ATTENZIONE! L’articolo potrebbe contenere SPOILERS del film Immaculate.
Nel Treccani con “esorcismo” (dal lat. tardo exorcismus, gr. ἐξορκισμός) si intende tecnicamente uno “scongiuro mediante il quale la persona investita di un potere sacro si dichiara capace, in forza di questo suo potere o dell’invocazione di un essere soprannaturale, di scacciare una potenza avversa o malefica, con parole (formule), azioni (gesti) e oggetti”. Interessante notare come la definizione lasci margine di dubbio riguardo alla capacità stessa dell’individuo di esorcizzare effettivamente il poveretto di turno. Dato che appunto non si fa riferimento alla certezza assoluta di tale abilità ma è l’esorcizzante a “dichiararsi capace” di ciò. Un dettaglio apparentemente di scarso valore ma che, in verità, nella ricca e longeva tradizione di questo sottogenere horror rappresenta uno dei topos principali di tali pellicole.
Perché è proprio nella capacità di colui che esorcizza, indissolubilmente legata alla sua fede e alla sua bontà d’animo, che si gioca il destino dell’assatanato e la salvezza della sua anima. Di fatto, i film legati a questo sottogenere seguono un excursus molto lineare che raramente devia dal percorso e si sviluppa attraverso tre/quattro momenti fondamentali: la possessione, il primo esorcismo (fallito), la crisi religiosa del protagonista, il secondo esorcismo. Ognuno di questi momenti, seppur con leggere variazioni, si ripete puntuale arrivando così a un finale in cui la salvezza della vittima coincide con il riscatto del protagonista.
L’esorcismo al cinema, di cui Immaculate è una delle ultime espressioni, serve quindi per raccontare delle fragilità umane attraverso il sempreverde tema della lotta tra bene e male.
L’Esorcista di William Friedkin è indubbiamente il film che ha definito il genere. Basato sul romanzo di William Peter Blatty, che a sua volta si ispirava a un presunto caso di esorcismo avvenuto nel 1949, il film narra la storia di Regan MacNeil, una ragazza di dodici anni posseduta da un demone. La madre di Regan, disperata, si rivolge a due preti, Padre Karras e Padre Merrin, per effettuare un esorcismo che richiederà tutta loro fede e il loro coraggio. Considerato uno dei film più spaventosi di tutti i tempi, ha posto le basi per il genere esorcistico e rimane tuttora imbattuto. In L’Esorcista la battaglia per salvare l’anima di Regan coincide con la perdita di fede da parte dei protagonisti sottolineando così la vulnerabilità dell’essere umano di fronte al sovrannaturale.
Non che il sottogenere esorcistico fosse sconosciuto prima dell’opera di Friedkin ma rimane indubbio che L’Esorcista abbia aperto la strada a un filone proficuo per il cinema horror. La religione e il cinema stringevano in tal modo una alleanza silenziosa e un po’ blasfema, in cui immaginari del culto cattolico si piegavano per il divertimento e l’orrore delle masse.
Negli anni seguenti al successo del cult, molti registi tentarono di replicarne l’impatto con i loro seguiti.
Tra i più noti ci sono L’esorcista II: L’eretico (1977) e L’esorcista III (1990), anche se nessuno di questi sequel riuscì a eguagliare l’originale in termini di critica o di pubblico. Durante gli anni ’80 e ’90, il genere ha visto un numero crescente di film che combinavano elementi thriller con il tema dell’esorcismo. Pensiamo per esempio alla saga di Amityville, basata su eventi realmente accaduti, o su quella di Omen, che pur non essendo strettamente film sugli esorcismi, toccano temi simili di possessione e intervento divino.
Nel nuovo millennio, il sottogenere si arricchisce di una componente psicologica che gioca molto con le aspettative del pubblico. Lo spettatore, in pellicole come L’Esorcismo di Emily Rose (2005), diventa spettatore di eventi quanto mai ambigui e contorti in cui il confine tra bene e male si confonde. L’indemoniata è davvero una vittima? Ma ancor di più la domanda che sorge prepotentemente riguarda la veridicità o meno della possessione stessa. Pellicole di questo tipo hanno così rinnovato il genere, mescolando insieme elementi drammatici, thriller e sovrannaturali. Inducendoci a non osservare passivamente gli eventi terrificanti sullo schermo ma ad analizzarli in maniera fredda e logica. Sia L’Esorcismo di Emily Rose che Derrickson e Requiem (2006) di Hans-Christian Schmid ci portano a chiedere: è possessione demoniaca o malattia mentale?
