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Il film della settimana: Il treno per il Darjeeling

Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Il treno per il Darjeeling.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Il treno per il Darjeeling? Ecco la risposta senza spoiler

Disponibile su Disney+ (a noleggio su Amazon Prime Video e Apple Tv), Il treno per il Darjeeling è incentrato sui tre fratelli Whitman: Francis, Peter e Jack. Loro padre è morto circa un anno fa e, da allora, non si sono più visti né parlati. Francis, allora, anche a seguito di un incidente motociclistico quasi letale, decide di riunirsi con i suoi due fratelli per compiere un viaggio spirituale in India alla ricerca di loro stessi, a bordo di un treno che, come destinazione finale e all’insaputa di Peter e Jack, ha una sperduta regione sulle pendici dell’Himalaya; lì dove dovrebbero trovare la loro madre, ritiratasi in un convento cristiano. Attraverso le varie tappe di un percorso tragicomico e nel tentativo di recuperare l’armonia tra loro, gli Whitman si scontreranno con le solite e frustranti dinamiche familiari, con le loro paranoie e con il desiderio di lasciar andar via alcuni opprimenti pesi.

Wes Anderson ci regala un’altra commedia delle sue, con quel suo stile e quella sua poetica inconfondibile, inserendoci magnificamente gli elementi che più lo contraddistinguono: un po’ di surrealismo, un grande incastro cinematografico con il cortometraggio che precede il film su Disney+, la variegata colonna sonora che trascina e l’attenzione altissima alla messa in scena, all’uso dei colori e alla mimica dei suoi interpreti. Grazie anche a un cast di prim’ordine – ad esempio i tre fratelli sono Owen Wilson, Adrien Brody e Jason Schwartzman; la madre è Anjelica Huston e c’è un cameo di Bill Murray – costruisce una pellicola tanto divertente quanto impegnativa. È molto dinamica, soprattutto per merito del montaggio fluido e scorrevole; tuttavia, allo stesso tempo, riesce ad affrontare con delicatezza vari e importanti temi quali i rapporti familiari, il viaggio, la ricerca dell’io, il lutto, la diversità di un mondo non occidentale.

Intimo ed esoterico, Il treno per il Darjeeling non sarà un film mainstream e va bene così. Sa comunque come far ridere ed emozionare lo spettatore; soprattutto, sa come farci stare bene. Perché guardarlo è un balsamo per la nostra anima e vorremmo tutti salire su quel treno. Solo per poi scendere e leggere la nostra recensione di questo piccolo ma grande gioiellino.

SECONDA PARTE: La recensione (con spoiler) de Il treno per il Darjeeling

Il treno per il Darjeeling

È una corsa a inaugurare Il treno per il Darjeeling, in cui Wes Anderson ci porta nella vita di una famiglia disfunzionale e, in particolare, nel rapporto di tre fratelli che non si parlano né si vedono da un anno. Come I Tenenbaum, sono immaturi, capricciosi e rappresentano l’antitesi l’uno dell’altro: Francis è la mente, il comunicatore, colui che ha ideato il viaggio e che dirige tutte le operazioni; Peter è un solitario e un ribelle, incapace di assumersi delle responsabilità (infatti, lascia la sua casa un mese prima che nasca suo figlio e intraprende questo viaggio con i fratelli); Jack è l’intellettuale deluso, inappagato, irresponsabile e col cuore spezzato, che è tornato da un soggiorno parigino nel lussuoso Hotel Chevalier (che è anche il titolo del corto che ha preceduto il film, in cui l’ex fidanzata di Jack è interpretata da Natalie Portman).

Gli Whitman sono personaggi sfumati, controversi, pieni di chiaroscuri e ideali per le storie raccontate da Anderson. Sono accumunati da problemi simili, che però ognuno di loro risolve in maniera diversa e il regista ce lo mostra divertendosi e facendo divertire, attraverso dialoghi e scene dove si intrecciano rivelazioni, si creano malintesi ed emergono segreti. Apparentemente sono tranquilli, quasi anestetizzati dalla vita, ma poi, su quel treno, emerge davvero che cosa nascondono dietro le loro maschere. C’è, appunto, un dramma nella loro esistenza: Francis ha avuto un incidente mortale, Peter e Jack non sono capaci di affrontare con maturità le responsabilità della vita.

Ecco che quel viaggio, inizialmente, rappresenta una fuga da una vita che non vogliono e non capiscono. Ma sarà proprio su quel treno che finalmente rinasceranno.

La meta pareva il ricongiungimento con quella stravagante madre (interpretata con la classe che la contraddistingue da Anjelica Huston) che ha scelto la vita monastica dopo la morte di suo marito. In realtà, ciò che conta davvero nel film su Disney+ non la fine, ma un percorso che conduce i fratelli vero strade inesplorate e conclusione inaspettate. Ed è proprio nelle dinamiche di questo terzetto che dona all’opera vere emozioni e atmosfere genuine.

Adrien Brody, Owen Wilson e Jason Schwartzman nel film su Disney+

Emerge allora quella struggente incapacità di comunicare che accumuna la famiglia Whitman, che si tratti dei tre fratelli, di quell’eccentrica madre, dei rapporti che instaurano durante il viaggio o delle ferite che si aprono nuovamente durante il funerale. Francis, Peter e Jack vivono più di una volta l’abbandono, uno dei temi ricorrenti di Anderson, nucleo fondante dei tre fratelli e le cui conseguenze le porteranno per sempre dentro di loro. La scelta di ambientare l’opera in India, poi, acuisce l’incomunicabilità, l’abbandono e lo straniamento dei personaggi, perché si ritrovano in un mondo a loro estraneo, senza punti di riferimento e che, appunto, li porterà a mettersi in discussione a domandarsi:

Mi chiedo se noi tre saremmo stati amici nella vita reale. Non come fratelli, come persone normali“.

