3) The Tender Bar (George Clooney, 2021)
Adattamento delle memorie di J.R. Moehringer, The Tender Bar ci racconta l’infanzia e la giovinezza dell’autore e giornalista vincitore del Premio Pulitzer. Alla regia George Clooney, che ci propone una classica storia di formazione, dalla narrazione profonda e ben caratterizzata. Crescita, identità, ricerca di sé stessi. Tutti temi universali, a cui tutti ci relazioniamo. Attraverso gli occhi del giovane scrittore in erba, il film ci accompagna in un viaggio lungo la scoperta personale, tra lotte, sogni e nuovi legami.
J.R. (Tye Sheridan), infatti, è cresciuto a Long Island, da solo con sua madre Dorothy. L’unica figura paterna costantemente presente nella sua vita è lo zio Charlie (Ben Affleck), che il giovane abitualmente aiuta nella gestione del Tender Bar. Qui, oltre allo zio, le figure di riferimento sono molte, diventando per il giovane uomo una sorta di padri surrogati. La famiglia scelta da J.R., quella del bar, gli permette di conoscere il vero sentimento di appartenenza. Al Tender Bar, come ogni bar che si rispetti, non c’è spazio per il melodramma e ogni serata procede come quella precedente. Allo stesso modo, il film vuole riprendere questa “sana” routine e ce la trasmette nella maniera più semplice possibile: attraverso i classici discorsi da bar.
La regia è, infatti, semplice, diretta, ma estremamente efficace. George Clooney non esagera, non azzarda a strafare, rispettando il tono intimo del romanzo originale. La storia si presenta, quindi, in modo autentico e delicato. Per alcuni colleghi, al film manca quel quid, che avrebbe affermato George Clooney come regista. Invece, a mio parere, è proprio nella capacità di Clooney di non volersi imporre registicamente che The Tender Bar funziona. Si tratta di una storia semplice e la regia la segue in un’elegante danza, senza sovrastarla.
4) Nosferatu – Il principe della notte (Werner Herzog, 1978)
Con l’imminente arrivo al cinema del remake targato Robert Eggers, quale occasione migliore per recuperare questo capolavoro del cinema horror? Il Nosferatu di Herzog è sia omaggio, sia rifacimento dell’omonima pellicola del 1922 diretta da F.W. Murnau, considerato una pietra miliare del cinema espressionista tedesco. Non si tratta, tuttavia, del classico remake. Herzog, infatti, offre la propria interpretazione personale del mito di Dracula, in un’opera visionaria, che riflette su sofferenza, solitudine e vita eterna.
Quest’ultima, infatti, diventa ben presto – per chi ne è afflitto – una condanna. La morte, riflette il film, è parte ineluttabile della condizione umana e la sua mancanza una maledizione. Dracula è qui interpretato da Klaus Kinski, attore feticcio di Herzog. Il suo Conte è uno dei più memorabili della storia del cinema. L’aspetto grottesco del mostro incarna una terrificante solitudine e una tragica angoscia esistenziale. Umanizzato, il Dracula di Kinski, nell’orrore che incarna, non punta, tuttavia a spaventare, ma a riflettere sull’eternità. Dal punto di vista della regia, invece, Herzog utilizza un ritmo deliberatamente lento e meditativo, aumentando la tensione e trascinando in uno stato meditativo e riflessivo. Il senso di minaccia, accompagnato dalla sofferenza e dalla condanna, rende questo film più una tragedia, che un horror. Il vampiro non è più un mostro che caccia l’uomo per mera sopravvivenza, ma diventa simbolo delle ombre dell’animo umano.
L’esperimento che vi propongo è semplice.
Da veri cinefili, fate un viaggio nella storia del cinema e del genere horror partendo dal Nosferatu di Murnau del 1922 (disponibile su YouTube insieme ad altri 6 classici dell’Horror). Passate poi per quello di Herzog del 1978, che è tra i migliori film su Prime Video. Infine, fiondatevi in sala l’1 gennaio 2025 e guardate la versione di Eggers. Più di 100 anni di cinema raccolti in poche ore. Non so voi, ma a me l’idea manda fuori di testa.