Solitamente, quando si parla di Oscar, è più facile e intrigante discutere di quando l’Academy ha premiato il film, il regista, lo sceneggiatore, l’attore e l’attrice protagonista o non sbagliati, piuttosto che concentrarsi sulle volte in cui ha avuto ragione scegliendo il nominato corretto. Perché in 94 edizioni non può sempre aver sbagliato; anzi, ci sono moltissimi casi in cui ha davvero preso la decisione giusta e inequivocabile. Ed è su questi che andremo a concentrarci oggi. Ripercorrendo un po’ la storia del cinema e prendendo in considerazioni le categorie precedentemente menzionate, andremo a cercare 15 esempi – con alcune menzioni sparse qua e là – di vittorie meritate perché sofferte e cercate da tanto tempo, perché incontestabili e non premiarle sarebbe stato un affronto che avrebbe gettato delle macchie pesanti sul giudizio dei giurati. Del resto, con tutta l’obiettività che ci è possibile, abbiamo scelto il meglio del meglio, consapevoli allo stesso tempo che qualcosa rimarrà fuori.
Sperando che anche agli Oscar 2023 vengano fatte le scelte più corrette, andiamo a vedere 15 delle statuette più meritate di sempre.
1) Miglior regia e film a Martin Scorsese (Oscar 2007)
Martin Scorsese e l’Academy non hanno un bel rapporto, tanto che quest’ultima non ha premiato i suoi più grandi capolavori come Taxi Driver, Toro Scatenato e Quei bravi ragazzi, tanto per citarne alcuni. Ma quando uno dei più grandi registi di sempre è riuscito a ottenere la statuetta per la regia – e anche per il film, la sceneggiatura e il montaggio – francamente ha avuto poca importanza e tutto quello che siamo riusciti a dire, tirando un sospiro di sollievo, è: “Finalmente, era l’ora!”.
Che poi, The Departed è un film bellissimo e pienamente meritevole delle statuette che ha conquistato.
Se mai qualcuno desiderasse realizzare l’adattamento di un film straniero, è a The Departed che deve guardare, perché rappresenta una lezione impeccabile su come farlo, risultando infatti uno dei rari remake riusciti. Quest’opera si rifà alla pellicola di Honk Hong intitolata Internal Affairs, un concentrato di pura adrenalina tale da generare un’atmosfera incredibilmente tesa praticamente per tutta la sua durata. Scorsese prende questa storia e la rivisita, adattandola al suo stile unico e alle caratteristiche del suo modo di fare cinema: la trasforma in uno studio del personaggio più lento ma non per questo meno tensivo, sorretto da un cast che definire eccezionale è un eufemismo. Questa è la genialità che ci piace e che deve essere assolutamente premiata. Come fortunatamente è successo.
2) Miglior regia e film a Steven Spielberg (Oscar 1994)
Nemmeno Steven Spielberg è stato trattato bene dall’Academy. Veniva considerato un regista capace solo di giocare con gli effetti speciali e che doveva lasciare le cose serie agli altri; del resto, quando ha girato opere più mature e profonde, le critiche non lo hanno risparmiato: è successo con E.T. l’extraterrestre, tutt’altro che un film per bambini ma intensa parabola sull’innocenza, e con l’importantissimo, socialmente impegnato e snobbato Il colore viola.
Però, ha smentito prontamente i detrattori con quello che, forse, è il suo vero capolavoro, ovvero Schindler’s List.
E i pregiudizi su di lui scomparvero subito quando il film uscì, conquistando tutti con la sua tecnica e narrazione. Perché è riuscito a trovare una storia di speranza nell’oscurità dell’Olocausto, raccontando, attraverso l’incredibile evoluzione di Oskar Schindler, come l’umanità può trovare momenti di autentico altruismo anche nel periodo più buio della nostra storia. Spielberg pervade la pellicola di un’aura spirituale, perché recupera quei valori ebraici da cui si era allontanato da bambino per integrarsi nella società (l’abbiamo visto in The Fablemans). Rinuncia a quei trucchi per cui era stato criticato, riprendendo tutto con le cineprese a mano e colorando il film di bianco e nero, tranne quel dolorosissimo cappottino rosso. E se ci uniamo le meravigliose interpretazioni, non ci sono dubbi sui premi vinti da Schindler’s List e, soprattutto, da Steven Spielberg.
