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Her: l’eco perturbante della solitudine 

her
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“Penso di aver già provato tutti i sentimenti che potessi provare e che d’ora in poi non proverò niente di nuovo, ma solo versioni inferiori di quello che ho già provato” – Her


Theodore è solo. Mentre le stelle si congiungono con la luna, Theodore è solo. A mezzogiorno, a mezzanotte. Questa straniante situazione lo accompagna a lavoro, persino nei treni. Il divorzio con Catherine, sua ex moglie, ha aumentato il suo senso di abbandono. Theodore scrive lettere d’amore per altri, non per se stesso. In quei versi, attraverso quei fogli sporcati di inchiostro e destinati ad altre storie d’amore, il protagonista di Her cerca di distrarsi. Cerca di allontanare la sua solitudine. Quando immagina baci romantici scattati in una baita sul mare, Theodore non fa altro che scacciare i suoi fantasmi interiori. Non fa altro che allontanare l’idea del divorzio e lo spazio che lo separa da sua figlia. Scrive di persone che si abbracciano lontani da ogni deriva perché, in fondo, è proprio lui ad aver bisogno di una pacca sulla spalla. Scrive. Scrive perché nella scrittura può riversare ogni emozione, ogni stato d’animo. Persino la solitudine. 

In Her, in quel futuro lontano ma non troppo lontano, Theodore si chiude nella sua interiorità, si presenta introverso e stanco. Persino perso. In un mondo che corre troppo velocemente, Theodore non sa cosa vuol dire essere compreso o ascoltato, ma ha capito il senso dell’isolamento sociale, la tristezza di essere bandito da un contesto in cui la tecnologia ha divorato il senso stesso dell’essere: la sua socialità. A Los Angeles le persone si mantengono in contatto col computer di casa tramite auricolari, comandi vocali e dispositivi video tascabili, ma non si salutano nelle piazze. A Los Angeles c’è una aspra riflessione sul nostro oggi: l’incomunicabilità di un futuro così prossimo. In Her, l’uomo e i rapporti umani passano sotto una lente d’ingrandimento che indaga i rischi di una tragedia sociale: a chi chiedere una mano?

I rapporti in Her

her(640×360)

Theodore non sa più come o con chi espiare i suoi dolori, non ricorda più la bellezza che si nasconde dietro un dialogo costruttivo e caloroso. Theodore ha bisogno ‘solo’ di una persona a cui raccontare ogni pensiero del giorno, anche il più strambo, anche il perché di una luce fioca che si spegne in fondo alla stanza. Ma il paradosso è che il protagonista di Her trova un ‘amica’ proprio in quella tecnologia che ha reso il mondo meno compatto, più solo. Samantha, l’intelligenza artificiale con interfaccia femminile, ha un pregio strabiliante, uno di quelli che Theodore sogna da tanto tempo: prende a cuore i suoi drammi. Samantha penetra nell’abisso dei suoi particolari senza far rumore e, cosa ancora più difficile, senza sprofondare. I due instaurano un legame sempre più forte, fino a parlare della vita e dell’amore: Theodore arriva ad aprirsi con Samantha, parlandole di come stia evitando di firmare i documenti per il divorzio da Catherine, non riuscendo a superare la fine della loro lunga relazione.

Il rapporto tra i due diviene sempre più intimo, fino alla sperimentazione di qualcosa di simile a del sesso telefonico. Il quadro sociale é ricco e non più sfumato: Theodore passeggia tra le strade come se fosse mano nella mano con Samantha, mangia come se potesse offrire un pezzo della sua cena a Samantha. “È bello stare con qualcuno che ama la vita”, confessa Theodore, ormai convinto di una relazione più che stabile. In quel momento, a quattro passi da una felicità ritrovata o meglio, illusoria, Theodore prova di nuovo il fuoco delle emozioni. La relazione con il software funziona perché può esprimere il suo pensiero senza essere giudicato, può toccare qualsiasi corda con la certezza che dall’altra parte ci sia interesse e comprensione. D’altra parte, Samantha si sente a suo agio proprio così, senza un corpo fisico, risparmiandosi cose come il dolore e la morte, e garantendole potenzialità illimitate.

L’eco della solitudine

joaquin phoenix in her(640×360)

Ma la solitudine di Theodore è come un palloncino che ritorna sempre sul tetto di chi lo ha lanciato. Samantha confessa di star comunicando contemporaneamente con altri 8.316 individui e, inoltre, di aver cominciato ad amare 641 di essi. Theodore non è più unico. A questa rivelazione ne segue un’altra, ancora più cupa: confessa che ormai parlare con lui è come leggere un libro che ama moltissimo, ma nel quale le parole si fanno sempre più distanti tra loro. Nello spazio tra le parole non c’è più Theodore o Samantha, ma ancora solitudine. La stessa solitudine. L’intelligenza artificiale si sta evolvendo e l’unico modo per continuare a crescere è quello di dire addio agli essere umani. Non riconoscendosi più nel rapporto con Theodore, il software capisce che la sua velocità di elaborazione è distante anni luce da quella dei suoi ‘amanti’. 

Theodore ha così perso un piccolo spazio in cui sentirsi se stesso. Lontano dal cielo chiuso di un mondo affollato, aggrappato alla sua intimità, Theodore aveva in qualche modo allontanano la sua solitudine. Ma ora quella solitudine è tornata come un palloncino sul tetto, o anzi, non lo ha mai abbandonato del tutto. Her si chiude con il protagonista che siede sul tetto di casa mentre osserva le luci della metropoli. Come un sottofondo che sprigiona luce attraverso le sue melodie, la lettera scritta da Theodore a Catherine accompagna,  per sempre,  l’eco perturbante della sua solitudine:

Cara Catherine,

sono stato qui a pensare a tutte le cose per cui vorrei chiederti scusa. A tutto il dolore che ci siamo inflitti a vicenda. A tutte le cose di cui ti ho incolpato. A tutto ciò che volevo che tu fossi o dicessi. Mi dispiace per tutto ciò. Ti amerò sempre perché insieme siamo cresciuti. E mi hai aiutato a farmi diventare chi sono. Voglio solo che tu sappia… che dei frammenti di te resteranno per sempre in me. E di questo te ne sono riconoscente. Qualsiasi cosa tu sia diventata e ovunque tu ti trovi nel mondo. Ti mando il mio amore. Sarai mia amica per sempre. 

Con amore, Theodore”.