ATTENZIONE: L’ARTICOLO CONTIENE SPOILER SU LA MEGLIO GIOVENTÙ
Scrivere di un film che è considerato meritatamente un capolavoro come La meglio gioventù mi riempie di emozione e di felicità, così come risulta complesso e allo stesso tempo molto interessante raccontare il personaggio ribelle e intrigante di Matteo Carati, interpretato da un carismatico Alessio Boni.
È il 1966 e Matteo è un giovane studente della Facoltà di Lettere. Appartiene a una famiglia piccolo borghese di Roma composta dai genitori, due sorelle e un fratello, Nicola (Luigi Lo Cascio), al quale è molto affezionato. Il legame tra i due è splendido. Si vogliono un bene incondizionato, pur avendo personalità molto diverse ma che si incastrano alla perfezione. Mentre Nicola è razionale, diplomatico, paziente, affabile e deciso su chi vuole essere e su ciò che vuole fare nella vita, Matteo è esattamente l’opposto.
Matteo è imperfetto. Ed è questo il suo fascino.
È una crisalide non ancora pronta a trasformarsi e a trovare un proprio posto nel mondo. Il suo involucro esterno è ruvido e insondabile, ma anche così fragile da sembrare che si possa sgretolare al minimo tocco, se tenuto tra le dita. Ha un carattere impulsivo, passionale, irascibile, irrequieto, incompreso, introverso. Ama la fotografia e la lettura. Quest’ultima in particolare rappresenta il suo rifugio più intimo ogni volta che le ingiustizie della vita e della società feriscono la sua estrema sensibilità: il suo pregio e la sua debolezza più grande.
Il percorso travagliato di questo personaggio ha inizio quando conosce Giorgia (Jasmine Trinca), una giovane ragazza ricoverata in un istituto psichiatrico sottoposta a elettroshock. Matteo infatti prende a cuore la sua storia. Vorrebbe aiutarla, ma si sente impotente, fino a che un giorno decide di farla scappare di nascosto dal manicomio. Durante la fuga il loro rapporto si intensifica. Lunghi silenzi vengono alternati da domande senza risposta che lui le porge. La porta in Vespa, le legge dei libri.
Forse Matteo è anche innamorato di lei ma non si dichiara apertamente, se non tramite una sequenza meravigliosa in cui i due non parlano ma si guardano davanti a un juke-box dal quale fuoriescono le note della canzone “A chi” di Fausto Leali. Quando Giorgia viene trovata e riportata in manicomio, Matteo, affranto, decide di abbandonare gli studi e di arruolarsi come militare.
Durante il servizio di leva stringe amicizia con un collega, Luigi, con il quale entra a far parte del corpo di polizia. L’ambiente lavorativo sembra perfetto per soddisfare la sua ricerca di regole e di ordine. Qualcosa che possa aiutarlo a sistemare tutta quella sua sovrabbondanza interiore. Questo nuovo percorso di vita, inoltre, viene visto da Matteo come un mezzo per trovare finalmente gli ideali di giustizia e di libertà in cui crede, simili a quelli dei poemi epici che tanto ama leggere e che conosce così bene.
Matteo però ora è un uomo. Quel poco di spensieratezza che aveva durante la gioventù, come vedremo, verrà sostituita dall’accumulo di esperienze drammatiche e traumatiche. La crisalide inizia a diventare più fragile.
Infatti, durante una protesta violenta (sono gli anni dei tumulti studenteschi e dei lavoratori), Luigi viene ferito gravemente da un rivoltoso, tanto da perdere l’uso di entrambe le gambe. Matteo, accecato dal dolore e dalla rabbia, interviene per proteggere l’amico aggredendo il manifestante. A seguito dell’incidente viene trasferito a Bologna e poi a Palermo, ma l’emozione che ha provato è tutta racchiusa in un dialogo tra lui e il fratello, in cui dichiara senza mezzi termini che “avrebbe ammazzato quella persona se non l’avessero fermato”. La sua sincerità è come sempre spiazzante, cruda, senza compromessi. E la sua sofferenza è umanamente comprensibile.