3) Miglior attrice protagonista a Meryl Streep (Oscar 1983)
Non ci sono parole sufficienti per descrivere la performance di Meryl Streep ne La scelta di Sophie, considerata infatti una delle migliori di tutti i tempi e uno dei ritratti femminili più drammatici nella storia del cinema.
Streep porta in scena un personaggio complesso, tormentato da quella scelta impossibile che è stata costretta a fare quando venne internata in un campo di concentramento (ovvero, salvare il figlio o la figlia), la cui voglia di vivere è minacciata dal suo passato e dal suo bisogno continuo di conferme. Riesce a trasmetterci tutto il dolore di Sophie senza cadere nel patetico, come succede con quell’urlo silenzioso che emette quando l’ufficiale nazista porta via sua figlia. Così sfumata, così intrisa della luce e dell’oscurità del suo personaggio, Streep ci coinvolge totalmente e ci commuove fino alle lacrime con la sua Sophie e con il suo desiderio di tornare a vivere, ostacolato dal compire il gesto più difficile di tutti: perdonarsi.
Sarebbe stato facile rendere questa sopravvissuta polacca troppo tragica. Però l’attrice, all’apice della sua bravura – e lo dimostrò imparando il polacco, il tedesco e a parlare quest’ultimo e l’inglese con l’accento del primo – l’ha trasformata in una delle rappresentazioni più trascendenti e toccanti mai viste in un film. E l’Oscar (che aveva già vinto da non protagonista in Kramer contro Kramer) non era meritato, di più.
4) Miglior film a Il Padrino (Oscar 1973)
Sebbene Coppola vinse la regia nel secondo capitolo che si aggiudicò meritatamente altri Oscar (tra cui miglior film) e che, tendenzialmente, è più amato del primo, è innegabile quanta importanza abbia avuto Il Padrino nella storia della cinematografia. Tant’è che è quasi riduttivo definirlo solo un film: qui si parla di un’opera d’arte alla Van Gogh o alla Mozart.
Tutti lo vogliono imitare, nessuno l’ha ancora uguagliato. Non c’è un solo passo falso nelle sue quasi tre ore di durata e ciò è dovuto a diversi fattori: una sceneggiatura meravigliosa, scritta da Coppola e dall’autore dell’omonimo romanzo, ovvero Mario Puzo, premiata giustamente con l’Oscar; una cinematografia innovativa, con quello stile visivo unico che spesso ricorre a un’illuminazione tutt’altro che ideale per accrescere il dramma, grazie all’intuizione del direttore della fotografia Gordon Willis; l’epicità shakespeariana della narrazione, il modo in cui cattura l’esperienza degli immigrati, il lato oscuro del sogno americano e quel male che penetra anche negli animi più puri; infine, un cast semplicemente da Oscar, seppur a essere premiato è stato solo Marlon Brando.
Il Padrino è un film bellissimo, emozionante e perfetto, che sembra meritare ogni singolo elogio che riceve. Semplicemente era un’offerta che l’Academy non poteva rifiutare, e fortunatamente non l’ha fatto.
5) Miglior attore protagonista a Marlon Brando (Oscar 1954)
Se parliamo di Oscar meritati, è Marlon Brando il nome che salta prepotentemente nella nostra mente. Strameritato quello de Il Padrino, sebbene lui lo rifiutò, e avrebbe già dovuto vincerlo per la rivoluzione recitativa che portò in Un tram che si chiama desiderio (ma l’Academy lo dette a un Humphrey Bogart mai premiato e un po’ perplesso).
Il primo, però, lo vinse per Fronte del porto (che si portò a casa numerose statuette, tra cui il miglior film), che segna un prima e un dopo nel mondo del cinema.
Forse la performance più strutturata della sua filmografia, il Terry Mallory di Brando è distrutto dal disprezzo di sé ma traboccante di fascino; ribolle di violenza, eppure è teneramente e dolorosamente fragile. L’attore combina il suo sex appeal con una recitazione introspettiva, lontana dall’aura maestosa di star come Wayne e Bogart, e che evidenzia il tormento interiore del suo personaggio. Incarna la lotta della coscienza, la giovinezza rovinata, il rimpianto per una prospettiva negata, la speranza dell’amore, la delusione nata dalla fiducia, la disperazione di una vita senza uscita e il coraggio di trovarla.
