Sono tantissimi i film indimenticabili nella storia del cinema; quelli che non invecchiano col passare del tempo e che non ci stancheremmo mai di vedere. Hanno una padronanza tecnica tale da spiazzarci, dando vita a personaggi iconici, trame avvincenti e messaggi profondissimi. Così, evocano in noi emozioni pure, si fondono con i nostri ricordi, ci fanno provare esperienze che ci cambiano da dentro. Dimostrando che sì, i film contano. E, se molto è legato al gusto soggettivo, ci sono delle pietre miliari che mettono d’accordo tutti. Allora, ogni mese dedicheremo una recensione approfondita a un cult intramontabile, scolpito nella memoria collettiva e così significativo da essere ancora oggi attuale. E la scelta, stavolta, è caduta sull’indimenticabile Jurassic Park.
Sono trascorsi trent’anni, ma ogni volta che si aprono i cancelli del Jurassic Park l’emozione è quella delle prime volte. Steven Spielberg ha creato una pellicola che, pur essendo chiaramente commerciale, ha cambiato la storia del cinema stesso, dimostrandosi rivoluzionaria per l’epoca e invecchiando divinamente. Soprattutto a livello tecnico e non è una cosa scontata, considerando quanto sia sviluppata la tecnologia cinematografica al giorno d’oggi. Ciò fu possibile per il mix tra effetti artigianali e la CGI che, al tempo, era agli inizi. Certo, era già stata usata da pellicole come Abyss del 1989 e Terminator 2 del 1991 (entrambe di James Cameron), ma in Jurassic Park fu la prima volta che ebbe un ruolo così centrale. Spielberg alternò scene completamente al computer ad altre realizzate con effetti tradizionali. Così, creò autentica magia sullo schermo, rifacendosi anche a quel realismo magico portato in scena da uno dei primi cineasti di sempre, George Méliès, i cui film riuscirono a trasportare il pubblico di allora verso nuovi e inesplorati mondi, oltre che rappresentare la definizione stessa di intrattenimento.
Esemplificativo di ciò è l’iconica e meravigliosa scena del Brachiosauro che mangia da un albero in Jurassic Park.
La sua è una delle prime, complete e stupende sequenze in CGI che possiamo ammirare nel cinema. Quel Brachiosauro è anche la dimostrazione che l’obiettivo di Spielberg era creare dinosauri che fossero credibili, realistici e che non risultassero finti. Che dire, ci è riuscito alla grande, tanto che l’espressione stupita e in estasi di Alan, Ellie e Ian è anche la nostra. Ecco che il senso di meraviglia viene trasmesso da un’inquadratura così caratteristica di Spielberg da portare il suo nome: la Spielberg Face.
Praticamente, viene usata per mostrare la meraviglia attraverso l’effetto che essa suscita nei personaggi. Ciò permette di comprendere non solo che qualcosa accadrà, ma anche che emozione dovrebbe trasmetterci dalle espressioni degli attori, con i quali ci identifichiamo senza accorgercene, entrando in empatia tale con loro da accrescere l’impatto di quel momento. L’espediente dell’attesa l’aveva già usato ne Lo squalo: a causa di un malfunzionamento dell’animale robotico, Spielberg si vide costretto a ridurne le apparizioni; così, da grande regista qual è, ne limitò le inquadrature senza che nessuno si accorgesse di quando poco appariva fisicamente sullo schermo.
La stessa cosa succede in Jurassic Park, anzi proprio qui ne raggiunge l’apice e diventa metafora dell’intero film.
I dinosauri vengono lasciati fuori-campo per quasi tutta la durata della pellicola, comparendo infatti in circa soli sedici minuti, ma è come se fossero sempre presenti. Già dall’incipit si vede questo container al cui interno c’è qualcosa di misterioso. A noi viene nascosto, ma osserviamo ciò che succede proprio attraverso delle sue rapide soggettive, mentre sale la tensione. Difficile poi dimenticare l’incredulità negli occhi di Alan quando, togliendosi gli occhiali, vede per la prima volta dei dinosauri vivi. E altrettanto complesso è scordarci del maestoso, memorabile e terrificante ingresso del T-Rex non solo sulla scena, ma nel cinema stesso. Così impattante da terrorizzare anche gli adulti, eppure così affascinante da non farci staccare gli occhi dallo schermo. In questo primo scontro tra uomo e dinosauri, ogni più piccolo dettaglio è messo al servizio dell’arrivo del Tirannosauro, come l’espediente dell’acqua che nel bicchiere si muove per le vibrazioni e il binocolo a infrarossi che Tim usa goffamente per carpire i movimenti dell’animale nel buio della notte. E proprio le difficoltà visive del T-Rex vengono sfruttate dai protagonisti per sfuggirgli, come il rimanere immobili; tecnica che non funzionerà con i (forse più) terribili Velociraptor.
Quello del Tirannosauro è uno dei momenti più intensi e ricchi di suspense dell’intera settima arte, girata egregiamente da uno Spielberg che crea attesa senza mostrare nulla, se non piccole cose come l’acqua di un bicchiere o un rumore incomprensibile. Ed è anche il passaggio da una prima parte in cui il fuori-campo dei dinosauri suscitava meraviglia a una seconda dove si tramuta in orrore. Il tutto segnato anche dall’arrivo della notte, in cui i dinosauri scatenano tutta la loro pericolosità.
