4) E’ Stata la Mano di Dio, uno dei migliori film di Sorrentino candidati agli Oscar
Ad anticipare il podio, E’ Stata la Mano di Dio (qui la recensione), la pellicola più intima di Paolo Sorrentino che, seppur attraverso eventi e personaggi romanzati ai fini della trama, apre una finestra sul passato del regista. Parte tutto da un presupposto, l’unico che forse esprime davvero in modo più incisivo il cinema di Sorrentino: la realtà è scadente. E’ questa consapevolezza a cambiare la vita di Fabietto, un adolescente a cui la vita ha dato le gioie più grandi e i dolori più feroci. La perdita dei genitori cambia tutto. Gli apre gli occhi verso una realtà da cui era forse prima stato protetto, e che invece adesso deve affrontare senza il suo cuore pulsante. Quella realtà scadente ha bisogno di essere espressa, non di essere nascosta. Ha bisogno di trovare una casa in cui mutarsi, diventando qualcosa di più di solo tanto dolore.
Il dolore in E’ Stata la Mano di Dio, d’altronde, non viene mai teatralizzato. E’ costante, quotidiano. Lo avvertiamo perfino noi da qui sentendo sulla nostra pelle l’afa di una giornata estiva che non passa mai insieme ai suoi dolori e le sue angoscie. Ed è qui che ritorna quanto detto prima, quell’indiretto parallelismo con Parthenope. Ancora una volta, Napoli. C’è solo una nuova strada possibile per il protagonista, ed è il cinema.
Di film non ne ha visti molti, ma conosce perfettamente C’era una Volta in America. Un film che per capire l’amore per il cinema basta eccome. Non sa da dove partire, dove andare. Se Napoli debba essere il luogo in cui realizzarsi, o un posto da cui andare via. Ed è per questo motivo che ne E’ Stata La Mano di Dio la città ricopre un ruolo così decisivo: rappresenta entrambe le cose. Un posto da portarsi dentro, da cui tornare sempre, ma andando via.
Il dolore di E’ Stata la Mano di Dio è pieno di silenzio. Lo percepiamo nello stesso identico modo con cui lo percepisce lui, vittima di un abbandono destinato a cambiare per sempre la sua esistenza. Non poteva essere una Napoli felice quella vista dai suoi occhi, ma certamente i suoi confini lo sono sempre stati. Erano un punto di inizio. La musa. La patria incontaminata del suo dolore. Il luogo in cui tutto ha avuto e tutto ha perso. E’ Stata la Mano di Dio, seppur recente, è uno dei film di Paolo Sorrentino più sottovalutati. La celebrazione di un passato che non ha mai lasciato il regista, dandogli la possibilità di scrivere film che sono delle opere d’arte.
3) Il Divo
Ad aprire il podio dei migliori film di Paolo Sorrentino Il Divo. Un’altra volta Toni Servillo. Un’altra volta una grande opera che, come detto nel caso di Loro, sposta la narrazione su un piano diverso da quelli a cui il regista ci ha abituati, conservando però la stessa grandezza. Anche in questo caso si ritorna a Hollywood, si ritorna alla notte degli Oscar per la categoria Miglior Trucco. E anche questo caso si ritorna all’unica cosa che importa davvero al regista: raccontare, senza giudicare. Lasciare alla storia e ai personaggi il potere di raccontarsi da soli. Anche in questo caso facciamo un salto nel passato venendo a contatto con la storia di Giulio Andreotti. Ancora una volta, siamo spettatori di un’altra opera gigantesca.
L’Andreotti di Sorrentino rappresenta uno dei ritratti politici migliori mai raccontati nel panorama cinematografico italiano. La rappresentazione cinica e concreta di un uomo che per il potere ha sacrificato ogni cosa, ritrovandosi nel fiore della sua carriera da solo, con la sola moglie al suo fianco. Un politico che vince e che vinceva anche quando perdeva, accettando il dolore come costante e ordinario, unico modo per trovare del bene in una vita che pesa con tutte le sue mancanze. Con tutto quel che ha perso lungo il cammino in un altare che ha restituito la gloria, ma mai la felicità, che non è mai stata l’ambizione di una persona – prima che di un politico – così consapevole di ciò che bisogna sacrificare per raggiungere quel che ha raggiunto.
Lo conosciamo così: in un momento ordinario, tra emicranie e agopunture. Sprovvisto di qualsiasi impulso emotivo e caratterizzato da gesti meccanici, scevri di qualsiasi reazione istintiva. E’ l’interpretazione di Sorrentino. La sua prospettiva su uno dei politici più rinomati e discussi, quel Divo che quando non c’è è comunque presente, perché non vi è scena in cui non venga menzionato. Un espediente che indirettamente restituisce l’obiettivo di Sorrentino e dell’interpretazione di Servillo: parlare di Andreotti andando oltre Andreotti, mettendo insieme l’idea di Andreotti stesso, il sottomondo che si nasconde davanti e dietro di lui. Non se ne parla mai abbastanza de Il Divo. Rimane sempre in una angolino, come se non fosse mai successo. Ma è successo. Ed è stato un altro grande capolavoro di Paolo Sorrentino.