Meraviglioso lo scambio finale con Rod Steiger, così come l’iconico discorso “Avrei potuto essere un lottatore”, che ha contribuito a scrivere; entrambi culmine di un’interpretazione di tale potenza paralizzante che, ancora oggi, si rimane incollati a Brando anche quando è di spalle.
6) Miglior attore protagonista Robert De Niro (Oscar 1981)
Se Marlon Brando ha “inventato” l’actor studio, Robert De Niro l’ha portato al suo estremo e nei panni di Jake LaMotta in Toro Scatenato ci dà la più grande e maestosa dimostrazione di ciò. È stato uno dei primi attori a ricevere molta attenzione per aver compiuto una trasformazione fisica degna di nota: ha messo su più o meno 60 libbre (circa 30 chili) per interpretare il vecchio Jake e ha partecipato pure a veri incontri di boxe amatoriali.
La cosa che, però, impressiona più di tutte è il modo in cui De Niro abbraccia interamente il profilo psicologico di Jake, immedesimandosi con una tale e straziante intensità in lui che, quando lo guardiamo sullo schermo, non sembra di vedere un attore che recita. Dal suo improvviso successo sul ring alla tanto veloce parabola discendente, dall’essere un intrattenitore amato in un night club alle sue esplosioni di rabbia repressa (che rimarranno per sempre uno dei momenti più inquietanti e spaventosi del cinema), passando per le gelosie, l’orgoglio, le retrograde nozioni di virilità, la solitudine e l’autodistruzione sua e del sogno americano: De Niro non interpreta Jake LaMotta; lui è Jake LaMotta.
Vedendolo, è chiaro il perché gli attori provino a fare come lui con i ruoli che interpretano, ma non sono De Niro. E se per Taxi Driver gliel’avevano negato, qui è proprio impossibile non dargli l’Oscar da protagonista, incredibilmente l’unico che possiede in questa categoria (infatti, ne ha uno da non protagonista per Il Padrino II).
7) Gli Oscar di Daniel Day-Lewis
Nessuno, però, ha mai raggiunto la maniacalità impressionante di Daniel Day-Lewis. Ha scelto pochi ruoli nella sua carriera, ma ci si è dedicato anima e corpo, diventando il personaggio che doveva interpretare: ne prendeva l’accento, i modi, la personalità e le abitudini e ne imparava addirittura il mestiere (come ne Il filo nascosto o in The Boxer). Non si accontentava semplicemente di recitare, ma voleva regalarci un qualcosa che rimanesse dentro di noi per sempre.
Non è un caso che sia l’unico attore ad avere tre statuette da protagonista, tutte pienamente meritate.
Ne Il mio piede sinistro si trasforma nel pittore e scrittore Christy Brown, abbracciandone la grave disabilità ma non riducendolo a questo: di lui mostra la lotta, la speranza, la determinazione, l’emozione, l’amore e l’umorismo. L’aiutò trascorrere del tempo con lui e studiare la sua malattia, ma sul set l’attore decise di non lasciare mai la sedia a rotelle, chiedendo di essere trattato come se avesse la malattia di Brown.
In Lincoln riesce a fondere perfettamente gli scontri politici dell’iconico presidente con la sua vita privata, raccontando che cosa ha passato mentre tentava di abolire la schiavitù. E sul set chiese di chiamarlo Mr President e di non parlare con attori inglesi per non rovinare l’accento americano appena imparato per il ruolo. Cinque anni prima, ci fa compiere uno dei più completi, maestosi e intensi viaggi interiori di un personaggio, con quel Daniel Plainview de Il Petroliere. Bilanciò perfettamente l’amore per la famiglia con la spietatezza negli affari, la tragedia con il successo, finché tutto non esplose in quel sanguinoso e soddisfacente finale.
8) I premi de Il Silenzio degli Innocenti (Oscar 1992)
“Ti manderò un libro. Dimmi cosa ne pensi. Si chiama Il silenzio degli innocenti”.
