Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Gli spiriti dell’isola.
PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Gli spiriti dell’isola? Ecco la risposta senza spoiler.
Disponibile su Disney+ (a noleggio su Amazon Prime Video ed Apple Tv), Gli spiriti dell’isola ci porta indietro nel tempo, precisamente nel 1923 sull’isola di Inisherin in Irlanda. Lì, Padraic e Colm sono legati da un’amicizia sincera, finché improvvisamente il secondo non decide di porre fine al loro rapporto. Quando Padraic prova a chiedere spiegazioni, Colm prima non vuole dargliele, poi semplicemente si giustifica dicendogli che desidera concentrarsi su sé stesso e sulla sua musica, dedicandosi quel tempo che, una volta, era destinato alla loro amicizia. Nonostante Padraic non sia convinto, Colm si rifiuta di parlarne oltre, intimando il suo ormai ex migliore amico di non rivolgergli più la parola. O ci saranno spiacevoli conseguenze.
È Martin McDonagh a scrivere e dirigere questa perla cinematografica, riuscendo a rendere una trama semplice, come la fine di un’amicizia tra due uomini, in un qualcosa di molto più profondo, che tratta anche della Questione irlandese e che riesce a essere sorprendentemente divertente. Ormai confermatosi una delle penne migliori di Hollywood, è un vero portento con le parole, comprese quelle taciute e che rimangono negli spazi dei non detti. Mentre il paesaggio viene elevato a protagonista dell’opera stessa, lì dove nulla è lasciato al caso, McDonagh traccia perfettamente i suoi personaggi, aiutato da performance attoriali magnifiche: ai maestosi Colin Farrell e Brendon Gleeson nei panni di Padraic e Colm si aggiungono un Barry Keoghan (Dominic) e una Kerry Condon (Siobhán) che si sarebbero meritati molto di più di una semplice nomination agli Oscar.
Già, una nota dolente, considerando che un’opera così profonda, brillante, magnificamente scritta e tecnicamente perfetta (l’uso della luce, in particolare, è fenomenale), è uscita senza nemmeno una statuetta– e ne avrebbe meritate almeno 2 o 3. Così, speriamo di convincere chi ancora non l’ha visto a dare una possibilità a questo gioiellino, invitandovi, poi, a leggere la nostra recensione.
SECONDA PARTE: La recensione (con spoiler) de Gli spiriti dell’isola
Dopo la parentesi americana di 7 psicopatici e Tre manifesti a Ebbing, Missouri, Martin McDonagh torna nella sua Irlanda raccontando un’autentica tragedia sull’amicizia che diviene una profonda guerra fratricida. Già, perché seppur il conflitto civile di quella nazione sembri lontano dall’isola di Inisherin, anche qui è in corso uno scontro simile, che ne diviene metafora e allegoria. Padraic e Colm erano inseparabili, finché il secondo non ha deciso bruscamente di interrompere ogni rapporto con il primo. Non vuole nemmeno vederlo e lo minaccia: se lo cercherà ancora, si taglierà le dita della mano. Cosa che fa, dato che Padraic non si arrende e cerca di capire perché Colm, l’amico di una vita, gli ha voltato le spalle ne Gli spiriti dell’isola. Questa è un’estremizzazione teatrale che sottolinea in maniera efficace e d’impatto l’autolesionismo insito in uno scontro fratricida. Pur di tenere lontano quella che ritiene essere la causa del suo non suonare, Colm arriva a privarsi proprio delle parti del corpo che gli consentono di farlo; d’altra parte Padraic, con la sua insistenza, danneggia irrimediabilmente una delle persone a cui vuole più bene in assoluto.
È l’esempio perfetto di un gioco in cui ci può essere solo un esito per tutti: la sconfitta.
Colm, però, sente che la fine è sempre più vicina. Allora, vuole lasciare nel mondo qualcosa che gli sopravviva, non bastandogli solo il ricordo nei suoi cari. Vuole rimanere in vita alla maniera di Mozart, più volte citato ne Gli spiriti dell’isola. Ormai non c’è più posto per la superficialità e la noia nella sua esistenza e, ai suoi occhi, Padraic incarna queste due caratteristiche, anche per il suo modo di vivere completamente agli antipodi. Colin Farrell e Brendan Gleeson – che lavorano di nuovo con McDonagh dopo In Bruges – sono perfetti nel dar corpo, attraverso incredibili performance, a due personaggi opposti, seppur accumunati dalla paura del domani: Farrell è l’uomo buono che non si preoccupa del futuro, vivendo alla giornata e in un eterno presente senza prospettive o cambiamenti; Gleeson, invece, tormentato e ambizioso, teme di aver sprecato la sua esistenza, senza lasciare niente di significativo nel suo passaggio sulla Terra.
Una contrapposizione ben visibile genialmente anche a livello scenico nel film su Disney+. Padraic vive in una casa modesta, con un solo piano che permette agli animali di entrare e fargli compagnia. L’abitazione di Colm, invece, è a due piani, con vista sull’oceano. Anche gli spazi nel pub sono progettati per mettere in risalto la lontana fisica e mentale tra i due, attraverso inquadrature che evidenziano alleanze, conflitti o solitudini.
