3) Downton Abbey, forse il miglior period drama britannico
Anche in onore della compianta Lady Maggie Smith, non potevamo certo non inserire questa perla seriale in una lista dedicata ai migliori period drama di sempre.
Fin dal primissimo episodio, Downton Abbey si è distinta per la meticolosità, la cura per il dettaglio e la ricerca storica protagonista della sua narrazione. Proprio grazie a tutte queste virtù non sorprende che lo show sia stato ampiamente lodato dalla critica spietatissima e dal pubblico più esigente. Si tratta di uno show che, a ben vedere, non è poi adatto a tutti. O meglio, tutti possono indubbiamente vederlo e apprezzarlo ma solo i veri appassionati del genere sono in grado di coglierne i dettagli e i segreti. Grazie anche all’expertise di Julian Fellowes, creatore della serie e storico dilettante appassionato dell’aristocrazia britannica.
A un livello molto superficiale, il period drama esplora nel migliore dei modi le rigide divisioni di classe nella Gran Bretagna dell’epoca, mettendo in scena le differenze tra l’aristocrazia e la servitù. La complessa rete di relazioni tra i due gruppi, le regole non scritte, le aspettative di comportamento e le differenze tra chi lavora “sopra” e “sotto” le scale sono presentate con grande accuratezza nella storia. Di stagione in stagione, dunque, diventiamo partecipi delle vite dei membri della famiglia Crawley e di coloro che orbitano attorno a lei. E ogni conquista, vittoria, nascita e morte si accompagna a eventi storici realmente accaduti.
Il naufragio del Titanic, per esempio, è il punto di partenza della serie tv. Poiché i Crawley perdono l’erede della loro fortuna, portando alla necessità di trovare un nuovo erede maschio.
La prima guerra mondiale, poi, ha un impatto devastante sulla famiglia Crawley e sui loro domestici. Alcuni dei personaggi vanno al fronte, e la tenuta viene trasformata in un ospedale per i soldati feriti, riflettendo una pratica comune nelle grandi case aristocratiche britanniche durante il conflitto. La serie rappresenta anche le tensioni sociali e politiche che emergono dagli anni Venti in poi. Con un’enfasi sul crescente potere dei lavoratori e la diminuzione dell’influenza dell’aristocrazia. Come specchio sugli stravolgimenti dell’epoca, è inevitabile che lo show arrivi a esplorare anche i cambiamenti nel ruolo delle donne e l’evoluzione della società. Lady Sybil sfida le convenzioni sociali sposando un autista irlandese e adottando posizioni politiche progressiste. Mentre la figura di Lady Mary, che ci manca moltissimo, riflette la transizione della donna aristocratica da “oggetto di matrimonio” a persona che cerca una certa autonomia, anche in campo economico e sociale.
4) The Queen
Il film scritto da Peter Morgan (futuro creatore di The Crown) si apre con l’elezione del nuovo primo ministro britannico. Tony Blair, giovane e carismatico, rappresenta una nuova era per la Gran Bretagna, in netto contrasto con l’antica istituzione della monarchia. Tuttavia, poco dopo il suo insediamento, Blair si trova ad affrontare una crisi imprevista: il tragico incidente automobilistico che causa la morte della principessa Diana e il conseguente immenso lutto nazionale.
La reazione della famiglia reale, e in particolare della regina Elisabetta, di mantenere un profilo basso e rimanere a Balmoral, la loro residenza in Scozia, viene vista dal pubblico come fredda e distaccata. Scatenando una reazione di indignazione collettiva. La vicenda prende dunque avvio nei giorni successivi alla morte di Diana. Da un lato troviamo Blair che cerca di persuadere la regina a tornare a Londra e a mostrarsi vicina al popolo, mentre quest’ultima si trova a confrontarsi con un ruolo sempre più complesso in una società moderna e in rapida evoluzione. Lei che da sempre è rimasta ancorata alle sue convinzioni e alle tradizioni della monarchia.
Come appunto accadrà in uno dei migliori period drama su Netflix, Peter Morgan tratteggia un ritratto della monarchia britannica quanto più umano possibile. Nei suoi pregi e difetti.
Helen Mirren, nei completi in tweed della regina Elisabetta II, riesce a trasmettere con grande sensibilità la complessità di una sovrana abituata a mantenere un rigido controllo su se stessa e sulle sue emozioni. Cresciuta con determinati modelli e con un’aspettativa immensa sulle sue spalle, Elisabetta lotta per rimanere fedele ai suoi valori e dimostrare, allo stesso tempo, di meritare la corona. Una corona inaspettata, non voluta ma che poggia salda sul suo capo dove rimarrà per oltre sessant’anni. Il film esplora soprattutto il conflitto interno della sovrana. La regina, che ha sempre visto il suo ruolo come quello di un simbolo di stabilità e continuità, si trova di fronte a un mondo che sembra richiedere una leadership più personale e più vicina alle emozioni della gente.
Elisabetta II è qui ritratta come una figura isolata, non solo fisicamente (poiché rimane a Balmoral mentre Londra è in lutto), ma anche emotivamente. In questo scenario il primo ministro Tony Blair funge invece da mediatore tra la tradizione e il cambiamento. Una figura che rappresenta la voce del popolo ma che, allo stesso tempo, nutre un profondo rispetto per l’istituzione monarchica.
I due assumono il ruolo di rappresentanti rispettivamente del vecchio e del nuovo.
Un confronto tra la monarchia, che rappresenta la stabilità e la tradizione, e una società che si sta muovendo rapidamente verso una maggiore apertura emotiva e una nuova forma di leadership politica. La morte di Diana diventa il catalizzatore di questo scontro. La principessa, con il suo carisma e la sua umanità, era vista da molti come una figura moderna, capace di connettersi con il pubblico in un modo che la famiglia reale non riusciva a fare. Non bastava più essere un simbolo di stabilità: il popolo richiedeva un’interazione più umana e meno formale da parte dei suoi leader.