A questo filone a tinte psicologiche se ne accosta uno diretto discendente dell’opera di Friedkin, dove il protagonista e il suo dilemma morale rimangono al centro della narrazione.
Un film notevole in tal senso è Il Rito (2011), con Anthony Hopkins, che segue un seminarista scettico che si reca in Italia e si trova a fronteggiare forze più oscure di quanto avesse mai immaginato. Anche Liberaci dal male (2014) ha contribuito a rinvigorire molto il genere. Basato sulle esperienze reali dell’agente di polizia Ralph Sarchie, infatti, la trama segue Sarchie mentre indaga su una serie di crimini legati a fenomeni di possessione demoniaca.
Negli ultimi anni, il tema dell’esorcismo continua a essere esplorato in vari modi, spesso con approcci innovativi. Impossibile non citare la rivoluzione operata dalla Blumhouse e da James Wan con la saga The Conjuring (qui la recensione del primo film) che, insieme a quella di Insidious, ha inaugurato un rinnovato e florido periodo per il genere horror al cinema. Basata sui casi reali investigati dai demonologi Ed e Lorraine Warren, la serie ha prodotto numerosi spin-off creando un vero e proprio universo cinematografico. James Wan è riuscito a sfruttare elementi classici dell’horror, sia visivi che uditivi, per adattarli a storie dalla narrazione non banale e dal jump-scare ben dosato. Attraverso le figure dei Warren, soprattutto di Lorraine, il film esplora temi come la vulnerabilità familiare e il potere della fede anche contro forme di maligno che non sono necessariamente ultraterrene.
Nell’ultimo anno, i film del genere horror religioso non sono certo mancati.
Ma se L’esorcismo- Ultimo atto (con Russel Crowe nei panni poco credibili di un esorcista) finisce in una gran caciara e Omen – L’origine del presagio (che potete vedere sul catalogo Disney+ qui) non è in grado di portarsi a casa la tensione che promette all’inizio, tutt’altra storia riguarda Immaculate.
Nel film diretto da Michael Mohan, Sydney Sweeney interpreta una giovane novizia che viene invitata a unirsi in un convento in Italia. Fatto già di per sé insolito e ironico considerato la sensualità dell’attrice e la sua poco credibilità nei panni proprio di una suora. Ma è la sceneggiatura stessa a ironizzare sulla cosa utilizzando proprio il non physique du rôle della Sweeney come punto di forza dell’intera pellicola. Immaculate (qui la nostra recensione) cade in numerosi cliché. Ripercorre quei fondamentali passaggi che abbiamo menzionato prima seppur all’interno di un inquietante convento. Ah si, c’è una cosa che ci siamo dimenticati di menzionare.
Ovvero come il cinema horror abbia presto capito come non sono solo i film sugli esorcismi a vendere parecchi biglietti al cinema ma anche quelli in cui la Chiesa ci fa una figura davvero barbina.
Di questa ulteriore diramazione del sottogenere esorcistico esistono numerosi esempi e Immaculate è l’ultimo dell’elenco. E, dobbiamo ammetterlo, anche inaspettatamente riuscito. Anche in questo caso il sacro si mescola al profano. Temi e concetti religiosi vengono così storpiati e macchiati da un immaginario grottesco, blasfemo e spaventoso. Nel caso di Immaculate, in maniera forse un po’ troppo simile all’altrettanto recente Omen, la Chiesa tenta disperatamente di far rinascere Cristo, con la vana speranza che possa salvare l’umanità intera. Per riuscirsi è disposta a inseminare una neo-Vergine Maria che possa portare in grembo il Salvatore del XXI secolo.
Tralasciando l’assoluta follia di questo piano e le maniere barbariche e poco igieniche per eseguirlo, Immaculate potrebbe tranquillamente svilupparsi e concludersi in maniera scontata. Eppure non lo fa. La suora di Sydney Sweeney (vittima di un incidente sul set, qui i dettagli) non ci sta a interpretare il ruolo della giumenta senza peccato così lotta, si ferisce, si trascina sanguinante giù per i tunnel del convento e decide per sé e il suo corpo. Il film rimane pedissequamente legato alla dimensione commerciale.
Non crediate certo di imbattervi in un horror autoriale “alla Ari Aster” (tra i migliori debutti in regia degli ultimi anni insieme a questi nomi qua). Ma va riconosciuta e lodata la scelta molto coraggiosa presa nel finale. La protagonista di Immaculate prende in mano il proprio destino, combattendo fino allo stremo per la propria libertà per urlare al mondo che ogni donna è assolutamente libera di fare ciò che vuole con il proprio corpo. E non c’è religione o scienza che possa opporsi.