Vai al contenuto
Home » Film

La spiegazione del finale di Memento

Ma prima di continuare con la lettura abbiamo entusiasmanti novità da condividere con te. A breve sarà disponibile Hall of Series Plus, il nostro servizio in abbonamento che ti permetterà di accedere a moltissimi contenuti esclusivi e in anteprima.

Inserisci il tuo indirizzo email e clicca su ‘Avvisami’ per essere notificato quando Plus sarà disponibile.

* campo obbligatorio

Memento: v. lat. [imperat. di meminisse «ricordare», quindi: «ricòrdati!»].– La parola è talora adoperata (oggi raramente) sia come verbo, nel sign. proprio, «ricòrdati», sia come s. m., col sign. di «appunto scritto, promemoria».

Questo è quello che troviamo se cerchiamo l’etimologia e il significato della parola Memento.

In inglese, esso acquista comunemente il secondo significato sostantivato: un qualsiasi oggetto utilizzato per ricordarsi di qualcosa, compresi i foglietti con note e appunti. «Ricordati» e «promemoria» possono, in maniera essenziale, riassumere l’opera seconda (e forse quella che veramente lo ha lanciato) di Christopher Nolan: Memento (2001). Il film (lo trovate gratuitamente su RaiPlay, approfittatene!) è un adattamento del curioso racconto Memento Mori del fratello Jonathan Nolan, pubblicato nel 2001 sulla rivista Esquire.

Seguiamo le vicende di Leonard Shelby (Guy Pearce), un ex-investigatore per una compagnia di assicurazioni, dove si occupava di scovare le false denunce di risarcimento. Lenny, come lo chiama scherzosamente Teddy Gammell (Joe Pantoliano), è affetto da un disturbo della memoria per i fatti recenti, l’amnesia anterograda, a seguito di quello che il protagonista chiama “l’incidente”. La sua condizione gli impedisce di immagazzinare nuove informazioni per più di quindici minuti, passati i quali si dimentica qualsiasi cosa gli sia appena successa, detta o vista.

Shelby ha una personale missione che dovrebbe chiudere il capitolo legato all’incidente, ma viene messo in difficoltà dalla sua memoria a breve termine danneggiata. Questa incapacità di costruire nuovi ricordi diventa la struttura portante del film, composto da tanti tasselli temporali. La percezione totale dell’ingarbugliato e apparentemente spezzettato intreccio mnemonico ci è permessa solo al termine del film stesso.

Il puzzle temporale costruito da Nolan ci accompagna nella scoperta di alcune delle sfaccettature più oscure dell’animo umano. Proviamo, quindi, a comprendere cosa vuole dirci il finale di questo film sui significati e sulle dimensioni della memoria.

Il tempo è memoria. La memoria è tempo.

Guy Pierce nei panni di Leonard Shelby, protagonista di Memento

Da vero maestro del tempo qual è, in Memento Christopher Nolan orchestra le vicende dividendole su due linee narrative-temporali diverse (un suo grande classico, che però non ci annoia mai), visivamente distinte dall’utilizzo del bianco e nero in contrapposizione all’immagine a colori. La prima linea, in bianco e nero, segue un ordine cronologico degli eventi. Invece, la seconda, a colori, simula lo stato mentale del protagonista e scorre in ordine contrario. Le due si incontrano, completandosi in una logica coerente, al termine del film.

“Ricordati di Sammy Jenkins”

L’incidente è l’ultimo punto fermo nella memoria di Leonard. Viene riportato a galla costantemente, nei suoi pensieri, nei suoi appunti, nella presentazione di sé alle persone. Scopriamo ben presto che l’incidente rappresenta, in realtà, due momenti concatenati. ll primo è lo stupro e l’uccisione di sua moglie, Catherine Shelby (Jorja Fox). Il secondo, è la contusione alla testa per mano dei due aggressori (tra cui John G., principale obiettivo della sua vendetta), comportando la sua attuale condizione.
Il fantasma della moglie continua a manifestarsi nei ricordi di Leonard. Direttamente e indirettamente. Da un lato vediamo chiaramente quelli che sembrano essere i veri ricordi della moglie. Dall’altro Shelby costruisce un rassicurante castello attorno al caso fittizio di Sammy Jenkins (Stephen Tobolowsky), affetto anche lui da amnesia anterograda, e la signora Jenkins (Harriet Sansom Harris). Leonard ci racconta (e a chi sta dall’altra parte del telefono) dei Jenkins per dimostrare (e rassicurare sé stesso) che il suo metodo mnemonico funziona.

Polaroid, appunti, tatuaggi gli permettono di rimanere in relativo controllo e contatto con il flusso del tempo e aggiornare costantemente la sua memoria. Leonard ne è convinto.

Un ciclo infinito di vendetta

Leonard Shelby che confronta i propri tatuaggi con delle prove

Alla fine del film, Teddy (il John G. sospettato da Leonard) si rivela essere il poliziotto che ha seguito il caso di assassinio della moglie di Leonard. Affezionatosi al protagonista, nonostante la sua condizione, lo aiuta a portare a termine la sua vendetta. Scopriamo, quindi, che Leonard sta vivendo in un loop da 15 minuti da almeno un anno, momento in cui ha ucciso il vero John G.. Non riuscendo a lasciarsi appunti scritti dell’accaduto (una delle falle nel suo sistema), l’unica prova a cui Leonard potrebbe credere è una polaroid di sé stesso. Nella foto, Leonard indica il posizione sul suo corpo in cui avrebbe dovuto tatuarsi la prova del completamento della missione.
Non riuscendo a convincerlo della verità, Teddy manipola ormai un complottista Leonard per fargli uccidere altre persone. Ogni volta, gli fa credere, tramite false tracce, che gli obiettivi siano il vero “John G.”.

Se da un lato c’è la manipolazione da parte di Teddy, dall’altro, Leonard manipola e inganna sé stesso. Consapevolmente, Shelby contraffà le proprie note e si nasconde parti delle prove (ad esempio, le dodici pagine scomparse del fascicolo sul caso). Il termine del film/inizio del racconto ci mostra che Leonard sta consapevolmente scegliendo di vivere in un ciclo infinito di vendetta, ingannando se stesso per dare un senso alla sua vita.

L’uccisione di Teddy chiude, in questo modo, un ciclo, ma Leonard, falsando i propri appunti, si condanna a ripeterlo all’infinito. Uno schema mnemonico, che dovrebbe permettere una vita lineare, diventa invece un ciclo di autoinganno da cui Leonard non riesce a uscire.

Scegliendo di vivere nella menzogna, Leonard rifiuta una verità troppo dolorosa da accettare.

Questo, ripreso dalla struttura di Memento, ci permette di mettere in discussione la natura della memoria e della verità.
Tutto quello che ricordiamo è vero? O la nostra mente, il nostro subconscio, l’ha plasmato in una verità più accomodante (bella o brutta che sia)? Nolan prende in giro la nostra percezione, mostrandoci come i ricordi possano essere manipolati e quanto sia facile perdersi nel proprio inganno. Con un finale aperto, veniamo lasciati con un’unica e amara consapevolezza: Leonard sta ancora cercando John G. (una Serie Tv sarebbe perfetta per raccontarci questa storia), in una ricerca di giustizia tragicamente vana.