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Never Let Me Go è un capolavoro struggente

Never Let Me Go
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La traduzione dei titoli, in campo cinematografico e letterario, è da sempre un grosso problema. Se pensiamo a tutti quei film depotenziati in fase di presentazione da una pessimo adattamento nella nostra lingua, o in altre, ci viene male al cuore. E’ il caso di Never Let Me Go, uscito in Italia nel 2010 con il titolo Non Lasciarmi: un titolo mancante, che pecca perché cela un significato maggiore. Un titolo che noi non useremo, perché stiamo parlando di un film che merita molto più di quanto si pensi: parliamo di Never Let Me Go, che prima di tutto è un capolavoro struggente.

Never Let Me Go
Never Let Me Go (640×360)

Il film, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro (vincitore del premio Nobel per la letteratura), ha come protagonisti Carey Mulligan, Andrew Garfield e Keira Knightley rispettivamente nei panni di Kathy, Tommy e Ruth. Seguiamo le vite dei tre prima da bambini, poi da adolescenti e infine da adulti in un’Inghilterra magica, fuori dal mondo, tra il collegio di Hailsham in mezzo al nulla dove i tre ragazzi crescono e i Cottages, tenute in campagna dove poi si trasferiscono una volta diventati più grandi. Never Let Me Go è un libro ucronico, e per questo inattendibile nel suo essere totalmente slegato dalla realtà che conosciamo: il problema del capolavoro di Kazuo Ishiguro è che si fa fatica a capire dove finisce la favola e inizia la realtà. Ed è destabilizzante in una maniera quasi nauseante.

Never Let Me Go, per cominciare, ha un grande problema: non solo il film è riuscito a rispettare tutte le aspettative del libro, ma le ha modificate completamente. Per questo ci sentiamo di dire una cosa che probabilmente farà infuriare più di una testa: non sempre è meglio il romanzo. Perché il film di Mark Romanek non è un buon film: è molto, molto di più. In ogni caso, bastano pochi minuti di visione per rendersi conto che Never Let Me Go racconta una storia molto diversa da ciò che appare. Tommy, Ruth e Kathy non sono ragazzi come tutti gli altri: sono stati fatti nascere, concepiti letteralmente in provetta, per diventare donatori di organi, esemplari di umani perfetti a servizio di un mondo che ha sacrificato l’etica a servizio della scienza. Ma se è facile comprendere dove il film possa andare a parare, alla fine, tutto quello che ci sta in mezzo non è così scontato; Never Let Me Go lo sa molto bene, e con questa consapevolezza ci regala una storia che, sebbene abbia un finale già scritto, non delude mai.

Carey Mulligan (640×360)

Il film è prima di tutto una sconvolgente, drammatica e impietosa storia d’amore. Non solo tra le due figure principali, Kathy e Tommy, legati da un sentimento profondo che li porta a rincorrersi per anni senza toccarsi mai: anche tra Ruth e Kathy, amiche strettissime e al tempo stesso nemiche giurate, che condividono non solo l’amore per Tommy ma la consapevolezza di essere figure minuscole in un progetto più grande di loro. C’è anche l’amore tra i tre ragazzi, legati da un destino comune e la certezza di essere irrimediabilmente diversi dagli altri. Diversi e soli, fino alla fine. La pellicola non è uno di quei film dove i protagonisti sono copie sbiadite del romanzo: ognuno dei tre si ama, si odia, si accetta. Kathy, Ruth e Tommy in sostanza non sono altro che contenitori, preparati (non troppo bene) da tutta la vita a servire un bene maggiore. E colpisce la tranquillità con cui il libro, e il film al seguito, tratta di un tema che fa rabbrividire fino alle ossa: quanto è disposto a sacrificare l’uomo per arrivare a una conquista maggiore?

Never Let Me Go a questa domanda in realtà non risponde, perché fa tutt’altro: dipinge un racconto dove le figure che lo popolano sono più umane di noi che guardiamo, intrappolate nei loro sentimenti e disposti a fare qualsiasi cosa per ritardare l’inevitabile. Soprattutto se la matrice è l’amore.

Never Let Me Go (640×360)

Eppure l’amore, in questo capolavoro di struggimento, non salva nessuno. Non salva Ruth, che esce di scena quasi in silenzio dopo una vita passata ad urlare ad alta voce per paura di ascoltarsi. Non salva Kathy e Tommy, che al termine di una percorso pieno di occasioni mancate riescono a riprendersi prima di doversi lasciare definitivamente. E non salva il mondo di cui parla il libro di Ishiguro: un modo brutto, duro e freddo, dove non basta la forza ne tantomeno l’amore per salvarsi. E va bene così. Never Let Me Go non ha lieto fine, e non lo vuole: piuttosto che puntare al dramma totale dei peggiori episodi televisivi, il film lascia spazio al dolore sottile. A quelle lacrime che continuano a scendere, anche quando sembra che non stia piangendo più nessuno.

Anche la colonna sonora, nel film, fa male. Non solo accompagna tutta la vicenda senza mai fare da protagonista, ma completa un racconto che se fosse rimasto silenzioso avrebbe perso parte dell’impatto. Lo stesso fa Andrew Garfield, che ci regala una delle scene più struggenti del cinema attuale e insieme una delle performance migliori della sua carriera. Andrew Garfield, che rimane spesso e volentieri zitto e riesce lo stesso a comunicare un mondo.

Ed eccoci arrivati al tanto temuto problema della traduzione. Solo chi ha visto il film, e letto il libro, sa di cosa stiamo parlando: perché è evidente come davanti ad una pellicola del genere le sottigliezze siano fondamentali, e tra le parole “non lasciarmi” e “non lasciarmi andare viac’è un abisso di significato troppo importante per poter essere affrontato qui. Lo sapeva Ishiguro, lo sanno i tre ragazzi; e arrivati al termine della visione, lo sappiamo anche noi. Con tutte le conseguenze del caso.

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