ATTENZIONE! L’articolo contiene SPOILERS del film Kinds of Kindness.
È quasi un Decamerone grottesco quello che ci propone Yorgos Lanthimos in Kinds of Kindness. Tre storie che si intrecciano tra di loro unite da una vena rossa e densa di sangue e in cui gli allegri narratori dell’opera di Boccaccio sono qui gli stessi protagonisti. Personaggi delle loro stesse storie e narratori inattendibili, mentre l’onnisciente è imbavagliato e legato in cantina. Lanthimos (qui 5 film del regista che vi consigliamo di recuperare) torna alle origini, a quelle primi storie nate non per compiacere il grande pubblico ma per raccontare con assoluta e cruda verità l’animale umano. Sono vicende oscure, intrise di violenza e sesso, ma nelle quali in modo assurdo si riesce anche a ridere. Ridere delle disgrazie dei protagonisti e ridere di noi stessi. Kinds of Kindness si fa dunque anche tragicommedia, con gli stessi attori relegati a interpretare ruoli diverso ma dall’esito comune.
La violenza espressiva di certe scene si accosta a una narrazione che procede, per la maggior parte del tempo, in maniera monotona. Esiste chiaramente e visibilmente un inizio, svolgimento e fine alla pari di qualsiasi fiaba che si rispetti. Solo che in queste sono tutti lupi assetati di sangue. Non esiste un solo personaggio positivo nelle tre vicende raccontate. Tutti, infatti, chi più chi meno sono corrotti dal vizio: sesso, denaro, potere, amore. Si, anche l’amore. Nell’ultima fatica di Lanthimos, l’amore è solo un’illusione. Una parola per definire impropriamente rapporti di sottomissione e sacrificio. Se in Dogtooth, l’amore del padre coincideva con la sua parola di padrone, in Poor Things! (che potete vedere sul catalogo Disney+ qui) l’amore è accettazione di sé e libertà. Nel mezzo, con The Lobster e The Killing of a Sacreed Deer, l’amore riguarda sempre una rinuncia.
Con Kinds of Kindess, il regista diventa ancora più cinico e spietato e l’amore si manifesta in “forme di gentilezza”, appunto, prive di significato.
La pellicola assume la forma dell’antologia. Lanthimos strizza l’occhio a diversi generi cinematografici riadattandoli nel suo stile singolare. Così il primo racconto contiene diversi rimandi al gangster genre e alle crime stories. Il secondo più vicino allo sci-fi, mentre il terzo rimanda a un sottogenere dell’horror legato ai culti e alle sette religiose. Sono riferimenti sottili, nati forse più dal gusto personale del regista che da una vera e propria necessità. D’altronde il risultato non cambia. Per Lanthimos il genere è sempre stato un mezzo espressivo di poca importanza, incapace di definire concretamente il senso e il significato di un’opera solo categorizzandola.
Tre mediometraggi surreali e tragicomici, in cui il regista decide di mettere da parte i virtuosismi registici del suo precedente lavoro per tornare alla crudezza della quotidianità e delle persone comuni. Ci sono ancora sequenze in bianco e nero, si, quelle in cui i protagonisti si fanno anche narratori delle loro storie ma mancano gli estri di Poor Things!. Torna invece uno stile minimalista, privo di fronzoli, e una narrazione che si molto spesso quasi ermetica. Quasi abbiamo detto perché se di primo acchito i racconti possano sembrare criptici e indecifrabili, si prestano, in realtà, a così tante chiavi di lettura che sta solo a noi decidere quale preferiamo.
C’è la tragedia greca, la maschera pirandelliana, persino il folklore. Ma oltre questi strati su strati di interpretazioni e letture possibili, Kinds of Kindness parla solo e semplicemente di ossessione.
Un uomo onesto, un uomo probo
– La ballata dell’amore cieco
S’innamorò perdutamente
D’una che non lo amava niente
Gli disse portami domani
Il cuore di tua madre per i miei cani
Lui dalla madre andò e l’uccise
Dal petto il cuore le strappò
E dal suo amore ritornò
The Death of R.M.F : l’arte
Non crediate che non avendolo citato prima ci siamo dimenticati forse di The Favourite. Con il dramma storico, Kinds of Kindness condivide più di un punto in comune, a cominciare proprio con quei rapporti di dipendenza che in questo caso vengono portati ai limiti estremi. Lì l’amore era una partita giocata con i mezzi più beceri e sleali, qui è un’illusione pietosa. Un sogno che si trasforma ben presto in incubo, quando ogni protagonista è incapace di trovare l’equilibro necessario che ogni amore richiede.
