d’immedesimazione talmente profonda in Szpilman, costretto ad affrontare l’orrore nazista nelle stanze della sua città, che viviamo sulla nostra pelle il suo terribile dramma.
Roman Polanski descrive una delle tante, spaventose storie del Ghetto di Varsavia: lo fa non attraverso i campi di sterminio, ma tramite le sensazioni e la solitudine del protagonista, tenuto in vita dai gesti d’amore di persone che si ribellano al nazismo, anche a costo della loro vita; per questo Szpilman è distrutto dal senso di colpa e dalla vergogna. Il Pianista, infatti, ci mostra l’annientamento dell’io e la dignità dei colpiti svanisce trasformandoli in animali affamati. D’altronde, Polanski non si tira indietro nel mostrarci l’assurda insensatezza di ciò che accadde in quegli anni. E fa bene.
È la musica a salvare Szpilman, quando solo, alienato e al freddo, finge di suonare il suo amato pianoforte; quando il capitano nazista l’aiuta in nome di quell’arte. E nel momento del suo salvataggio ne Il Pianista, sono tornata a respirare. Niente sarà più come prima né per lui, né per me, né per il resto del mondo.