Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Match Point.
PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Match Point? Ecco la risposta senza spoiler.
Disponibile su Sky, Now e Infinity (a noleggio su Apple Tv), Match Point è uno dei film più riusciti di Woody Allen. La trama ruota attorno all’ex tennista professionista Chris Wilton, che adesso fa l’istruttore in un esclusivo club di Londra. Stringe amicizia con il ricco Tom Hewett, che lo introduce nell’alta società e a sua sorella Chloe, con la quale intreccia una relazione amorosa. Quando Chris conosce la fidanzata di Tom, l’aspirante attrice Nola Rice, ne rimane folgorato e, rincontrandola tempo dopo e libera da qualsiasi legame con il quasi-cognato, inizia con lei una relazione passionale. Tuttavia, non interrompe quella con Chloe e la coppia convola presto a nozze. Ma, tra le due donne, a rimanere incinta è proprio Nola e Chris deve trovare presto una soluzione, o perderà tutto.
È una pungente e attenta analisi dei rapporti di classe quella che Woody Allen conduce in Match Point, attraverso uno sguardo acuto e una sottile vena ironica. Lo fa con un thriller drammatico piuttosto atipico per lui, dove i personaggi prevalgono sulla trama e la New York leggera e jazzista lascia il posto a una Londra grigia, lirica, quasi shakespeariana. La sceneggiatura è impeccabile, guadagnandosi una nomination a Oscar e Globe, la musica altamente significativa e la fotografia incanta. A ciò vanno aggiunte le ottime interpretazioni del cast: da Scarlett Johansson a Jonathan Rhys-Meyer, passando per Emily Mortimer, Matthew Good, Brian Cox e Penelope Wilton.
Ne risulta una pellicola avvincente, feroce, personale, coinvolgente e in grado di mixare perfettamente commedia e dramma; un’amara metafora della vita che gioca sui temi della moralità, dell’avidità, del tradimento, della lussuria e, soprattutto, della fortuna. Infatti, affronta con genialità quanto il caso sia determinante nell’esistenza degli esseri umani, per portarli in cima al mondo o scaraventarli in fondo alla rupe. Ed è proprio su questo, sulla casualità, che si concentra la nostra focalizzazione della seconda parte del pezzo.
SECONDA PARTE: Il caso in Match Point (con spoiler)
Quando una pallina da tennis rimbalza sulla rete e rimane sospesa in aria, sarà solo il caso a scegliere da che parte cadrà, decretando così l’esito della partita. È da questa scena, che rappresenta l’importanza della sorte, che iniziano le vicende di Chris Wilton in Match Point. A prima vista, lui è un personaggio davvero fortunato: è accolto da una famiglia benestante che gli procura un ottimo lavoro, ha una fedele moglie che praticamente lo mantiene e un’amante sensuale e paziente. Soprattutto, raggiunge quell’obiettivo che si era posto fin da sempre, ovvero la scalata nelle alte sfere della società; tema che già Stanley Kubrick aveva affrontato nel suo sottovalutatissimo Barry Lyndon. Infatti, entrambi i protagonisti dei due film sono irlandesi poco abbienti ma caparbi, che raggiungono l’alta borghesia odierna (Chris) o l’aristocrazia del 18esimo secolo (Barry) tramite le rispettive consorti.
La differenza sostanziale tra i due sta proprio nella fortuna.
Per Chris la pallina supera la rete, permettendogli di salire di livello nella società; per Barry invece torna indietro e ciò gli costerà la sconfitta al gioco della vita. Se, dunque, Kubrick ci ricorda che la morte appiana tutte le differenze tra gli uomini, Woody Allen ribadisce questo concetto nel film su Sky e Now, ma intanto ci dice che in vita qualcuno ha una buona sorte e altri no. Infatti, mentre Chris si fa strada grazie alla relazione con la figlia del capo, la stessa Chloe, pur essendo ricca, è sfortunata sia in ambito professionale che sentimentale, affermando, durante una cena in cui Chris ribadisce l’importanza della fortuna, che:
“Io non credo nella fortuna, credo nel duro lavoro”.
Pure Nola, nonostante sia bellissima e sensuale, non ha fortuna. Molto più ingenua e dominata dalle emozioni rispetto a Chris, pur provenendo da un background simile, vorrebbe diventare un’attrice di successo e le tenta tutte per coronare il suo sogno, ma fallisce ogni provino a cui si presenta. In più, la madre di Tom non l’accetta, perché non ritiene sia la donna giusta per suo figlio. Come ben mostra il film su Sky e Now, Nola è estremamente complessa, contemporaneamente pura e provocante. Ciò viene ribadito dai vestiti bianchi che si alternano a quelli neri, almeno nella prima parte; basti pensare al momento in cui Chris la vede per la prima volta in Match Point e uno sguardo è sufficiente per catturarlo per sempre. Lei, bianca come un angelo, lo stuzzica da dietro un tavolo da ping pong, pronunciando una battuta da antologia dell’erotismo cinematografico: “Chi è la mia prossima vittima?”.
E se lei parla della partita, Woody Allen no e lo capiremo solo nella seconda parte di Match Point, quando la seduzione finisce e i suoi vestiti iniziano a essere più sciatti e con colori tendenti al grigio.