Con queste parole di Jonathan Demme al capo di Orion, Mike Medavoy, iniziò la storia di un film che ha segnato per sempre il cinema per innumerevoli motivi. Il silenzio degli innocenti è un’opera meravigliosamente scritta e recitata, dove ogni momento della trama e delle performance si adatta perfettamente l’uno con l’altro. Ha reso definitivamente Anthony Hopkins una star mondiale, con il suo Hannibal Lecter che rimane tutt’ora la miglior rappresentazione del serial killer cannibale e di una delle menti più grandi e oscure sul grande schermo. Jodie Foster, poi, è sensazionale nei panni di Clarice Sterling, un’eroina femminista e indipendente che ha ottimamente ribaltato il ruolo della damigella in pericolo.
Ma c’è di più. La contaminazione che questo thriller ha con l’orrore – alcune scene sono per stomaci forti – l’ha reso l’unico film di un genere (seppur appunto sia un ibrido) sempre snobbato dall’Academy a vincere la statuetta più ambita; infatti, solo pochissimi altri avevano ricevuto una nomination, tra cui L’esorcista.
Non stupisce che sia uno degli unici tre film ad aver vinto il Big Five, il primo a farlo dopo un altro capolavoro che si meriterebbe certamente un posto in questo elenco, per i temi che racconta, per aver consacrato Jack Nicholson e averci regalato quella Mildred Ratched di Louis Fletcher che ci terrorizza tutt’oggi: Qualcuno volò sul nido del cuculo.
9) Miglior attrice protagonista a Cate Blanchett (Oscar 2014)
Cate Blanchett è semplicemente straordinaria nei panni di Jasmine French in Blue Jasmine, un ruolo che risulta ben più di un omaggio dalla Blanche DuBois di Un tram che si chiama desiderio (interpretata nella versione cinematografica da una grandissima e giustamente premiata Vivien Leigh).
Dovremmo disprezzare questa ex socialite caduta in disgrazia; del resto, le sue qualità negative sono più visibili di quelle positive: è arrogante, snob, maleducata, si ritiene superiore a tutti e disprezza persino quelle persone che tentano di aiutarla. Ma Blanchett la rivesta di un’aura così tragica, alternando i crolli psicologici di Jasmine a momenti di spiazzante lucidità, che è impossibile staccare gli occhi da lei seppur lo vorremmo. Jasmine è esilarante, ripugnante e straziante allo stesso tempo e l’attrice ci trasmette tutte le sfumature emotive, le disillusioni e l’umanità di una donna sgradevole, ma verso la quale non possiamo evitare di essere empatici. In fondo, Blanchett non vuole renderla piacevole, ma cerca di farci capire una Jasmine che sta lottando contro una vita alla deriva, che mette in soggezione e che distrugge tutto ciò che tocca, pure sé stessa.
Il tutto si cristallizza nella scena finale: bagnata e rimasta sola, siede distrutta su una panchina mentre parala con l’unica persona che ancora è al suo fianco. Se non è, per adesso, la performance femminile migliore del 21° secolo, poco ci manca e l’Oscar era inevitabile.
10) Miglior attore non protagonista a Heath Ledger (Oscar 2009)
Ci sono tantissimi non protagonisti che si sono meritati il loro Oscar: ad esempio, Javier Bardem in Non è un paese per vecchi, J.K. Simmons per Whiplash, Christoph Waltz per Bastardi senza gloria, Joe Pesci per Quei bravi ragazzi, Christopher Walken per il Cacciatore, Christian Bale per The Fighter. E pure le donne non scherzano, tipo con Tilda Swinton in Michael Clayton.
Ma dovendo sceglierne uno, c’è solo un’opzione possibile e si chiama Heath Ledger.
È difficile pensare a una performance del nuovo millennio più impattante del Joker di Ledger nell’immaginario pubblico. Ciò si vede in primis dal minutaggio, dato che è apparso in soli 33 minuti delle due ore e mezza di durata de Il cavaliere oscuro. L’attore, poi, eleva questo villain da macchietta fumettistica a minaccia reale, grazie alla voce, ai sorrisi, alla camminata, ai tic e all’imprevedibilità. È un agente del caos intento a svelare l’ipocrisia e la crudeltà dell’umanità; è un sociopatico che riesce ad analizzare così bene la nostra realtà, nascondendo in quella follia una spaventosa verità; conosce Batman così bene da toccare i punti giusti per farlo crollare, come nella scena dell’interrogatorio, dimostrando che il nemico più grande dell’eroe è colui che lo stima.