Non a caso il treno diviene il quarto protagonista e assume un valore metaforico: dopo tanto tempo e grazie a un viaggio intimamente introspettivo, i tre fratelli percorrono gli stessi binari sia fisicamente (sono quelli del treno in cui si trovano) che psicologicamente, ritrovando così l’armonia perduta. In questo modo, gli scopi e i messaggi del road movie intraprendono trame ed espedienti narrativi diversi, originale ma ugualmente coinvolgenti. E proprio le sottotrame ci permettono di vivere appieno quella frenetica corsa, per poi fermarsi un attimo e farci ripensare alle tematiche e agli stimoli di un film che ci lascia moltissimi spunti di riflessione, per merito di una storia semplice ma in grado di scavare affondo nei rapporti di una famiglia.

Si raggiunge un tale livello di connessione con Il treno per il Darjeeling anche grazie al cast in stato di grazia. Owen Wilson, Adrien Brody e Jason Schwartzman si calano perfettamente in personaggi grotteschi, al limite della caricatura, con quella comicità eccellentemente fredda e quei loro volti malinconici, permettendoci di apprezzarli in ruoli diversi rispetto a quelli che solitamente ricoprono. Nonostante gli ottimi comprimari, sono loro che si portano sulle spalle l’intera opera, rendendola leggera e profonda allo stesso tempo. C’è un aspetto interessante nel casting, ovvero Anderson tende a selezionare attori col quale ha già lavorato: Jason Schwartzman era in Rushmore, Owen Wilson è onnipresente e troviamo spesso anche Anjelica Huston e Bill Murray (qui in un cameo fulmineo, improvviso ma significativo). Non è solo un discorso del lavorare insieme ai suoi interpreti preferiti. Sembra quasi che le sue scelte derivino dall’importanza dei legami affettivi; ecco perché seleziona attori che, avendo già lavorato assieme, possano sviluppare al meglio uno dei temi fondanti del suo cinema.

Il treno per il Darjeeling
Owen Wilson, Adrien Brody e Jason Schwartzman nel film su Disney+

Nessuna recensione su una pellicola di Wes Anderson sarebbe completa parlare della messa in scena.

Innanzitutto, i colori sono più vivi che mai ne Il treno per il Darjeeling e, da sempre, filo conduttore delle sue opere. In particolare, sono i contrasti cromatici che risaltano maggiormente, come quel villaggio indiano pieno di colori che, però, è teatro di uno dei momenti più drammatici della nostra vita: il funerale di un nostro caro. Anche se, in scene del genere, pare quasi che i colori si attenuino per un istante, come forma di rispetto, senza però perdere la loro forza ma accentuandone ancor di più il tratto distintivo nel cinema di Anderson. I dettagli, poi, sono fondamentali, in particolare le valigie dei protagonisti, piene di oggetti perfettamente ordinati che contrastano con il disordine della vita dei tre fratelli, simboli dell’essenza stessa del viaggio. Sono le inquadrature perfettamente simmetriche che ci consentono di osservare tutti i particolari della messa in scena, in cui ogni frame è intriso di significati così densi che dotano la fotografia di un suo valore semiotico e comunicativo. Dalle stesse inquadrature, dai carrelli, dal montaggio e dalle musiche, emerge la ricerca di una certa classicità cinematografica. Pensando alla musica, simbolicamente rappresentata dall’Ipod di Jack, i brani sono tratti dai film del regista indiano Satyajit Ray e da Merchant/Ivory. E il tocco old style è visibile nelle riprese avvenute in un vero treno, un po’ alla Orient Express.

L’uso sapiente del rallenty, poi, serve sì per mostrarci i dettagli, ma anche per immergerci nella scena, facendoci così riflettere e pensare. Come se Anderson ci dicesse che, in quei momenti, non è tanto importante la pellicola in sé, quanto quello che ne ricaviamo e che pensiamo di ciò che vediamo ne Il treno per il Darjeeling. Infine, l’ottima sceneggiatura è in grado di rendere rilevanti ogni istante e sottotrama nel migliore dei modi. Questo rigore nell’estetica e nel comparto tecnico, però, non crea un mondo senza emozioni. Tutt’altro. La delicatezza permea l’intera opera, la tristezza la colora, mentre i personaggi attendono che qualcosa succeda. Anderson non gli giudica, ma li osserva con tenerezza, li accompagna dolcemente verso la riscoperta di sé e dell’altro nella nazione della spiritualità per antonomasia. E la narrazione si perde ogni tanto, ma perché è la vita che, quando incontra qualcosa di inaspettato (come un guasto alla macchina o dei bambini che sono caduti in un fiume), devia dal suo percorso e si perde, andando dietro quell’avvenimento inatteso.

Ecco che Il treno per il Darjeeling è leggero solo in apparenza, sfonda nel grottesco e nell’ironia, ma di quella che porta alla luce i nostri dubbi e le nostre nevrosi, donandoci un ritratto tragicomico di un’umanità il cui obiettivo rimane sempre il raggiungimento della felicità. Poetico in ogni sua parte, intreccia storie e personaggi seguendo il ritmo dell’esistenza, in cui non è mai stato importante la fine quando il percorso personale di ognuno di noi. Che ci porta fuori rotta, che non è lineare come dovrebbe. Ma così è la vita e, in fondo, non è proprio questo il bello?

Il film della settimana scorsa: The Others