Infatti, lei tenta inizialmente di difendersi dalla seduzione di Chris, prova a respingerlo in quel campo di grano bagnato da una pioggia battente, quasi intuisse quella cattiva sorte e il baratro in cui l’avrebbe scaraventata. Ma ha bisogno d’amore, rivendicando il suo legittimo posto al fianco di Chris soprattutto dopo aver scoperto di essere incinta. Allora, seguendo anche la scia di ciò che lo stesso Woody Allen raccontò nel suo Crimini e misfatti (che con Match Point ha tantissime analogie), Chris è arrivato a un punto in cui, per mantenere la sua fortuna, deve eliminare chi è di troppo. Ovvero la povera Nola.
Mentre Chris compie l’omicidio, risuona l’aria di Desdemona tratta dall’Otello di Verdi, rendendo chiari i paragoni tra i due personaggi, entrambi vittime di destini avversi. Permetteteci una piccola digressione sulla musica. A differenza di altre sue pellicole dove il regista usa il jazz, ovvero il genere per eccellenza dell’improvvisazione, in Match Point si serve della lirica. Questo perché Chris non improvvisa mai niente, sia nelle azioni che nelle parole; in più, ama l’opera, anche se forse è un sentimento dettato dalla voglia di diventare come le persone che l’ascoltano, ovvero ricche e colte. E lo stesso sembra valere per l’arte e la letteratura, perché non è mai chiaro quanto sia realmente sincero.
Del resto, Chris è forse il personaggio più ambiguo nella filmografia alleniana, oltre che fortunato. E lo si vede nella parte finale, quando torneranno le parole che il protagonista del film su Sky e Now pronuncia nell’incipit:
“Chi disse “Preferisco avere fortuna che talento” percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo”.
Una volta compiuto il duplice omicidio, l’osserviamo venire a patti con ciò che ha fatto e, allo stesso tempo, coprire le sue tracce. Mentre le indagini proseguono e un agente sospetta di Chris, quest’ultimo viene a sapere da un collega che l’assassino è stato catturato con l’anello della vecchia signora uccisa in mano. Era quello che Chris aveva gettato giù da un ponte e, rimbalzato indietro, è finito sul marciapiede, dove qualcuno l’aveva recuperato; cosa che inizialmente aveva fatto sperare nella giustizia, ma che in realtà si rivela decisiva per la libertà del protagonista del film su Sky e Now. Dunque Chris si salva non per la sua bravura, ma per pura e semplice fortuna. Sempre ricollegandosi all’immagine iniziale di Match Point, Woody Allen ci sbatte in faccia l’amara verità, rendendo innocuo l’unico oggetto che poteva incriminarlo. Così, Chris può continuare a vivere la sua vita come se niente fosse.
Ma, pensandoci bene, quella che ha è davvero fortuna? Può essere ritenuto un baciato dalla Dea Bendata?
Non sono risposte semplici da dare. Dopo l’assassinio, è tormentato dai fantasmi dei suoi sensi di colpa e il suo ultimo sguardo scansa la camera, fugge dal pubblico, come se si vergognasse. Eppure, se amava davvero Nola, non l’avrebbe uccisa solo per interesse personale. Potremmo pure bollarlo come un egoista che tiene solo a sé stesso e al suo status. Ma Chris è un personaggio più complicato di ciò e ricorda molto da vicino il Raskol’nikov di Delitto e Castigo: entrambi uccidono e combattono con il rimorso; entrambi lo fanno per lo stesso motivo – il sentirsi/essere superiore rispetto a quello che sono.
Ciò che cambia tra i due è il Castigo, che da un lato giunge puntuale e dall’altro viene allontanato dalla fortuna. Chris sarà libero nel film su Sky e Now, ma tremendamente infelice. Lui non ha un’indole malvagia come può sembrare; semplicemente si è trovato in questo mondo benestante e per lui, abituato a ben altro, è impossibile rinunciare a un’esistenza così elitaria, nonostante la pressione costante e le aspettative asfissianti; nonostante sappia che Chloe non lo renderà mai felice come Nola; nonostante così perda la sua essenza. E infatti, la sua punizione non va cercata nelle leggi umane o nella giustizia, regolate anch’esse dal Caso. Sarà l’esistenza a incarcerarlo e ad alienarlo da sé stesso. Uccidendo il suo sogno. Condannandosi.
Dunque, alla sua ascesa sociale corrisponde una discesa verso la dannazione; un nichilismo che lo punisce con una sofferenza costante e, seppur sembri che Chris riesca a mettere a tacere la propria coscienza, gli occhi non mentono mai. Lui stesso si chiede se sarebbe più giusto se venisse condannato, perché sarebbe il segno che esiste la giustizia e un qualche significato dell’esistenza. In realtà, è Woody Allen che se lo domanda e se lo augura poiché, in un universo senza Dio come quello in Match Point, vuole trovare un limite alle azioni umane, che deve risiedere per forza nella moralità individuale. Purtroppo, è una ricerca vana. Perché quello che ci presenta è un mondo senza espiazione, lieto fine e dove gli assassini vincono; una cinica parabola morale di un uomo che, pur di vivere nell’alta società, è disposto alle azioni più crudeli, a tradire la sua natura e a galleggiare nella sua infelicità. È la vita stessa, controllata dal Caso che, volente o no, ci determina e racchiusa in quella pallina da tennis, perché:
“È incredibile come cambia la vita se la palla va oltre la rete o torna indietro, no?”.