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Il film della settimana – Il sacrificio del cervo sacro

Il sacrificio del cervo sacro
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Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piattaforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Il sacrificio del cervo sacro.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Il sacrificio del cervo sacro? Ecco la risposta senza spoiler.

Disponibile su Sky e Now (a noleggio su Prime Video e Apple Tv), Il sacrificio del cervo sacro narra di Steven Murphy, stimato cardiochirurgo che vive in una splendida casa con la sua bella famiglia, composta dalla moglie Anna e dai loro figli Kim e Bob. Tuttavia, il suo passato è macchiato dall’alcolismo e dalla perdita di un paziente sul tavolo operatorio; sentendosi in colpa e senza rivelargli niente, cerca di sostenere finanziariamente e moralmente il figlio adolescente di quest’ultimo, Martin. Il ragazzino diventa una presenza sempre più costante nella sua vita, avendo pure un flirt con Kim. Ma quando Steven prova a chiudere i contatti con lui, diventati ormai troppo morbosi, Bob viene colpito da attacchi psicosomatici che lo paralizzano. Inizia così un vero e proprio inferno dantesco per i Murphy, che si troveranno di fronte a una scelta dolorosissima.

Con Il sacrificio del cervo sacro, Yorgos Lanthimos ci spinge violentemente nelle profondità dell’animo umano, ingabbiando le emozioni in una fredda stasi per poi farle esplodere nell’incubo in cui sono rinchiusi i Murphy. In un mix di mistero, thriller, fantastico, orrore, psicologico e richiamando grandi classici cinematografici, dipinge una parabola sulla distruzione dei rapporti, causata da segreti e colpe che tornano sempre e inevitabilmente a chiedere un dolorosissimo conto. È una partita a scacchi tra la vita e la morte, in cui il cast è fondamentale: straordinari Colin Farrell e Nicole Kidman che, con i loro personaggi, si mettono emotivamente e fisicamente a nudo; a rubare la scena però è la performance straniante e da brividi di Barry Keoghan nei panni di Martin.

È un racconto cupo, aspro, struggente, disturbante e ipnotizzante allo stesso tempo. Mira a colpirci e a lasciarci spaventati, impotenti e disorientati, anche grazie a una superba regia e una tecnica impeccabile. E nella seconda parte del pezzo andremo ad analizzare tutto, tecnicamente e narrativamente, perché questo film su Sky e Now nasconde tanti, tantissimi significati.

SECONDA PARTE: L’analisi tecnico-tematica (con spoiler) de Il sacrificio del cervo sacro

Il sacrificio del cervo sacro

Già dal titolo Lanthimos rivela ciò che ha ispirato Il sacrificio del cervo sacro, ovvero il mito di Ifigenia di Euripide, che il regista riscrive in chiave moderna. In breve, Agamennone è costretto a sacrificare sua figlia Ifigenia ad Artemide, che ha offeso pesantemente, o la sua flotta non potrà partire per Troia. Tuttavia, per il coraggio della giovane, il sacrificio viene interrotto quando la dea la sostituisce con una cerva, un po’ come accade nell’episodio biblico di Abramo e Isacco.

Se dunque Ifigenia si affida completamente alle divinità che decidono di risparmiarla, accogliendola tra le proprie fila, nell’opera di Lanthimos non esistono esseri superiori salvifici. E questo concetto viene declinato sia nel mito che nella religione.

Il regista sceglie una famiglia dell’alta borghesia proprio per sottolineare che nessun luogo è sicuro; anzi, più in alto si pensa di essere, più disastrosa sarà la caduta. E di fronte all’implacabile “divinità” Martin, i Murphy si spogliano della propria ipocrisia e, a differenza di Ifigenia che accetta il suo destino, sono pronti a tutto pur di salvarsi. Si parlano con crudeltà, dimenticandosi di essere consanguinei e portando la famiglia allo sfaldamento. Così, ad esempio, Kim e Bob si trascinano sul pavimento e si propongono di soddisfare le richieste del padre, sperando di convincerlo a risparmiarli; Kim è più interessata ad avere l’mp3 del fratello che alla morte di quest’ultimo; l’Anna di Nicole Kidman incoraggia Steven a uccidere uno dei figli, tanto possono concepire ancora; il padre stila la lista delle qualità dei bambini per decidere chi salvare.