L’attore è perfetto ogni secondo che passa sullo schermo e non esageriamo se diciamo che è una delle più grandi performance di sempre. E piange il cuore pensare che non si è potuto godere il suo meritato trionfo.
11) Miglior film a Parasite (Oscar 2020)
Rimaniamo nel nuovo millennio con uno dei film più meritevoli in assoluto della statuetta più prestigiosa dell’Academy (trionfando anche nella regia, film straniero e sceneggiatura originale), in primis perché ha fatto la storia, essendo il primo in lingua non-inglese a ottenere la statuetta più ambita.
Ma Parasite non si limita a questo.
Il gioiellino di Bong Joon-Ho rappresenta una di quelle pellicole che solitamente vengono snobbate agli Oscar, essendo un thriller oscuro e una satira sociale con punte di estrema violenza, di battute slapstick e un finale che è un autentico pugno allo stomaco. Il suo trionfo, però, era inevitabile e nemmeno l’Academy poteva negare quanto il film fosse diabolicamente intelligente, ingegnoso, vitale e divertente. È nazionale e universale allo stesso tempo, perché in quella Corea del Sud è possibile rivedere la condizione classista presente in ogni società. È attuale, eppure senza tempo per come commenta sull’eterna insoddisfazione che ci definisce. Riesce a essere originale, avvincente, ironico, triste, teso e stimolante contemporaneamente, senza però essere moralista.
Del resto, non ci dice mai chi sono i “parassiti” del titolo, tra i poveri Kim e i benestanti Park, ma crea una realtà riconoscibile e comprensiva in cui tutti vogliono qualcosa di meglio, convinti che la loro vita non sia così bella come quella che potrebbero raggiungere.
12) Miglior attrice protagonista a Charlize Theron (Oscar 2004)
Eravamo un po’ indecisi a chi dedicare questo punto perché ci erano venute in mente l’intensa performance di Natalie Portman ne Il cigno nero o quella spaventosa di Kathy Bates in Misery non deve morire. Alla fine, però, abbiamo optato per l’interpretazione di Charlize Theron in Monster, che definire magistrale e degna dell’Oscar è quasi riduttivo.
Ogni tanto capita che un attore si esibisca in una performance così corposa, così posseduta e irriconoscibile, che smette di essere finzione e diviene reale. Ed è ciò che ha fatto Theron, scomparendo completamente nel ruolo della serial killer Aileen Wuornos. Prima fisicamente: è ingrassata di circa dieci chili e si è sottoposta a lunghe ed estenuanti sessioni di trucco che l’hanno decisamente imbruttita. Poi psicologicamente, perché Theron scava in profondità nella psiche di Aileen per creare un personaggio complesso, conflittuale e con il quale siamo in grado, se non di entrare completamente in empatia, almeno di capire. Ci porta a chiederci chi sia il vero mostro: soltanto quella donna? O persino quella società ottusa che l’ha condannata, prima ancora dei processi?
Monster funziona così bene per Theron, che ha dimostrato le sue grandi capacità attoriali, affossando le critiche di chi la riteneva soltanto un bel faccino.
13) Miglior sceneggiatura originale a Pulp Fiction (Oscar 1995)
Ci sono dei film che, seppur avrebbero meritato la statuetta più prestigiosa, si sono dovuti “accontentare” di quella alla sceneggiatura. Se tra le non originali ci vengono in mente I segreti di Brokeback Mountain e The Social Network, per quelle originali abbiamo Quarto Potere, Viale del Tramonto, Fargo, Get Out, Her, Django Unchained e Eternal Sunshine of the Spotless Mind (il cui titolo in italiano non esiste, giusto?).
Ma, anche qui, se dobbiamo scegliere c’è solo un nome da fare: Pulp Fiction.
Nemmeno l’Academy poteva negare il premio all’audace, originale, innovativa e potente sceneggiatura di Quentin Tarantino e Roger Avary. Mentre il successo della loro scrittura e del loro stile unico è stato rivoluzionario sotto ogni aspetto, la loro vittoria è stata anche profondamente simbolica: onorando un film con così tanti elementi iconici, pieno di assassini chiacchieroni, di personaggi meravigliosi e di cheeseburger che abbiamo sempre desiderato mangiare, l’Academy ha ufficialmente aperto i suoi cancelli alla generazione anticonformista del Sundance e, in generale, del cinema indipendente. Così, un’industria emergente che operava ai margini delle major cinematografiche è stata finalmente ritenuta legittima agli occhi di Hollywood.
