Vai al contenuto
Home » Film

Il film della settimana: Minari

Minari
Ma prima di continuare con la lettura abbiamo entusiasmanti novità da condividere con te. A breve sarà disponibile Hall of Series Plus, il nostro servizio in abbonamento che ti permetterà di accedere a moltissimi contenuti esclusivi e in anteprima.

Inserisci il tuo indirizzo email e clicca su ‘Avvisami’ per essere notificato quando Plus sarà disponibile.

* campo obbligatorio

Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Minari.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Minari? Ecco la risposta senza spoiler.

Disponibile su Infinity e Apple Tv+, Minari è ambientato negli anni ’80 e incentrato sulla famiglia di immigrati sudcoreani Yi, composta dal padre Jacob, dalla madre Monica e dai loro figli Anne e David. Si trasferiscono dalla California all’Arkansas, così che Jacob possa avviare la sua attività agricola: vuole coltivare ortaggi coreani da vendere ai suoi nostalgici compatrioti negli Stati Uniti. Mentre l’uomo è entusiasta, il resto degli Yi è perplesso da questo trasferimento in un isolato fazzoletto di terra. Soprattutto Monica, preoccupata dalle loro difficoltà economiche, dal vivere in una roulotte e dalla malattia cardiaca di David. Ad aiutarla arriverà dalla Corea sua madre Soonja; vecchietta singolare che sconvolgerà il delicato equilibrio degli Yi e contemporaneamente ne accenderà la curiosità.

Lee Isaac Chung si ispira alla sua infanzia per regalarci un affresco familiare che è allo stesso tempo racconto collettivo e storia personale, con uomini e donne pieni di voglia di realizzarsi, di debolezze e di sentimenti. Seguendo il ritmo pacato della quotidianità, parla di conflitti usando la raffinatezza del cinema orientale ma rivolgendosi al grande pubblico, in un modo che è tanto semplice quanto profondo, pieno di una poeticità che riesce a coinvolgerci dall’inizio alla fine. A cavallo tra due mondi fisici e cinematografici, la differenza etnica è filtrata da alcuni intelligenti siparietti e il tema della formazione riguarda sia bambini che adulti. A supporto di ciò c’è la bravura del cast: Steven Yeun, il Glenn di The Walking Dead, è un perfetto Jacob; Alan Kim è un dolcissimo David; Youn Yuh-jung, premiata agli Oscar 2021, è la tenace e ilare anti-nonna; Will Patton è il veterano di guerra religiosissimo che tenta di espiare le sue colpe nelle campagne dell’Arkansas.

Dolce, delicato, commovente, pluripremiato e sincero, Minari ripudia gli eccessivi picchi (melo)drammatici con una storia che parla a tutti non solo di immigrazione, ma anche di famiglia, crescita, emozioni e di trovare il proprio scopo e il proprio posto nel mondo. E dopo averlo visto su Infinity e Apple Tv+, vi aspetta la nostra analisi di questo piccolo gioiellino.

SECONDA PARTE: L’analisi e il significato (con spoiler) del toccante e autentico Minari

MInari
I protagonisti del film su Infinity e Apple Tv+

Minari è un’opera profonda che affronta diverse tematiche. Una di esse è la famiglia e lo vediamo con gli Yi, che ci vengono introdotti in un’atmosfera quasi idilliaca e dalle note di una nostalgica ma energica ninna nanna che sembra quasi riecheggiare le note di Ennio Morricone. Il contrasto con l’ambiente è fin da subito evidente, perché gli Yi sono l’opposto del concetto di unione e di armonia, e la prima scena lo sottolinea bene, impostando da subito il tono dell’interno film: da un lato c’è Jacob che guida un piccolo camion dei traslochi; dall’altra Monica al volante della loro auto con all’interno i due figli David e Anne. Gli adulti della famiglia sono in conflitto tra loro e con sé stessi, perché si sentono irrealizzati e, dunque, non riescono a provare gioia. Entrambi vengono sfruttati in un lavoro poco gratificante e poco sicuro, mentre tentano di rincorrere l’agognato American Dream. Ovvero, il raggiungimento di uno status di benessere e felicità attraverso un lavoro appagante in grado di sostenere economicamente tutta la famiglia e di permettere loro una vita decorosa.

Jacob lotta per realizzare la sua attività, il suo sogno americano, più di quanto faccia per la sua famiglia nonostante lo voglia realizzare per loro, al punto da dire alla moglie:

“[Anne e David] Devono vedermi avere successo in qualcosa per una volta. Anche se fallisco devo finire ciò che ho iniziato”

I litigi con Monica aumentano e la disgregazione della famiglia avviene quando Jacob non insegue più il sogno americano per gli Yi, ma per sé stesso. E allora, il racconto diviene uno scontro tra culture e tra generazioni. La Corea, che prima era solo un’eco lontana, arriva prepotentemente in Minari attraverso la nonna Soonja, che sconvolge e ribalta le carte in tavola perché, per la prima volta, emerge in maniera tangibile e non solo formale la differenza etnica tra gli Yi e gli americani. Irrompendo soprattutto nella vita dei bambini che si ritrovano di fronte alle loro origini; quelle che fino a quel momento erano solo state menzionate. Infatti, David e Anne si sentono e sono americani, essendo nati e cresciuti negli States e parlando inglese, tanto che al bambino bianco che chiede a David il perché ha la faccia patta, lui risponde tranquillamente che non è così. Soonja, invece, non ha niente di americano, risultando una vecchia paesana mai davvero integrata. Mangia e beve cose strane, non si comporta come dovrebbe fare la tipica nonna occidentale, non cucina biscotti o torte, gioca a carte imprecando davanti ai bambini e guarda programmi di lotta. Come dice David: “Non è una vera nonna, puzza troppo di Corea!”. La terza via tra nipoti e nonna è rappresentata dai genitori, americani d’adozione che parlano inglese coi figli e coreano tra loro. Essi tentano di trovare la loro comunità nel luogo in cui hanno scelto di vivere. Da un lato riescono a formare relazioni con i locali, assorbendone la mentalità e integrandosi in un sistema difficile ma promettente; dall’altro cercano di distinguersi dai locali, orgogliosi di essere al di sopra dei loro stereotipi, e di mantenere il legame con la loro terra d’origine.

