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La classifica dei 10 migliori piani sequenza del cinema nell’ultimo decennio

La La Land
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I piani sequenza sono una delle soluzioni estetiche preferite dai registi. Se dall’esterno sembra “solo” un particolare tecnica cinematografica nella realtà è uno dei modi più accurati che il cinema trova per permetterci di entrare a tutti gli effetti all’interno dello schermo. E se per questo dobbiamo ringraziare registi dal calibro di Orson Welles o Alfred Hitckcock (chi non si ricorda Nodo Alla Gola, girato con 10 piani sequenza), nell’ultimi dieci anni abbiamo avuto la possibilità di assistere a meravigliose sequenze. Pezzi di storia cinematografica che ci sono rimasti impressi proprio perché, grazie a loro, sembra troppo facile riuscire a toccarla, la magia. La La Land e non solo: vediamo la classifica dei 10 migliori piani sequenza del cinema nell’ultimo decennio.

10) U July 22 (2018)

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Diamo il via a questa classifica con U July 22, film norvegese del 2018 che racconta con incredibile realismo uno dei capitoli più bui della storia norvegese: il massacro sull’isola di Utøya del 2011. La tragedia nella quale persero la vita decine di ragazzi che frequentavano un campo estivo viene presentata dal regista Erik Poppe come un susseguirsi di eventi che sgomitano l’uno con l’altro, regalandoci un’esperienza cinematografica complessa da seguire nella sua imprevedibilità. Un’ora e dieci minuti di paura, soffocamento e macchine che seguono i movimenti degli attori così da vicino che sembra di essere lì, a vivere il terrore in prima persona. Un piano sequenza unico e continuo privo di qualsiasi interruzione, della storia o della regia, a regalarci una pausa dalla visione. Qua non stiamo parlando di virtuosismi tecnici: U July 22 non ha i colori di La La Land o la spettacolarizzazione di Birdman, solo tanta paura. E buio, un buio immenso. E proprio grazie ai movimenti di macchina riesce nel suo intento primario: quello di lasciare un segno.

9) Blind Spot (2018)

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I norvegesi ci sanno fare. Lo dimostra Blind Spot, film drammatico del 2018 candidato lo stesso anno agli Oscar come miglior film straniero. 98 minuti girati con un singolo piano sequenza ci presentano Marie, una madre che affronta una lotta disperata contro la malattia mentale della figlia Thea. Le location sono diverse, gli attori pochi: la regista Tuva Novotny (come solo le grandi registe sanno fare) si serve di poco e ci racconta fin troppo, regalandoci una narrazione straziante perché vicina a tanti di noi. Gli spettatori si ritrovano così catapultati in un viaggio che sembra non finire mai, accompagnati dalla macchina da presa che non regala pause e anzi costringe a tenere gli occhi incollati allo schermo. Una metafora perfetta e implacabile.

8) Il figlio di Saul (2015)

A volte il mondo migliore per raccontare la guerra è lasciarla sullo sfondo. Questo fa Il figlio di Saul, straordinario film ungherese del 2015 abilissimo nel togliere agli spettatori qualsiasi certezza possano avere mai avuto sul cinema. Saul, membro ungherese del Sonderkommando (il gruppo di prigionieri ebrei costretto ad aiutare i nazisti nell’opera di sterminio), vede uccidere un ragazzo sopravvissuto alle camere a gas e decide di volergli dare una degna sepoltura, sostenendo che sia suo figlio. L’orrore e la disumanità del conflitto è costantemente lasciato fuori fuoco: la camera segue i passi di Saul e gli ruota attorno, lasciando la sofferenza volutamente al di fuori, appena accennata. Un racconto originale vissuto attraverso gli occhi di un uomo, un padre. Senza pause né stacchi a ricordarci che la guerra non risparmia un secondo.

7) Victoria (2015)

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Ci spostiamo in Germania e parliamo di Victoria, oltre due ore di film girato con un solo piano sequenza. In un’unica notte vediamo Victoria, la protagonista, vivere una Berlino sfuggente, complessa e apparentemente mai vista prima. La telecamera la segue ovunque: sui tetti delle case, dentro le discoteche piene di luce, nell’oscurità dei vicoli. Un film difficile da fare e tanto più da comprendere proprio perché non ha tagli: un susseguirsi di vicende folli, bellissime e slegate l’una dall’altra. La maggior parte dei dialoghi è improvvisata e non potrebbe essere più azzeccato: guardando Victoria si fa fatica a capire dove finisce il cinema e dove comincia la vita vera.