Perché nel mondo de Il sacrificio del cervo sacro non ci sono esseri umani, ma automi incapaci di provare dei veri sentimenti, che indossano maschere e strisciano stancamente nella loro vita. A Steven e Anna importa solo di mostrare quanto è perfetta la loro esistenza. Il contrasto è ben evidente nel rapporto impersonale che hanno con i figli e, soprattutto, nell’intimità della loro camera da letto. Nell’atto sessuale chiamato “anestesia generale”, Nicole Kidman finge di essere un cadavere e Colin Farrell si muove sopra come un necrofilo. Senza passione, trasporto o amore. E Kim adotta lo stesso comportamento quando deciderà di concedersi a Martin nel film su Sky e Now.

A questo proposito, ritorna il mito di Ifigenia perché rappresenta la metafora del passaggio alla vita adulta. Infatti, alle ragazze in procinto di sposarsi veniva chiesto di sacrificare un oggetto della loro infanzia ma, dato che l’atto del sacrificio – e dunque del passaggio – non è avvenuto per Ifigenia, lei rimase fanciulla e divenne poi una sacerdotessa. Lo scopo del sacrificio nella mitologia greca è incarnato, nel film su Sky e Now, dalle prime mestruazioni di Kim, simbolo per eccellenza dall’abbandono dell’infanzia. Ed è spaventoso poi come la stessa ragazzina, per riagganciarci all’assenza di sentimenti, annunci la morte del fratello con freddezza, così come manchi negli occhi di Bob alcun tipo di panico.

È come se Lanthimos avesse anestetizzato i sentimenti, riuscendo così a narrare con distacco anche le storie più crude. Le sue persone, infatti, impoverite e senza pietas, amplificano il dramma, soprattutto Steven.

Dovrebbe essere l’eroe che spezza la maledizione, ma non ne ha le fattezze. È un padre inetto, che non sa assumersi la responsabilità di una scelta, per quanto dolorosa sia, e preferisce perdere tempo per provare a ribaltare qualcosa che ormai non può cambiare. Si sente il padrone dell’ospedale, della sua casa e del futuro dei figli e, come Agamennone, pensa di essere così potente da poter sfidare le divinità, ma non è un guerriero e non può sfuggire al suo fato, altro tema cardine ne Il sacrificio del cervo sacro. Non importa quanto eviti il suo destino, non può controllare l’effetto farfalla che ha scatenato il suo errore, con la legge occhio per occhio che si abbatte sulla sua famiglia. Così, pur di non esporsi, lascia che sia il caso a scegliere per lui in un’agghiacciante scena che si ispira a Il Cacciatore di Cimino: moglie e figli sono legati, incappucciati e seduti distanti dall’altro; Steven, con un passamontagna sugli occhi, gira su sé stesso per smarrire l’orientamento, così da non sapere a chi sparerà.

È il delirio d’onnipotenza dell’uomo e il suo ruolo nella società su cui Lanthimos si sofferma, dicendoci che dobbiamo ridimensionarci e comprendere che siamo solo un milligrammo in questo sconfinato e incomprensibile universo.

Il sacrificio del cervo sacro

E il Dio con cui si confrontano i Murphy non è, appunto, per niente misericordioso. Basti pensare alle note de La passione secondo Giovanni di Bach (le stesse che si trovano ne Lo Specchio di Tarkovskij), che accompagnano le parole tratte dall’VIII salmo della Bibbia: 

“O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: sopra i cieli si innalza la tua magnificenza!”

Compresa questa verità, c’è solo spazio per la sofferenza, l’infelicità, il pessimismo, il nichilismo e la vacuità di un’esistenza senza scopo. A nulla, dunque, valgono le regole o la logica – infatti, la trama prende a un certo punto un risvolto inspiegabile. È un dolore che ci mette di fronte ai nostri limiti, dicendoci che nessuno ci aiuterà a superarli, ma inevitabile e catartico: Lanthimos lo dimostra, ad esempio, inserendo lo Stabat Mater di Schubert, una preghiera rivolta alla Vergine Maria in cui i fedeli chiedono di partecipare alle pene del figlio.

