5) Robert Eggers – “The Witch”
Si tratta del film che ha fatto conoscere Anya Taylor Joy al grande pubblico lanciando la carriera della giovanissima star. Ma è altresì il film con cui Robert Eggers è entrato a gamba tesa nel panorama del cinema d’autore contemporaneo, ritagliandosi a ben diritto la sua fetta. L’horror, nelle mani di Eggers, diventa espressione artistica di altissima qualità e mezzo di trasmissione culturale. Uscito nel 2015, The Witch si distingue per la sua capacità di combinare una narrazione inquietante con un’accuratezza storica impressionante, creando un’esperienza cinematografica unica e profondamente disturbante.
Ambientato nel New England del XVII secolo, The Witch racconta la storia di una famiglia puritana che viene esiliata dalla loro comunità e si stabilisce ai margini di una foresta oscura e misteriosa. Mentre la famiglia affronta eventi sempre più inquietanti che sembrano avere origine soprannaturale, la giovane Thomasin diventa il capro espiatorio delle paure e delle frustrazioni dei genitori. Ma più la paura cresce, più Thomasin si sente inspiegabilmente attratta dal bosco che sembra silenziosamente invitarla.
Il film ha vinto il premio per la miglior regia al Sundance Film Festival, consolidando Eggers come uno dei nuovi registi più promettenti del cinema contemporaneo.
Un talento che ha trovato conferma nei suoi successivi lavori come The Lighthouse o The Northman. Una costante della regia di Eggers sono il folklore e la pulsione per il mitico, traslati nel genere horror per dare voce alla paure recondite dell’essere umano. Nel caso di The Witch (disponibile sul catalogo Prime Video qui), il regista esplora temi complessi come la fede, la paranoia e la disintegrazione familiare. La fede religiosa della famiglia è sia la loro forza che la loro rovina, poiché la superstizione li porta a interpretare gli eventi soprannaturali come segni della volontà divina o della malvagità. La paranoia cresce man mano che la famiglia si isola sempre di più, e le accuse di stregoneria iniziano a emergere.
6) Alex Garland – “Ex Machina”
Il cinema di fantascienza ha sempre avuto l’ambizione di raccontare il mondo e l’umanità sotto una lente di ingrandimento molto particolare. Uno specchio sul futuro, o quantomeno sui possibili futuri di cui l’essere umano sarebbe artefice, nel bene e nel male. I film di fantascienza (non tutti ma tanti di loro) hanno quindi il potenziale per esplorare le grandi domande della nostra esistenza e per dare vita a sogni o incubi. Ex Machina di Alex Garland non fa eccezione. Uscito nel 2014, il film ha segnato il debutto alla regia di Garland, già noto nell’ambiente per lo più come sceneggiatore.
La pellicola è stata accolta con grande entusiasmo dalla critica e dal pubblico, consolidando immediatamente Garland come uno dei registi migliori e provocatori del cinema contemporaneo.
Ex Machina (qui la nostra recensione) segue la storia di Caleb Smith, un giovane programmatore che lavora per una delle più grandi compagnie di tecnologia del mondo. Caleb vince una competizione per trascorrere una settimana nella residenza isolata del CEO dell’azienda, il misterioso Nathan Bateman. Nella casa isolata del genio della tecnologia, Caleb scopre di essere stato selezionato per partecipare a un esperimento straordinario: valutare le capacità e la coscienza di un’intelligenza artificiale di nome Ava. Un androide dal corpo robotico e dal volto umano che incanta Caleb e noi tutti grazie al talento straordinario di Alicia Vikander.
Dieci anni fa, Garland aveva profeticamente predetto quello che sembrerebbe essere ormai il nostro futuro più prossimo. L’intelligenza artificiale al servizio dell’uomo, per soddisfarne capricci e necessità. Ma a che prezzo? Nell’opera del regista la riflessione verte sulla natura della coscienza, l’etica della creazione e le dinamiche di potere tra creatore e creatura. Garland utilizza un approccio minimalista per raccontare una storia che, pur essendo ambientata nel futuro, affronta questioni universali e senza tempo.
L’innovazione rappresentata da Ava si scontra con l’ambiente claustrofobico in cui è confinata. Per realizzare la casa di Nathan Bateman, il regista ha collaborato strettamente con il direttore della fotografia Rob Hardy per creare un ambiente che coniugasse le due sensazioni. La casa di Nathan, che funge anche da laboratorio, è un personaggio a sé stante: una struttura ultramoderna immersa nella natura selvaggia, che rispecchia il dualismo tra la natura e la tecnologia presente nella trama. L’uso sapiente delle luci e delle ombre, poi, insieme a una palette cromatica fredda e clinica, contribuisce a creare un’atmosfera di tensione e inquietudine. Ogni inquadratura è meticolosamente composta per amplificare il senso di isolamento e controllo che pervade il film.