La rivoluzione di Spielberg in Jurassic Park passa anche dal sonoro. Sfruttando ancora una volta e in maniera avanguardistica le potenzialità della CGI, vennero creati i versi dei dinosauri. Ad esempio, quello del Tirannosauro mixa i suoni della tigre, di un elefantino, di un cane, di un pinguino e di un alligatore; quello del Dilofosauro è composto da versi di scimmie urlatrici, dallo stridio di un falco, dal richiamo d’amore di un cigno e dal sibilo del serpente a sognagli; quello del Velociraptor, invece, presenta come una delle componenti le urla delle tartarughe in fase di accoppiamento. E una menzione la merita anche la splendida colonna sonora di John Williams, entrata da tempo nell’immaginario di noi cinefili.
Sono tutti elementi che hanno portato i detrattori del film a criticare il fatto che la componente spettacolare prendesse il sopravvento su quella narrativa. Allora, c’è da chiedersi se conoscano davvero la poetica di Spielberg, dato che in Jurassic Park si rivedono elementi di E.T – L’extraterrestre, di Hook – Capitan Uncino, del già citato Lo squalo e della saga di Indiana Jones. Riferendoci proprio al protagonista di quest’ultima, l’Alan di Jurassic Park lo ricorda davvero da vicino, con quel suo essere un paleontologo avventuriere, rappresentando il tipico eroe spielberghiano. Non a caso l’interpretazione e l’abbigliamento di Sam Neil richiamino quelli di Harrison Ford, così come la sua battuta d’apertura, ovvero “Io li odio i computer”, si rifà a quella di Indy “Io li odio i serpenti”.
Ecco perché è uno dei personaggi tratti dall’omonimo romanzo di Michael Crichton che non è stato modificato.
Chi cambia sono i due bambini, la cui identità è sostanzialmente invertita, e soprattutto John Hammond, il creatore del Jurassic Park. Nel libro, infatti, ha un lato oscuro che non è presente nel film. Certo, è autoritario e manipolatorio anche al cinema, ma rispetto alla sua controparte cartacea non c’è un doppio fine in ciò che fa, ma solo un’irrealizzabile illusione utopica. In fondo, è un Walt Disney che non ce l’ha fatta, dato che la sua “creatura” gli si è rivoltata contro. E non è casuale il riferimento, poiché Disneyland viene citata nella pellicola di Spielberg, Hammond interagisce con i dinosauri come Disney con i suoi personaggi ed è presente, nella spiegazione della creazione dei dinosauri, un video con tecnica a metà tra animazione e live-action come in classici disneyani alla Fantasia o I tre caballeros. Inoltre, Hammond ricorda anche la figura del regista cinematografico, soprattutto in quel Circo delle Pulci raccontato a Ellie. Quest’ultimo è il suo tentativo di darci qualcosa di fittizio – le pulci non erano lì, ma il pubblico le vedeva comunque – che è reso miracolosamente reale; un po’ come il regista che, con il suo lavoro illusorio grazie agli effetti speciali, ha riportato in vita creature estinte da milioni di anni. Hammond, così, ha reso possibile l’impossibile, non tenendo però conto delle conseguenze. E allora, il suo sogno è diventato un autentico incubo a occhi aperti.
Al di là della computer grafica e degli aspetti visivi sublimi, Jurassic Park è anche dialoghi sottili, sceneggiatura acuta, ironia intelligente e sfumata, contenuto profondo e temi scottanti. In particolare, negli anni 90 si parlava sempre più spesso di clonazione, bioscienze e biogenetica. Portando l’attenzione sui possibili effetti del progresso scientifico nella pellicola, si pongono i riflettori anche sulle questioni etiche riguardanti la scienza, la coesistenza tra specie che non si sono mai incontrate, lo scetticismo verso conoscenze che pongono dubbi a livello morale. Jurassic Park ha portato prepotentemente l’ingegneria genetica al centro del dibattito pubblico, attraverso la geniale idea di non concentrarsi sull’immaginario consumato dei cloni umani, ma sulla resurrezione di dinosauri estinti da milioni di anni. Dunque, non si limita solo a donarci un enorme parco divertimenti, ma prova a darci una chiave di lettura che, nei limiti del possibile, possa essere scientificamente credibile.
Gli scienziati nel film, infatti, sono fin da subito perplessi sia per la leggerezza con cui vengono ricreati dinosauri e habitat teoricamente invivibili, sia per come quelle creature vengono totalmente dominate dall’uomo, che crede di poter controllare l’incontrollabile, sia per il renderle dei fenomeni da baracconi e lucrarci sopra per poi eliminarle quando provano a ribellarsi. E infatti, il tutto si ritorcerà contro all’essere umano, perché, in un modo o nell’altro, nella lotta tra uomo e natura, quest’ultima trova sempre il modo di prevalere e come dice Ian:
“La vita vince sempre”
Ed ecco che Jurassic Park, rendendo i dinosauri davvero di culto, diviene un mix di azione, avventura, fantascienza, thriller e horror che diverte, spaventa e pone alla nostra attenzioni riflessioni non scontate. Riesce a portare in scena una storia perfetta a ogni età, risultando uno degli adattamenti migliori di sempre da romanzo a film. Ci siamo immediatamente invaghiti di quel mondo a noi sconosciuto, ci siamo emozionati assieme a quegli scienziati coraggiosi, siamo rimasti affascinati e terrorizzati di fronte alla bellezza sublime dei dinosauri e ci siamo innamorati non solo di una pellicola, ma del modo stesso di farla e di raccontarla. E rimaniamo ancor più sbalorditi se pensiamo che, contemporaneamente, Spielberg stava girando quelli che molti considerano il suo capolavoro, Schindler’s List. Un’annata semplicemente fantastica per noi cinefili!