Nel primo racconto, Jesse Plemons interpreta Robert, un manager di basso profilo che asseconda ogni ordine del suo serpentesco capo Raymond.
Ogni giorno Robert riceve un foglio di istruzioni scritte a mano a cui obbedisce alla lettera, istruzioni che specificano cosa deve indossare, cosa deve mangiare, quando può fare sesso con sua moglie e così via. A questi ordini, Robert obbedisce ciecamente, ricevendo in cambio rari cimeli sportivi, case e prestigio. Ma, soprattutto, l’amore di Raymond. Ma quando gli viene ordinato di schiantarsi ad alta velocità con la sua auto contro quella di un’altra persona, Robert inizia a rivalutare il suo rapporto con il capo chiedendosi se non sia più in grado di prendere una decisione da solo.
La riposta arriva, in realtà, piuttosto presto. Quando il piccolo mondo di Robert collassa su se stesso, l’uomo si rende conto dopo dieci anni non sa più cosa vuole né come ottenerlo. Non è nemmeno in grado di scegliere cosa prendere da bere al bar. Dopo aver incontrato Rita, nuova accolita di Raymond che ha portato a termine il compito di investire R.M.F, Robert compie un ultimo gesto disperato e uccide il poveretto dimostrando in tal modo la sua cieca fedeltà.
Robert e Raymond sono l’artista e l’arte.
Qualcuno potrebbe pensare anche l’attore e il regista. In un rapporto di dipendenza reciproca, spesso tossico perfino, il primo finisce quasi sempre con il perdere i contorni della propria individualità annullandosi nel secondo. La ricerca della perfezione assoluta spinge Robert al peccato più grande, togliendo la vita a un altro essere umano. La musa striscia infida sotto le fattezze di Raymond, prima donando ogni cosa al protagonista e poi strappandoglielo brutalmente di mano. Chi sono io adesso che ho perso tutto? Sono queste le parole che Robert sembra ripetersi più e più volte, senza darsi una risposta. Più facile cedere allora al canto delle sirene, abbandonarsi all’oblio e ritornare tra le braccia sicure dell’arte. Il mondo reale, quello in cui siamo noi a dover decidere e ogni nostra scelta conta è davvero un mondo troppo duro per viverci.
Non era il cuore, non era il cuore
– La ballata dell’amore cieco
Non le bastava quell’orrore
Voleva un’altra prova del suo cieco amore
Gli disse amor se mi vuoi bene
Gli disse amor se mi vuoi bene
Tagliati dai polsi le quattro vene
Le vene ai polsi lui si tagliò
E come il sangue ne sgorgò
Correndo come un pazzo da lei tornò
R.M.F. is Flying: l’amore
Nel secondo racconto di Kinds of Kindness, Plemons interpreta nuovamente il protagonista. Stavolta nessuna ridondanza di iniziali ma una squisita metafora con il mondo animale. Daniel è un poliziotto, sposato da anni con Liz. La moglie, scomparsa durante una spedizione subacquea, viene infine salvata da un’isola deserta, ma lui non è così sicuro che si tratti della stessa donna. Sempre più eroso dai dubbi, Daniel inizia a fare delle richieste assurde alla moglie per metterla alla prova. Liz, a sua volta turbata dall’accaduto e innamorata del marito, decide di accontentarlo. Prima gli serve a cena un dito mozzato e poi il fegato, morendo dissanguata nell’estrarselo da sola. Sul finire del racconto, qualcuno bussa alla porta e mentre Liz giace morta con il fegato a terra dimenticato, Daniel abbraccia un’altra Liz sulla soglia.
Chi è la vera Liz? Cosa è accaduto davvero sull’isola? In fondo ha così tanta importanza?