Sempre rimanendo in ambito religioso, Martin si abbatte sui Murphy, distruggendoli in nome della giustizia, come fosse una pestilenza biblica. Insomma, è così pericoloso che apparentemente riesce a far ammalare i bambini, innamorare Kim e litigare moglie e marito. L’Anna di Nicole Kidman, poi, rappresenta una moderna Maddalena che si inginocchia e bacia i piedi di Martin e non dimentichiamoci che, nello studio della preside della scuola di Kim e Bob, c’è la riproduzione del Gesù che cammina sulle acque di Tintoretto e che le lacrime di sangue richiamano la Passione. Ma Martin potrebbe essere frainteso, incarnando allora l’oracolo della mitologia greca: è colui che annuncia la sventura ma che non può fermarla. La sua presenza in quella famiglia rappresenta una profezia che infetta le mura domestiche, che incarnano sicurezza e tranquillità, e non è casuale che sarà proprio il dottore a introdurlo al suo interno.

Il tutto è reso ne Il sacrificio del cervo sacro con una maestria tecnica impressionante.

La musica ha un ruolo fondamentale. Rifacendosi a Hitchcock, essa anticipa e accentua la tensione, salendo progressivamente e instillando in noi ansia prima ancora che la trama la giustifichi. Non solo la colonna sonora contrasta con le scene mostrate, ricordando Arancia Meccanica, ma spesso i dialoghi – che sottolineano l’incomunicabilità tra i protagonisti – vengono sovrastati dalle musiche pompose e dall’audio invadente, che riempiono il vuoto dei personaggi e delle ambientazioni, riprendendo le opere di Dario Argento. Inoltre, la musica compie quel processo di straniamento che verrà accentuato dalle inquadrature: lo vediamo, ad esempio, nell’innaturalezza della scena del canto di Kim a Martin.

A livello visivo, dunque, le inquadrature aggiungono un certo tono a seconda di come personaggi e ambienti sono ripresi. I primi piani si concentrano su chi ascolta e non su chi parla; alcuni elementi vengono tagliati dall’inquadratura e ad altri insignificanti viene dato un peso notevole, perché non è importante quello che vediamo ma il significato nascosto; le carrellate colgono i tumulti dei personaggi e li rendono i nostri. La camera è posta su piani sfalsati rispetto ai protagonisti, dando l’idea che sia una video di sorveglianza a riprenderli, e il grandangolo dilata fino all’inverosimile gli spazi, trasmettendo un senso d’incombenza. Esemplificativa è la scena in cui Bob cade inerme sul pavimento dell’ospedale: Lanthimos la riprende dall’alto, in maniera distaccata e indifferente, creando un’immagine statica, ed e la cornice che ci guida, costringendoci a rielaborare continuamente ciò che vediamo. Inevitabile non pensare a Shining dopo questa descrizione. Stanley Kubrick, poi, viene ripreso anche nel rapporto tra Anna e Steven, simile a quello tra Tom Cruise e Nicole Kidman in Eyes Wide Shut, e nelle riunioni in ospedale che sembrano i congressi di 2001: Odissea nello spazio. Se da Funny Games riprende il terrorismo psicologico, da Polanski quell’ambiguità tensiva che emerge dai momenti più tranquilli – e grande merito qui va anche alla sceneggiatura.

Ed ecco che, alla fine de Il sacrificio del cervo sacro, anche se niente viene chiarito su Martin o sulle altre domande del film su Sky e Now, prendiamo atto della mediocrità dell’essere umano, di come le colpe dei padri ricadino sui figli, di ricercare l’umanità nelle nostre radici e di non lottare mai contro un destino già scritto. Ci lascia semplicemente con i nervi scoperti, il sangue che cola, il cuore aperto su quel tavolo operatorio e lo schermo nero, a riflettere. Come solo Lanthimos sa dannatamente e genialmente fare.

Il film della scorsa settimana: The Road