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Il film della settimana: Foxcatcher – Una storia americana

Foxcatcher
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Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Foxcatcher – Una storia americana.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Foxcatcher? Ecco la risposta senza spoiler.

Disponibile su Amazon Prime Video (a noleggio su Google Play, Apple e Rakuten Tv), Foxcatcher – Una storia americana è incentrato sulla vera storia dei fratelli Mark e Dave Schultz, campioni olimpici di lotta libera negli anni 80. I due, però, non navigano nell’oro e i giornali non dedicano spazio alle loro imprese. Le cose cambiano quando Mark viene contattato dal miliardario John E. du Pont, fan del suo sport e intenzionato a creare una sua squadra per potersi qualificare – e, soprattutto, vincere – ai Giochi Olimpici di Seul 1988. Mentre Mark accetta subito e si trasferisce immediatamente nella villa di du Pont, Dave inizialmente rifiuta, salvo poi unirsi a loro quando lo stile di vita del fratellino prende una brutta piega. Piano piano i rapporti tra i tre diverranno sempre più problematici e la tragedia sarà proprio dietro l’angolo.

Foxcatcher non è solo un altro film sportivo, ma ciò che Bennett Miller ci propone è un’immersione psicologica nel rapporto tra i fratelli Schultz e in quello che entrambi hanno con du Pont. Ci mostra il lato oscuro dello sport che, seguendo il mito distorto dell’American Dream, può trasformare la fragilità umana in una competizione per niente sana e far sembrare un’opportunità un qualcosa che, invece, nasconde più di un pericolo. Miller rende tutto ciò grazie alla messa in scena asciutta, all’uso magistrale di suoni e inquadrature e, soprattutto, avvalendosi di tre grandi interpretazioni: Channing Tatum è Mark, tanto duro fuori quanto fragile dentro; Mark Ruffalo è il paterno e sensibile Dave; un incredibile e quasi irriconoscibile Steve Carell – tanto da guadagnarsi una candidatura all’Oscar, assieme a Ruffalo – è l’imperturbabile e criptico du Pont.

Foxcatcher riesce a mantenere una grande carica emotiva per tutta la sua durata, dicendo tantissimo soprattutto in quei suoi silenzi rivelatori. È un film che nasconde tante tematiche, che verranno analizzate nella seconda parte del pezzo, che vi invitiamo a leggere una volta vista questa imperdibile pellicola.

SECONDA PARTE: L’analisi (con spoiler) di Foxcatcher

Foxcatcher

Foxcatcher non è un film sportivo come gli altri. Certo, non mancano le sequenze dedicate agli incontri e agli allenamenti, ma non sono il fulcro della pellicola su Amazon Prime Video. Non a caso, la messa in scena di un match viene spesso interrotta bruscamente, perché i momenti veramente importanti sono quelli dopo, che riportano immediatamente l’attenzione sui personaggi. Miller, infatti, ha compreso che la carta vincente per questo genere non è tanto il mostrare la vittoria finale dopo tante fatiche, ma analizzare la complessità psicologica degli atleti o di chi è loro vicino. E la loro interiorità non viene mai spiegata con battute che avrebbero rischiato di banalizzarla, ma si cela nelle sfumature dei non detti, che raccontano al meglio e amplificano le emozioni dei personaggi.

Mark Schultz è un ragazzo di poche parole e davvero enigmatico. Soprattutto, è solo e lo vediamo già da subito, in quella prima scena in cui sta lottando con un manichino in una palestra deserta. Sentiamo solo i suoi grugniti animaleschi ed è così che viene ritratto: come un toro ingabbiato, che si muove goffamente e che è in difficoltà nell’interagire con gli altri al di fuori del ring. Se probabilmente è affetto da una forma di depressione, è certo che soffra il confronto con Dave, sia sportivamente che non.

Così vede nell’offerta di du Pont la sua occasione per staccarsi dall’ombra di Dave e riuscire finalmente a essere riconosciuto come Mark e non come il fratello di qualcuno.

È talmente preso dal suo desiderio di rivalsa, dall’avere qualcuno che finalmente lo valorizza, che non si accorge, anche a causa della sua fragile psiche, che du Pont lo plagia, arrivando a fargli credere che era lo stesso Dave a volerlo nascondere dietro la sua ombra. In realtà, come si scoprirà nel corso di Foxcatcher, Dave è saggio, buono, vuole davvero bene a suo fratello al punto da far di tutto per portarlo alla vittoria, accettando in un secondo momento di trasferirsi nella villa del personaggio di Steve Carell, sebbene non riesca mai a superare la diffidenza verso l’uomo. Dave, solido ed equilibrato, è l’alternativa sana per Mark, quello che il magnate avrebbe sempre voluto essere e quest’ultimo lo sa. Forse tra i motivi per cui gli ha sparato, oltre alla parte mancante nel documentario sulla sua squadra in cui Dave avrebbe dovuto chiamarlo mentore, c’è anche quella consapevolezza.