I protagonisti del film su Infinity e Apple Tv+

Non a caso Jacob decide di coltivare i prodotti tipici della cucina coreana, perché è consapevole che tantissimi immigrati hanno bisogno di sentire l’odore del Paese natio attraverso il cibo. Inoltre, pone l’accento sull’importanza della cultura culinaria per i coreani; elemento che rappresenta la separazione tra Asia e America: infatti, i prodotti di Jacob sono richiesti esclusivamente dagli asiatici che, così, mantengono i contatti tra di loro, ma sono anche un ostacolo per l’integrazione con gli altri in Minari. Quest’ultima inizia veramente all’interno di una chiesa, in cui gli Yi si avvicinano agli americani al di fuori della loro cerchia asiatica.

Resta il fatto che la cultura altra rimane quella asiatica, percepita come strana e che non si adatta allo stile di vita occidentale, come è ben visibile col piccolo David. Almeno all’inizio. Perché, sebbene i bambini vivano una polarizzazione, alla fine assorbono entrambe le culture nel modo più naturale possibile.

Ecco che avviene una rilettura dell’American Dream, visto stavolta attraverso lo sguardo di David. Lui e sua sorella osservano in prima persona i sacrifici dei loro genitori, che affrontano molti ostacoli in uno Stato che non comprendono fino in fondo, cercando di superare le barriere linguistiche e di unire culture differenti. Assistono alle lotte di mamma e papà che non concordano sulle scelte di vita dell’altro. Monica non vorrebbe vivere in un luogo tanto isolato e abbandonato, escludendosi dalla società; Jacob, invece, lo vede come il loro nuovo inizio. Allora, la conflittualità degli Yi non riguarda tanto il loro essere stranieri, quanto quelle lotte interne spesso legate ai rapporti interpersonali tra membri della famiglia.

Sarebbe stato semplice, infatti, concentrarsi sulle tensioni razziali in un tempo e in un luogo in cui i personaggi l’avranno purtroppo e sicuramente subita. Però, eccetto dei commenti di alcuni bambini, non c’è un vero punto di rottura. Sovvertendo le aspettative, Chung sembra voglia comunicare che questa non è soltanto un’altra storia di esperienze asioamericane riportata su piccolo o grande schermo, ma che si possono fare bei film e bellissime storie con questo soggetto, senza per questo dover per forza rappresentare un’intera comunità.

MInari
Soonja e David nel film su Infinity e Apple Tv+

L’abbiamo già citata un paio di volte, ma soffermiamoci sull’importanza dell’ambientazione. In essa Jacob pone tantissime aspettative e, tramite i luoghi, il film riesce a trasmettere i sentimenti dell’uomo, assieme a questa parvenza di fragilità e instabilità che colora la vita degli Yi, aggiungendo strati narrativi attraverso i paesaggi, i colori caldi, le atmosfere bloccate nel tempo e i grilli sullo sfondo. La natura è quasi un personaggio nell’opera su Infinity e Apple Tv+, con quelle scene di albe e tramonti alternate ad altre in slow motion per rendere tutto più lento e darci una sensazione di pace.

Un perfetto bilanciamento degli Yi in Minari, di quelle difficoltà affrontate e di quella serenità che verrà ritrovata alla fine proprio in quella natura rigogliosa e viva.

È Soonja che, per prima, parla del minari che dà il titolo al film. Esso è una pianta aromatica tipica dell’Asia e della cucina sudcoreana, che ha la caratteristica di crescere e resistere anche nei posti più impervi. Ecco che diviene metafora dell’intera pellicola. Saranno Soonja e David a piantarlo, coloro che impareranno piano piano a capirsi, ad amarsi e che risulteranno i catalizzatori del cambiamento nella vita degli Yi. Soprattutto Soonja, colei che paradossalmente si dimostra la più capace a gestire lo sradicamento e che, rappresentando un passato da superare e contemporaneamente la portatrice di una rinnovata pace, riunisce la famiglia in quell’evento che sembrava segnarne la sconfitta: l’incendio del capannone agricolo. Permettendo anche a un momento catastrofico di risplendere nel proprio happy ending.

Ed è ancor più impattante se pensiamo al fatto che il minari cresce più forte la seconda volta. È come se fosse il simbolo dei bambini che, unendo la cultura della nuova terra alle radici dei genitori, cresceranno ancor più forti delle generazioni passate. Perché in fondo questo è un film sulla rinascita, sulla possibilità per tutti di ricominciare, sul riscatto sociale, sulla crescita e sul vero significato della parola casa. Ovvero il luogo in sono riposti non tanto i beni materiali o l’apparenza a una comunità, quanto il nostro cuore e i nostri affetti; dove non siamo mai soli e in cui poter crescere con l’altro. Esattamente come le piantine di minari.

Il film della settimana scorsa: Brooklyn