Quel che ho sempre amato del cinema è la sua infinita capacità di stupirmi. Difficilmente riesco a rispondere a chi mi domanda quale sia il mio genere preferito o il mio regista preferito, e questo è riconducibile al fatto che la cinematografia ha confini troppo ampi e che forse non mi sarà mai possibile conoscerla fino in fondo. Le otto montagne mi ha confermato proprio questo pensiero, portandomi a entrare in sala piena di pregiudizi e a uscire dalla stessa entusiasta.
Arrivato nelle sale da pochi giorni, dopo il grande successo al Festival del Cinema di Roma dal quale è uscito vincitore del Premio della Giuria, Le otto montagne è un viaggio nei ricordi dei suoi protagonisti ma anche nostro, piccolo remainder che il tempo è prezioso, specialmente quello trascorso con le persone care.
La trama di Le otto montagne
Le Otto Montagne, film scritto e diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch (Alabama Monroe), adattamento del romanzo Premio Strega di Paolo Cognetti, tratta la profonda storia di amicizia tra Pietro (Luca Marinelli) e Bruno (Alessandro Borghi), due bambini completamente diversi che si ritrovano durante l’estate in un paesino di campagna.
Pietro proviene da una famiglia borghese di Torino, non dice le parolacce ed è pacato, Bruno invece è tutto l’opposto, ultimo bambino nato nel paese. La loro amicizia nasce proprio tra la natura, che da grande Bruno odierà chiamare in quel modo, tra mucche, pascoli e erba alta.
A dividerli per tanti anni ci penserà la possibilità di scegliere, negata a Bruno che si sentirà per sempre legato alle sue montagne, le stesse che alla fine se lo porteranno via.
Passato, presente e futuro
Il concetto di tempo in questo film è molto astratto e lascia spazio all’interpretazione. Tutto il film è narrato da Pietro, con una particolarità che ricorda tanto i migliori film del cinema d’autore (qui invece trovi alcuni titoli del cinema italiano da vedere su Netflix).
Per chi ha avuto la possibilità di visionarlo al cinema, avrà sicuramente notato che la voce del narratore è praticamente fuori dal contesto visivo che stiamo guardando. Un po’ come se Pietro non stesse parlando dal futuro, ma dal presente, magari di fianco a noi. Questa scelta, unita a una visione in 4:3, è interpretabile come la volontà di raccontare i fatti come se fossero una storia, dilatando i tempi e rendendo ogni arco temporale esasperante a livello emotivo. Tutta l’emotività traspare anche grazie alla fotografia di Ruben Impens, fatta di semplici inquadrature fisse, zoom e campi larghissimi che ci consentono di guardare dalle nostre comode poltrone paesaggi mozzafiato.
Pietro e Bruno crescono, prima bambini, poi adolescenti e infine adulti, e in quell’arco di tempo di cose ne sono successe, ma mai nulla che li abbia portati a cambiare davvero.
Quanto può far male il rimpianto
Il rimpianto è un tema molto affrontato nella pellicola. Bruno, nonostante tutte le disgrazie successe nella sua infanzia e poi nella vita attuale con la moglie e la figlia, sembra non rimpiangere mai nulla, quasi consapevole che il suo destino, fin da piccolo, sia stato quello di essere un montanaro, fatto che conferma lui stesso.
Pietro, al contrario, di rimpianti ne ha tanti, specialmente nei confronti del padre. Tali emozioni sono esternate più che mai in alcuni passaggi molto interessanti del film. Pensiamo a quando, da piccolo, non è riuscito a scalare il ghiacciaio, Pietro ci riprova da adulto, ostinandosi in questo modo a rincorrere il passato, non riuscendoci perché di fatto il ghiacciaio negli anni si è sciolto.
Gli errori, o rimpianti, del passato risultano dunque irrimediabili, ma Pietro li rincorre con ostinazione, scalando vette ancora più lontane e ripercorrendo malinconico i percorsi che con il padre non era riuscito (e non aveva voluto) fare.
Le otto montagne ci insegna a lasciare andare
Pietro si ostinerà tutta la vita a voler aiutare l’amico Bruno. Invidiato da piccolo per le attenzioni che riceveva dai genitori, aiutato da grande per non sentire lo stesso rimorso e senso di colpa che Pietro ha sempre sentito nei confronti del padre.
I due crescono interrogandosi sul loro destino, convinti entrambi che quello dell’altro sia il migliore, sentimento esternato da Pietro che spesso dice di non riuscire a trovare la sua strada. Lo stesso quesito, posto una notte nella casa che i due amici si sono costruiti, parte proprio da un disegno di Pietro, che illustra un cerchio che simboleggia il mondo. Al centro c’è la montagna più alta, il Sumeru, circondata da otto mari e otto montagne. La domanda è: chi ha imparato di più? Chi ha visitato “le otto montagne” (Pietro) o chi ha raggiunto la vetta del Sumeru (Bruno)?
La risposta, forse, non la conosceremo mai.
Luca Marinelli e Alessandro Borghi mai così bravi
Ero già a conoscenza delle doti attoriali di questi due bravissimi attori, ma il lavoro che Marinelli e Borghi compiono in questo film ha dell’incredibile. Marinelli, noto al panorama internazionale grazie alla Coppa Volpi, vinta a Venezia per la migliore interpretazione maschile per il film di Pietro Marcello Martin Eden, e poi Borghi attore ormai richiesto in tante produzioni internazionali.
Quasi irriconoscibili nei loro personaggi adulti, i due attori si calano a pieno nella parte, stravolgendo per quel che riguarda Borghi non solo il suo aspetto ma anche il suo accento. Una storia di amicizia maschile che non siamo più abituati a vedere in toni così seri, fatta di tradizioni e ombre paterne che li mettono costantemente di fronte al loro destino.
Destino che Bruno sceglie di non cambiare, al contrario di Pietro che finalmente trova la sua strada in altre montagne.