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Mufasa – Il Re Leone: la Recensione dell’ennesimo live-action non richiesto

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Natale, al cinema, vuol dire solo una cosa: film targato Disney. Quasi ogni anno, infatti, la casa di Topolino garantisce almeno un’uscita nel periodo natalizio. Ormai si tratta di una tradizione per tante famiglie, che vedono in questi film fonte garantita di divertimento, sia per grandi, sia, cosa più importante, per piccini. Nelle sala italiane dal 19 dicembre, infatti, è arrivato Mufasa – Il re leone. Un prequel/sequel de Il re leone del 2019, a sua volta remake della versione animata del 1994. Questa volta a firmare la pellicola è Barry Jenkins, già dietro alla camera di Moonlight (uno dei migliori film A24 di sempre) e anche alla direzione seriale di un episodio di Dear White People (tra le più sottovalutate del catalogo Netflix).

Mufasa narra la storia di come il padre di Simba, da randagio, sia arrivato a governare la Rupe dei Re. Attraverso il racconto di Rafiki alla piccola Kiara (figlia di Simba), ripercorriamo il viaggio di un giovane leone che sta cercando di ritrovare la strada di casa. Da cucciolo orfano, perso e solo, Mufasa incontra un leone comprensivo di nome Taka, erede di una stirpe reale. Il rapporto fraterno che si crea immediatamente tra i due, infatti, è l’elemento cardine del film. L’ombra della figura paterna di amletiana memoria, come ne Il Re Leone, aleggia anche qui. Ma con delle notevoli differenze. Le tematiche che il film si propone di affrontare, infatti, sono interessanti e hanno molto potenziale. Tuttavia, Mufasa presenta delle problematiche che lo fanno arenare, come i precedenti tentativi live-action Disney.

Partiamo con un piccolo riepilogo spoiler-free della trama di Mufasa

Mufasa

Prima di partire, ci tengo a specificare una cosa. In questa recensione, non ho intenzione di soffermarmi sulle discussioni avvenute in merito alle scelte del doppiaggio italiano (che considero lecite). Non intendo neanche elogiare – o sminuire – la rappresentazione live-action, che può piacere o meno. Il mio obiettivo è quello, invece, di soffermarmi più sui temi, sulle scelte narrative e sulle conseguenze di queste. Sarò pure di parte, visto che Il re leone è il mio cartone Disney preferito, però, in questo film, ci sono dei punti deboli non indifferenti.

La leggenda di Mufasa, delle sue gesta e del suo coraggio riecheggiano ancora nella valle. Si, anche dopo l’avvento di Re Simba, insieme alla sua Regina, Nala, e la sua primogenita, Kiara. La piccola leoncina, intimorita dall’arrivo di una violenta tempesta, viene affidata a Timon e Pumba (su di loro ci torno poi) e – per fortuna – Rafiki. L’impostazione sequel-prequel da quel senso di continuità con il film del 2019, sebbene l’inserzione del comic relief di Timon e Pumba stoni con l’intera atmosfera, decisamente più mastodontica ed epica. La nemesi è rappresentata da Kiros e il suo branco, i quali, mossi da vendetta verso Mufasa e non solo, muovono contro il giovane leone una missione di cieca vendetta.

“Si, siamo fratelli… Oh, ma aspetta: quella è Sarabi” e le deboli motivazioni alla base di uno dei più grandi villain della storia dell’animazione

Bisogna specificare una cosa molto importante. Mufasa non racconta soltanto la storia del padre di Simba. Forse, infatti, il vero protagonista del film è Taka, reale di nascita, quello che nella pellicola (ma già ben comprensibile dal trailer) scopriamo essere il futuro Scar. Il film si propone di raccontare come Scar sia diventato tale, le sue motivazioni e, potenzialmente, le sue giustificazioni.

Mentre fuggono da un famigerato branco di leoni bianchi capitanato da Kiros, Mufasa e Taka si imbattono in Sarabi. Il principe felino, fin da subito, resta ammaliato e chiede al fratello adottivo un aiuto per conquistare la giovane leonessa. Tuttavia, nel momento in cui Sarabi decide invece di rivolgere le proprie attenzioni a Mufasa, Taka resta particolarmente amareggiato e, in un atto di pura gelosia, decide di condurre Kiros e gli altri leoni bianchi verso Milele (la futura Rupe dei Re), alla caccia di Mufasa.

Eccolo qui il problema. A mio parere la motivazione del futuro Scar – quello che decide di essere il rinnegato del branco e cova vendetta verso il fratello per (ipotizzo) decenni – non può essere ridotta a mera gelosia. Si, Sarabi avrà pure il potenziale di regina del branco e si, Taka/Scar, nonostante il sangue reale, sarà un codardo patentato (come il padre). Tuttavia, il rancore che Scar mostra ne Il re leone non può essere giustificato da un “ma la avevo puntata prima io”. Il tradimento che Scar subisce avrebbe dovuto essere molto più importante, molto più legato al suo status di reale. Il rifiuto – che, in realtà, non è tale – di Sarabi non viene minimamente giustificato a Scar, che, invece, se la prende e, come un bambino viziato, mette il broncio

Papà a confronto con Masego, Obasi e Kiros. Quando la mela non cade lontano dall’albero.

Sebbene il cardine del film sia il rapporto fraterno tra Mufasa e Taka, l’ombra del paterno, come nell’originale del ’94, aleggia costantemente nell’aria. Infatti, anche se solo per i primi minuti del film, conosciamo il papà biologico di Mufasa, Masego, un leone maestoso e ciononostante umilmente regale. Un vero capo branco, pronto a qualsiasi cosa per proteggere la sua famiglia. Il sacrificio compiuto dal padre è, infatti, (palese) esempio e preambolo di quello che farà Mufasa stesso per Simba.

Dall’altro lato della barricata, invece, troviamo un altro esempio paterno. Obasi intende crescere Taka secondo le sue leggi. Il più furbo, il più scaltro, il più astuto vince e regna. Il coraggio, a detta sua, non porta lontano e Taka – sebbene simile a sua madre, Eshe- deve impararlo a costo del rapporto con suo fratello. Nel momento in cui Obasi viene fatto fuori da Kiros e Taka, sentendosi tradito dal fratello, decide di fare il doppio gioco, il leone albino, con la sua brutalità, si instaura come ennesimo esempio (negativo). Taka, come suo padre, prende appunti e si fa furbo. Le dinamiche di branco di Obasi e Kiros diventano quelle che adotterà, in maniera possiamo dire industrializzata, Scar con il suo branco di iene.

Mufasa ha tanto potenziale, ma purtroppo lo spreca.

Quello che posso dire di Mufasa, oltre ad alcune canzoni che entrano anche in testa (ma la maggior parte sono poco memorabili), è che un film con una trama debole. Il papà di Simba è fin troppo perfetto. Eroico, coraggioso, a tratti super (mi riferisco ai sensi felini sviluppati stando insieme alle leonesse). Invece, Taka/Scar ha motivazioni troppo deboli per motivare il rancore che lo ha – letteralmente- consumato. Questo film live-action, che piaccia o meno, ha sequenze anche ben gestite, con scenari pazzeschi e animazioni spettacolari. Tuttavia le debolezze ristagnano in una storia che non riesce a imporsi, e tutto questo ci fa capire che in fondo di questo live action potevamo fare tranquillamente a meno.

Valery Pol