ATTENZIONE: questo articolo potrebbe contenere SPOILER su Mystic River.
Quanto può essere diversa la vita di tre ragazzi che crescono insieme e che a un certo punto il destino sceglie di separare? Qual è il punto preciso in cui le loro strade si dividono e ognuno intraprende un percorso che lo porterà a diventare un adulto? In Mystic River è possibile individuare il momento esatto in cui l’infanzia dei tre personaggi principali viene distrutta. L’istante in cui le loro vite prendono una piega completamente differente. Il giorno e il luogo in cui ognuno imbocca un sentiero diverso da quello degli altri. Sean, Jimmy e Dave, interpretati rispettivamente da Kevin Bacon, Sean Penn e Tim Robbins nelle loro versioni adulte, sono i protagonisti di questa storia in cui la morte è fedele compagna di ciascuno, in modi perfettamente complementari.
Siamo nel 2003 quando Mystic River viene presentato al 56º Festival di Cannes senza ottenere alcun riconoscimento. Solo un paio di premi minori al di fuori del concorso. Il cupo dramma diretto da Clint Eastwood e basato sul romanzo La morte non dimentica di Dennis Lehane agisce piano e in silenzio. Non fa rumore, proprio come il male che infesta ogni scena del film e che si insinua lentamente fra le pieghe dell’animo umano. Ma l’anno successivo inizia a testimoniare la grandezza di questa pellicola, nonché l’attenzione maniacale di Clint Eastwood per i dettagli e le inquadrature. Nel 2004, infatti, Mystic River conquista il pubblico e la critica. Si aggiudica due Premi Oscar e due Golden Globe (entrambi come Miglior attore protagonista a Sean Penn e come Miglior attore non protagonista a Tim Robbins).
Ma la vera bellezza di Mystic River sta nel fatto che Clint Eastwood ne ha celato il vero senso nei primi dieci minuti. Per questo, ora, li ripercorreremo insieme.
Il film si apre con un’inquadratura su un fiume e sulla città che, da un lato e dall’altro lo circonda. È il Mystic River, un fiume che in qualche modo fa da protagonista assieme ai tre personaggi principali. Un luogo che nasconde un segreto e che, alla fine del film, dovrà nasconderne un altro agli occhi di tutti. Due uomini parlano e tre giovani ragazzi escono dalle loro case e vanno a giocare a hockey in-line per strada. È il 1975 e quello è uno dei pochi passatempi possibili per dei bambini. All’improvviso, la palla che stanno cercando di mandare in porta, finisce in un tombino. Non è la prima volta che capita, ma è la prima che noi spettatori vediamo e racchiude un significato più profondo. È un cattivo presagio, il segno di qualcosa che sta per cambiare nella vita dei tre amici. Infatti, perso il loro gioco, Jimmy viene attratto da un marciapiede di cemento fresco e inizia a incidervi con fierezza il suo nome con un ramoscello. Lo stesso fa Sean subito dopo, venendo accolto da Jimmy con un “Visto? Ci resterà per sempre.” Ma quando è il turno di Dave, il più titubante del gruppo, una macchina arriva nel viale e il ragazzo è costretto a lasciare a metà la scritta. Si ferma a “Da…“, la metà esatta del suo nome.
Un uomo che potrebbe sembrare un poliziotto li rimprovera per quell’atto di vandalismo. Desidera punirli in qualche modo. Indaga su di loro. Chiede dove abitano. E quando scopre che Dave vive più lontano degli altri, lo costringe a salire nella sua macchina, dove ad attenderlo c’è un altro uomo, che porta al dito un anello con incisa una croce (Eastwood ci tiene molto a far notare questo particolare). Così, la macchina con un Dave terrorizzato a bordo fila via e Sean e Jimmy, confusi dall’accaduto, si rivolgono ai due uomini che all’inizio parlottavano fra loro. Il tipo che ha portato via il loro amico non era un poliziotto. Abuserà di Dave e lo ridurrà l’ombra di se stesso, finché quest’ultimo non riuscirà a scappare e a tornare a casa, consapevole di non essere più la stessa persona.
Prima di un salto temporale di 25 anni, infatti, l’ultima cosa che il pubblico vedrà è l’ombra di Dave che si affaccia alla finestra della sua casa. Subito dopo, sua madre chiude le imposte.
Ecco, dunque, l’immensa bravura di Clint Eastwood. Nell’atteggiamento dei bambini che giocano si scorge già un piccolo assaggio del loro destino. Nel linguaggio del corpo, nelle battute di Jimmy. Durante il colloquio con quello che crede essere un poliziotto, Jimmy è l’unico dei tre bambini che continua a tenere in mano la mazza da hockey come un’arma, e qui si intravede già il malvivente che diventerà 25 anni dopo. Un uomo disposto a fare del male a chiunque pur di vendicare la morte della sua figlia maggiore Katie (interpretata da Emmy Rossum, l’amata Fiona Gallagher di Shameless), con l’appoggio più totale della sua compagna Annabeth (interpretata da Laura Linney, ovvero Wendy Byrde di Ozark). Un uomo che ha scelto consapevolmente di giocare con la morte, di impartirla a suo piacimento.
Nelle risposte di Sean alle provocazioni di Jimmy, invece, si legge il rispetto che ha per le regole, il suo spirito di intraprendenza, il coraggio di un giovane che 25 anni dopo sceglierà di diventare un poliziotto. La voce della giustizia per chi una voce non ce l’ha. Un uomo che incarna l’autorità e che con la morte ha consapevolmente a che fare ogni giorno, cercando di tenerla il più lontano possibile dagli altri.
Mentre per Dave la questione è diversa. Come per i suoi compagni di giochi, anche il suo destino era già stato scritto in quei primi dieci minuti di film. La palla finita nel tombino. Un nome lasciato a metà. Un’ombra lontana dietro una finestra che viene chiusa dall’interno. Tutto questo è il simbolo di una vita spezzata da un trauma irreparabile. E non soltanto per l’infanzia che nessuno potrà mai restituirgli, ma anche per la morte che lo seguirà passo dopo passo, stando in agguato a partire da quel giorno del 1975. E quando lo raggiungerà inaspettatamente, consegnandolo come un segreto da nascondere per sempre al Mystic River, ogni dettaglio del film ci sarà chiaro.
Solo a quel punto capiremo che il “Visto? Ci resterà per sempre” di Jimmy non era altro che l’ironica profezia di una morte che si sarebbe potuta evitare se ci fosse stata fiducia nel prossimo, e se il delirante desiderio di vendetta non avesse preso il sopravvento sull’uomo.
Dunque, Mystic River è la storia di un male che non dorme mai, che cova in silenzio per 25 anni, che aspetta il momento giusto per tendere le proprie mani ossute e reclamare tutto ciò che gli spetta. Di un male che si annida negli uomini e si sedimenta, crescendo accanto ai loro traumi e alle loro sofferenze. Un inquietante ma veritiero ritratto dell’uomo in tutti i suoi limiti e in tutte le sue disgustose colpe.
L’abilità di Clint Eastwood è stata riuscire a condensare in 10 minuti il senso di tutto il film, annunciando al tempo stesso, attraverso un’immensa quantità di dettagli, il passato, il presente, e il futuro dei suoi personaggi principali, e consegnando quindi allo spettatore una gustosa anticipazione del finale. Anticipazione che è possibile cogliere solo se si impara a osservare attentamente.