Prima Giorgia, poi Luigi. L’irrequietezza e il malessere esistenziale di Matteo aumentano irreversibilmente quando scopre che il padre ha il cancro e che non potrà guarire. La sua morte avviene in poco tempo e segna il momento in cui Matteo diventa ancora più solitario e intransigente. Lo vediamo piangere abbracciato al fratello, l’unico che sembra comprenderlo, ma la sua disperazione è doppia: suo papà è morto e lui non è voluto andare a trovarlo prima che accadesse.
Nel frattempo è successo un altro avvenimento importante. Nicola ha ritrovato Giorgia in condizioni disumane, all’interno di un manicomio illegale. Matteo li raggiunge. Sono passati tanti anni dall’ultima volta che si sono visti. Infatti, quando entra nella stanza della ragazza, è commosso ed emozionato. Non sa cosa dire. Ha gli occhi lucidi. Le propone con dolcezza di andare a mangiare un gelato. Giorgia risponde solo con una parola, a fior di labbra: “Matteo”.
Quando era in Sicilia, Matteo aveva conosciuto anche un’altra ragazza, Mirella (Maya Sansa), appassionata di fotografia come lui ma alla quale aveva celato la sua vera identità, dicendole di chiamarsi Nicola. I due si rincontrano successivamente a Roma, dove Mirella lavora presso una biblioteca. Sembrano andare d’accordo ed essere felici e affiatati. Passano una notte insieme a seguito della quale lui le promette che si rivedranno, ma in realtà continua a mentirle su tutto.
Il comportamento di Matteo nei confronti di Mirella è un vero enigma. Quando lei scopre la verità, pretende delle spiegazioni che però Matteo non sa darle. Egli al contrario si arrabbia furiosamente: alza la voce, le urla dietro, la manda via. Perché? Pensa di essere inadeguato e quindi vuole allontanare qualsiasi persona per proteggerla e non farla soffrire? Ma riuscirà Matteo a proteggersi da sé stesso?
La risposta ci viene data la sera di Capodanno, il momento più drammatico de La meglio gioventù. I fuochi d’artificio nel cielo, il balcone, lui che si toglie le scarpe e si butta giù. Tutto ci lascia un senso di vuoto e di incredulità, oltre a una profonda tristezza. Ricordo che la prima volta che vidi questa sequenza, portai la mano alla bocca e rimasi in quella posizione per dei minuti. Non ci credevo, era irreale.
Infatti, durante le ore precedenti il suicidio, Matteo aveva provato a chiamare Mirella al telefono, probabilmente per scusarsi, e si era addirittura presentato a casa della madre per i festeggiamenti con la famiglia. Un ultimo saluto? Aveva già deciso?
In seguito al lutto, Nicola è afflitto dai sensi di colpa per non aver capito la sofferenza del fratello. Durante una trasferta di lavoro a Milano, però, succede una cosa inaspettata. Vede il manifesto di una mostra fotografica, sui cui campeggia una foto di Matteo in bianco e nero: il dettaglio del suo occhio limpido coperto dalle dita della mano.
Sarà grazie a Giorgia che Nicola incontrerà Mirella, l’autrice di quella foto, scattata “Quando Matteo era Nicola”. La donna ora ha un bambino di sette anni con due grandi occhi azzurri: Andrea, il figlio di Matteo. Sarà proprio lui, diventato ragazzo (Riccardo Scamarcio), a terminare l’ultima scena del film, davanti a uno splendente Sole di Mezzanotte norvegese.
La figura di Matteo Carati de La meglio gioventù rappresenta tutto il mistero e l’unicità che un essere umano possa racchiudere. È un personaggio ideale in mezzo a personaggi reali. La sua personalità ci fa riflettere e ci incanta perché ha un portamento provocatorio, solitario, autodistruttivo, ma anche nobile e genuino. Troppo intelligente e idealista per poter sopravvivere a una vita di compromessi. Matteo rappresenta la luce e l’ombra. Il chiaroscuro. Proprio come in quella foto in cui il suo volto è in parte protetto dalla mano. Una bellissima crisalide dorata. A metà.