Lo scontro tra Padraic e Colm non ha conseguenza solo per loro, ma colpisce l’intera comunità ne Gli spiriti dell’isola. Ne rompe l’equilibrio, scombinandone tutti i ruoli sociali. In particolare, sono due personaggi a farne le spese. Siobhan si ritrova a dover prendersi cura di un fratello che ha visto il proprio mondo disintegrarsi, rischiando di dover abbandonare il suo desiderio di lasciare l’isola, di seguire la sua passione per la letteratura e di costruirsi il futuro che sogna. In poche parole, a questa donna viene chiesto di rinunciare alla sua emancipazione perché imprigionata in un mondo di uomini. Eppure, quel suo sogno lo seguirà. Se ne andrà dall’isola prima che le situazioni degeneri, rappresentando così la razionalità delle donne, che comprendono quando lasciare un conflitto impossibile da vincere e quelle aspettative che la società vorrebbe per loro. Impossibile, dunque, non empatizzare con lei nel film su Disney+, che diviene protagonista della sua storia e non una semplice comprimaria.
Se Kerry Cogan ci spiazza nei panni di Siobhan, un altrettanto magistrale lavoro lo compie Barry Keoghan nelle vesti di Dominic.
Considerato lo scemo del villaggio, Dominic è un animo puro, semplice, ma destinato a essere vittima di chi il potere lo detiene, come il padre poliziotto. Sarà grazie a Padraic che impara a conquistarsi la sua indipendenza; sarà a causa di Colm e del desiderio di scrivere la sua opera musicale che inizierà quella scia di sangue, caos e conflitti che lo colpirà letalmente e in un modo così triste che è difficile non rimanerne colpiti. Anche se la morte più insuperabile è quella dell’asinella Jenny. Gli animali, infatti, sono gli unici spiriti buoni, che vanno anche a definire i caratteri dei due protagonisti: il cane di Colm è elegante e intelligente; l’asinella di Padraic è goffa e un po’ ottusa. Entrambi sono fedeli ai propri umani, incolpevoli per natura, scatenano in loro e in noi sentimenti di empatia e, possibilmente, vengono lasciati fuori della battaglia. Incarnano le vittime innocenti e collaterali di una guerra, in un espediente narrativo brillante che regala uno spunto di riflessione senza l’inserimento di ricatti emotivi o pietosi, come le tragedie sui bambini.
E se parliamo di questioni tecniche, è inevitabile fare un cenno alla maestosa sceneggiatura. Le parole sono importanti, soprattutto per McDonagh. Quest’ultimo riesce a tratteggiare con grandissima precisione ogni personaggio, creando un micromondo realistico pur essendo immerso in un luogo che sembra essere uscito dalle pagine di Tolkien. Mentre la commedia si mixa con il dramma formando un ibrido umanamente commovente, emerge un’ironia mai superficiale ma sempre malinconica, in grado di svelare la reale natura dei sentimenti. Ma più di tutto, a risuonare con forza sono i silenzi, tanto potenti quanto i dialoghi nel film su Disney+. Perché è proprio in essi che esplode l’essenza de Gli spiriti dell’isola, amplificate da quelle ambientazioni sconfinate che fanno da eco a ogni cosa.
McDonagh ci immerge in questo paesaggio bucolico, non ancora rovinato dall’uomo, dipingendolo come farebbe William Turner, Rembrandt o Caravaggio. Sono quadri che circondano l’essere umano, ne mettono in luce la piccolezza di fronte all’immensità della natura e l’ambientazione diviene testimone impassibile delle storie dei personaggi sull’isola. Il regista la rende brillantemente uno strumento narrativo, con quei campi lunghi atti a enfatizzare il regredimento dell’uomo ad animale quando non sa gestire le sue emozioni. Quelle lunghe e desolate colline vanno a simboleggiare la fatica, insoddisfazione, la prigione degli ambiziosi e la culla dei più semplici e ingenui. Un luogo ancestrale e primitivo che diviene ideale per rappresentare proprio quella noia che costringe gli abitanti a una vita pigra, sempre uguale, ma che fa riflettere profondamente. Rifacendosi a John Ford e Sergio Leone, soprattutto con le riprese dal basso o attraverso porte e finestre, ricorre a una scenografia western in cui sono presenti i cowboy solitari, il paesaggio imponente e il pub del villaggio.
Quel luogo ne Gli spiriti dell’isola, infatti, è costruito come fosse un palcoscenico che mette in luce il dramma interiore dei personaggi, soprattutto quel duello di bravura tra Farrell e Gleeson.
Due uomini soli, la cui separazione non consensuale viene sottolineata nel film su Disney+ da campi e controcampi continui che isolano corpi non più in grado di condividere lo stesso spazio fisico e mentale. Emergono quei turbamenti dell’uomo moderno che possono essere ritrovati nelle pagine di James Joyce e Samuel Beckett. Perché dietro quel litigio si nasconde un malessere più profondo. Quello di Colm, che vuole dare un senso alla sua vita, e quello di Padraic, costretto a pensare a questioni che, fino a quel momento, non lo toccavano. E sempre da questi autori McDonagh trae lo stile che, come abbiamo accennato, mixa tragedia e drammaticità degli eventi con la commedia e la natura grottesca dei personaggi. Facendoci contemporaneamente ridere e pensare.
Unendoci una critica a quelle istituzioni (politiche o religiose) che vorrebbero dirci come vivere, ecco che Gli spiriti dell’isola diviene un film potentissimo, che racconta con realismo, delicatezza e brillantezza la storia di un’amicizia, di un popolo, di un conflitto, di tutti noi. Fa emergere il bisogno umano di connessioni, l’idea che c’è sempre un terreno d’incontro, non importa quanto i conflitti ci dividano. In poche parole, è l’opera più matura, toccante e catartica del regista, piena di tantissimi significati profondi e che merita di essere vista almeno una volta nella vita.