Infatti, Mark inizialmente non comprende la natura di du Pont, talmente è accecato dal suo desiderio di tornare ai fasti di un tempo. Già perché ormai sono passati tre anni dal suo trionfo alle Olimpiadi e nessuno si ricorda di lui nella pellicola su Amazon Prime Video. Le sue parole cadono nel vuoto quando racconta di sé ad alcuni bambini di una scuola elementare, la sua medaglia non ha più valore e la segreteria lo confonde ancora con Dave. Bastano questi pochi istanti a introdurre la retorica del successo sportivo, incarnata dall’archetipo del campione le cui vittorie porteranno sicuramente a un riconoscimento. E la sua assenza per Mark si tramuta in un malessere che sfocia in un continuo sentimento d’inferiorità. Per questo du Pont non gli appare pericoloso, ma la salvezza che stava cercando. È il padre che non ha mai avuto. Mark è alla costante ricerca della sua approvazione, facendosi trascinare in quei vizi che minano la sua stessa carriera. Come la cocaina. Questo perché quel ruolo paterno del mecenate, in realtà, nasconde un rapporto malato di sudditanza psicologica. La stessa che lega il personaggio di Steve Carell a sua madre Jean, presenza opprimente e dominante dal volto della superba Vanessa Redgrave.

In un rapporto che ricorda quello tra Norma e Norman Bates, du Pont cerca la sua rivalsa. Non si sente all’altezza del nome che porta, a causa di sua madre e del suo amore per la lotta libera, considerato uno sport minore a dispetto della grande tradizione di famiglia, ovvero l’equitazione. Ciò, unito alla convinzione di potersi comprare tutto con i soldi, evidenzia una mente disturbata, fragile, sola, con problemi latenti che, però, vengono rivelati solo nel finale. Arrogante, ambiguo e in perenne lotta con sé stesso, pensa di essere superiore agli altri, quando in realtà non è così.

Infatti, nel legame con Mark, esprime tutto il suo senso di inadeguatezza.

Come succede in The Master di Paul Thomas Anderson, la relazione tra allievo e maestro in Foxcatcher non si evolve in qualcosa di positivo. Alla maniera di Lancaster Dodd, du Pont vuole insegnare senza averne le capacità e convince i subalterni a seguirlo solo con la legittimazione del potere che incarna ed esercita. Ovvero quella del dio Denaro.

Foxcatcher
Steve Carell e Channing Tatum nel film su Amazon Prime Video

Miller, dunque, in Foxcatcher utilizza lo sport per raccontare anche altro, rendendolo la metafora del modo in cui gli Americani intendono il mondo.

I personaggi di Channing Tatum e Steve Carell vogliono entrambi vincere e rendere nuovamente potente gli Stati Uniti, attraverso la lotta libera. Il patriottismo è evidente nei due, ma in bocca a du Pont parole come patria e nazione appaiono vuote, perché lui non fa altro che far emergere il lato oscuro di esse. Trasporta l’ideologia bellica nello sport, incarnando l’estremizzazione dello spirito nazionalista a stelle e strisce. Porta avanti un’etica sportiva volta alla glorificazione del suo paese in epoca reaganiana, che però non fa altro che provocare enormi sofferenze. Lo si vede nella sconfitta e nella successiva perdita di controllo di Mark nella pellicola su Amazon Prime Video, che lo spinge a distruggere ogni cosa attorno a sé e a farsi del male con delle sostanze stupefacenti. E lo notiamo anche in du Pont, il cui fisico non rappresenta nessuno dei canoni estetici che più ama. Anzi, è proprio l’opposto dell’atleta, con quell’andamento goffo, claudicante, impacciato e quasi parodico. È evidente quando corre, un momento che pare inutile ma che, in realtà, spiega molto di più di tante parole.

Allora, nell’America degli anni Ottanta, du Pont è l’immagine di una nazione che necessita di un nemico, perché nel momento in cui non ne avrà più sarà costretta a confrontarsi con sé stessa. E il mito finisce, l’American Dream diviene un incubo e ci saranno solo sconfitti, perché lo Stato non è riuscito a mantenere le promesse abbandonando i suoi cittadini.

Ecco che Foxcatcher diviene una tragedia che affonda in quella sua atmosfera tenebrosa. Dove i personaggi sono circondati dalla morte, sia in quegli uccelli imbalsamati alla Psycho, sia nel fatto che la villa du Pont è costruita su un campo di battaglia della Guerra d’Indipendenza, dunque un cimitero enorme. Gli stessi personaggi sono cadaveri che camminano in quei paesaggi vuoti e sterminati, che rispecchiano la loro interiorità grigia e morente. Rappresentano lori stessi la morte o tendono ad essa – come Jean e Dave. Grazie all’incredibile make-up, il John di Steve Carell assomiglia tanto ai suoi uccelli, mentre Mark si spegne piano piano nel momento in cui approda nella tenuta. Ammuffisce, prende polvere, come un trofeo in bacheca, elevandosi a metafora di tutte quelle cose che, col tempo, si consumano, fino a morire.

Siamo di fronte a un horror pieno di mostri, che racconta la paura e dà materialità al terrore. Ma anche a una glorificazione del corpo tipica dell’America machista dell’epoca di Reagan, esemplificata dai vari Rambo alla Stallone o dagli American Gigolò alla Gere. E se il dramma psicologico pervade ogni ambito, emerge anche una componente western nel film su Amazon Prime Video, in particolare e come abbiamo già citato nel momento in cui uno Stato in perenne lotta con gli altri si trova improvvisamente senza un nemico; cosa che lo mette a dura prova e mina ogni sua certezza. Ed è una cosa che può essere estesa anche al di fuori dei confini statunitensi, dimostrando di essere non solo una sconfitta americana, ma dell’umanità intera. E non servono altre parole per comprendere il perché Foxcatcher, uno dei migliori film sportivi contemporanei, merita assolutamente una visione.

Il film della scorsa settimana: The Nice Guys