6) The Father (2020)

The Father, film del 2020, è uno di quei prodotti molto bravi a dimostrare che, al giorno d’oggi, per fare buon cinema non serve necessariamente qualcosa di spettacolare. Al contrario, a volte non serve quasi nulla. Un magistrale Anthony Hopkins e una straordinaria Olivia Colman, nell’esordio alla regia di Florian Zeller, si destreggiano nel raccontare il tema della demenza senile attraverso gli occhi di un uomo incapace di distinguere la realtà dalla malattia e di una figlia che assiste impotente allo sfaldamento di ogni certezza. The Father utilizza la macchina da presa e il piano sequenza per esprimere tutto lo smarrimento e la confusione che provano i protagonisti, e noi spettatori con loro. In The Father non ci sono i grandi piani sequenza del cinema, quelli spettacolari nel loro essere imponenti: la macchina da presa si muove come in una danza, spostandosi insieme ai personaggi e scegliendo consapevolmente di celare piuttosto che evidenziare determinati aspetti della storia. Il piano sequenza diventa dunque uno strumento per raccontare la malattia e per parlare di un cinema che confonde, stupisce e soprattutto lega.

5) Creed (2015)

Creed, film del 2015 e spin-off della saga su Rocky Balboa, ha una delle migliori scene d’azione girate in piano sequenza degli ultimi anni. Solo 13 take necessari a costruire la prima scena di combattimento, un long shot di quasi 4 minuti. Un concentrato di suspense e violenza nel quale lo spettatore si ritrova invischiato, grazie anche alla scelta del regista Ryan Coogler di farlo entrare più o meno fisicamente sul ring assieme al protagonista (qui potete leggere a chi si è ispirato Michael B. Jordan per la sua interpretazione) attraverso l’utilizzo della telecamera. Una scena bellissima e al tempo stesso banalmente brutale.

4) Gravity (2013)

Non è un caso che Gravity, uno dei migliori film del 2013 diretto da quel genio di Alfonso Cuaron, abbia fatto incetta di premi tecnici agli Oscar dell’anno successivo. Il film del regista messicano è spaziale in tutti i sensi, un infinito piano sequenza (quello che apre il film dura quasi 15 minuti, per intenderci). In Gravity, un thriller che è anche drammatico, un dramma che è anche fantascienza, non è tanto importante la trama (che è paradossalmente insignificante se paragonata alla cornice che la riveste) quanto la struttura tecnica che il regista le costruisce attorno. Un film che sfiora il podio di questa classifica in silenzio, lo stesso silenzio che gli si deve durante la visione. Spettacolare e semplice insieme.

3) Birdman (2014)

Le scelte rivoluzionarie, in campo cinematografico e seriale, se fatte bene ripagano sempre. Alexandro Inarritu, uno dei registi più stilisticamente sofisticati con la telecamera, questo lo sa bene: ed è proprio il suo immenso amore per la tecnica cinematografica a venire fuori in ogni inquadratura di Birdman, capolavoro in tutti i sensi del 2014. Nonostante la narrazione del film non prosegua in tempo reale il film è costruito per sembrare un lunghissimo piano sequenza, anche quando sono presenti stacchi. Pause che non vengono percepite grazie proprio alla telecamera, che danza come una ballerina e segue ogni movimento con attenzione. E così la domanda da porsi non è più “di cosa parliamo quando parliamo d’amore?” quanto “di cosa parliamo quando parliamo di cinema?”. La risposta è Birdman.

2) La La Land (2016)

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Sfiora il primo posto La La Land, la magnificenza di quel Damien Chazelle che nel 2014 ci aveva già fatto sognare con Whiplash. Il secondo posto di La La Land è puramente organizzativo: basta la scena d’apertura del film a ricordarci che cos’è un piano sequenza straordinario, anche se artificiale. O ancora meglio il piano sequenza di 6 minuti dove Mia e Sebastian ballano al tramonto davanti alle luci di Los Angeles. La La Land è un’esplosione di colori, musica e movimenti di macchina che sembrano arrivare da un’altra epoca. Uno di quei film che ci immerge nella narrazione, ci svuota quando si conclude e ci ricorda la potenza emotiva dei musical.

1) 1917 (2019)

Sam Mendes sa bene come costruire un piano sequenza che colpisca. L’ha fatto nella scena d’apertura di Spectre e lo rifà in quello che è il suo capolavoro, 1917, un film diverso da tutti gli altri ambientato durante la prima guerra mondiale. Paragonato più volte a prodotti che l’hanno preceduto, 1917 non è niente di quello che ci aspetteremmo: se Salvate il soldato Ryan è epico nella sua grandezza, il film di Sam Mendes è crudo, diretto e per certi versi vuoto. Attori del calibro di Colin Firth vengono relegati a figure di sfondo per lasciare spazio a un giovane anonimo, uno tra tanti. Ed è qui che entra in gioco il piano sequenza, apparentemente unico e continuo: la telecamera si affianca ai soldati, entra nelle trincee, segue le vicende non dall’alto ma strisciando nel fango. Ci regala un film di guerra dove il conflitto ci viene sbattuto in faccia. 1917 si guadagna così il primo posto in classifica, non tanto per le tematiche o l’abilità con cui le si affronta, ma per la sua voglia di raccontare la verità. Un film che non si fa guardare ma che, al contrario, ci guarda dentro con rabbia.

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