Ossessionato dal pensiero che sua moglie non sia più sua moglie, Daniel si barrica dietro le sue convinzioni. Non presta più ascolto alle parole di Liz o alle confessioni su ciò che ha passato sull’isola, se solo le desse la possibilità di parlane. Da cucciolo con gli occhioni dolci a predatore senza scrupoli, il passo è breve. Daniel e Liz sono protagonisti di una danza macabra in cui si scambiano costantemente i ruoli di vittima e carnefice. Incapace di accettare questa nuova versione di sua moglie, Daniel si convince che non sia più lei. Anche in questo caso, assistiamo al nichilismo e all’annullamento più totale dell’individuo che, piuttosto di venire a patti con la realtà, si lascia andare agli istinti più oscuri e brutali.
Liz, dal canto suo, è pronta a mutilarsi e farsi del male per non deludere l’uomo che ama. Per dimostrargli, con questi atti di gentilezza, che lei continua a essere la sua mogliettina fedele e devota. Del tempo trascorso sull’isola non sappiamo niente perché, in verità, a nessuno importa davvero. Il sogno di Liz è la promessa di un mondo nuovo ma forse anche l’accorato grido di aiuto di una donna troppo fedele e leale al proprio padrone. Proprio come i cani. Una metafora angosciante dell’amore e della sua trasformazione in qualcosa di contorto e malevolo. Liz non veste più le stesse scarpe, mangia il cioccolato che prima detestava ed è cambiata in tante delle sue abitudini. Ecco, è semplicemente cambiata, come avviene nella vita di tutti e come avviene anche nelle relazioni. Eppure non sempre le relazioni cambiano e si adattano con noi.
Gli disse lei ridendo forte
– La ballata dell’amore cieco
L’ultima tua prova sarà la morte
E mentre il sangue lento usciva
E ormai cambiava il suo colore
La vanità fredda gioiva
Un uomo s’era ucciso per il suo amore
Fuori soffiava dolce il vento
Ma lei fu presa da sgomento
Quando lo vide morir contento
Morir contento e innamorato
Quando a lei niente era restato
Non il suo amore, non il suo bene
Ma solo il sangue secco delle sue vene
R.M.F. eats a Sandwich: la fede
Nella terza e ultima storia di Kinds of Kindness, ritroviamo tutti gli attori delle due precedenti. Stavolta, Jesse Plemons e ed Emma Stone (qui i 7 migliori ruoli dell’attrice) sono, rispettivamente, Andrew ed Emily, due membri di una setta basata su uno strano culto dell’acqua. La setta, guidata da Omi (un Willem Defoe che assurdamente non ha mai vinto un Oscar insieme a questi altri attori) e Aka (Chau), ha lo scopo di trovare una donna con il potere di riportare in vita le persone. Nella loro missione, i due si imbattono in diversi candidati ma nessuno di loro è il prescelto.
Dopo aver incontrato una ragazza di nome Rebecca che giura che sua sorella è colei che stanno cercando, Emily è costretta a mettersi da sola sulle sue tracce. Infatti, dopo essere stata abusata da marito, Emily viene anche cacciata dalla setta contravvenendo a uno dei suoi sacri comandamenti: non avere rapporti sessuali. Con membri fuori dalla setta si capisce bene.
Drogata e rapita Ruth, sorella gemella di Rebecca, la protagonista la porta di fronte al cadavere di R.M.F che effettivamente torna miracolosamente in vita. Nel tragitto per ritornare alla setta con il trofeo umano, le due hanno un brutto incidente con l’auto e Ruth muore. La crudeltà e la commedia diventano quasi intollerabili all’interno di questo ultimo racconto. Violenza, morte e abuso sono i temi principali dell’ennesima storia di ossessione di questa raccolta. Emily ha sacrificato tutta la propria vita in nome di una causa lacunosa e incerta. La setta di Omi e Aka, come qualsiasi aggregazione religiosa, chiede molto ma lascia ben poche certezze e, come se non bastasse, Emily non si affida ad alcuna entità mistica ma a due persone fatte di carne, ossa e sudore proprio come lei.
E quando pensa di aver adempiuto la sua missione, ecco che la fatalità del caso la colpisce in pieno mostrando quanto sia inerme l’essere umano.
L’acqua, il pesce, i cani sono alcuni degli elementi che tornano ricorrenti in ogni storia, ricolmi di simbolismo sacro e profano insieme. Jesse Plemons (qui trovate la nostra recensione di Civi War) ed Emma Stone si passano il testimone, lui protagonista della prima storia, lei protagonista della terza. Insieme a dividere la scena, in egual misura, della seconda. Un film che ha diviso Cannes e che, indubbiamente, dividerà anche il grande pubblico.