E poco importata della volgarità, violenza o assurdità nella sceneggiatura di Pulp Fiction (insomma, ci sono circa 5-10 minuti in cui parla solo di piedi), è un capolavoro d’innovazione che, giustamente, meritava di essere ricompensato.
14) Miglior film a Casablanca (1942)
Non si può fare una lista degli Oscar più meritati della storia senza Casablanca. Perché è vero, ce ne sono tantissimi che potrebbero entrare in questo pezzo, da Eva contro Eva a Moonlight, passando per il già citato Qualcuno volò sul nido del cuculo, l’epico capitolo finale de Il Signore degli Anelli o Non è un paese per vecchi. Ma se dovessimo scegliere il più meritevole, probabilmente andrebbe alla mastodontica opera di Michael Curtiz. Ed è difficile dichiarare il contrario.
In effetti, Casablanca è davvero uno dei più grandi film di tutti i tempi, ed è ancora oggi un solido pezzo di cinema.
Certo, i suoi anni li mostra tutti e non potrebbe essere altrimenti, eppure non è datato. Il suo spirito e il suo fascino non sono andati perduti, né i suoi temi universali di sacrificio, onore e amore, e i personaggi sono così meravigliosamente scritti. Humphrey Bogart e Ingrid Bergman ipnotizzano con la loro sublime chimica: lui è perfetto nei panni del duro fuori e fragile dentro; lei abbina alla sua bellezza una performance stratificata e conflittuale. Creando magia sullo schermo, ci regalano forse la più bella storia d’amore che il cinema abbia mai prodotto. Ed è unico, se pensiamo alla sua epoca che incarna così bene, poiché evita il tipico lieto fine dei film di quel periodo ed è anche per questo che la sua stella non ha mai smesso di brillare.
In poche parole, Casablanca ha decisamente superato la prova del tempo con il massimo dei voti e lo farà ancora per le generazioni avvenire, risultando essere un classico cinematografico ancora dannatamente meraviglioso.
15) Miglior attore protagonista a Leonardo DiCaprio (Oscar 2016)
Chiudiamo il pezzo con colui al quale l’Academy doveva l’Oscar da tempo, ma che è stato premiato per l’interpretazione sbagliata. Parliamoci chiaro, l’avrebbe meritato di più per altri ruoli dove però o non è stato nominato (tipo in Django Unchained) o si è trovato davanti una concorrenza spietata che l’ha sfavorito (come successe per The Aviator e The Wolf of the Wall Street). In più molti ritengono che, se qualcuno avesse dovuto vincere l’Oscar in Revenant, doveva essere Tom Hardy.
Ma analizziamo un attimo l’interpretazione di DiCaprio in questo film.
Si è completamente trasformato in Hugh Glass, ingrassando e facendosi crescere barba e capelli. Ha girato a temperature proibitive mentre era malato, ha mangiato un fegato crudo nonostante sia vegano e ha imparato ben due lingue native. Ha portato sulle sue spalle un intero film senza gli strumenti più importanti su cui un attore può fare affidamento: la sua voce e i colleghi per reagire. Ha dovuto trasmettere l’emozioni e il carattere di Glass tramite il linguaggio del corpo, le espressioni e gli occhi. E, seppur l’essere privato della parola può averlo penalizzato perché abbiamo visto in altri film quanto sia abile nell’usarla, è riuscito a essere ottimo, efficace e sorprendente anche così.
Alla fine è una performance degna di essere premiata e, come Scorsese, siamo semplicemente contenti che il buon Leo finalmente ce l’abbia fatta. Perché, in fondo, c’era forse qualcuno che negli ultimi 30 anni lo meritasse più di lui?
Arrivati alla fine di questo viaggio nella storia degli Oscar, abbiamo visto che ogni tanto l’Academy ci azzecca quando sceglie il vincitore dei suoi premi. Certo, sono rimaste fuori tantissime altre vittorie, persino dalle menzioni, che non avrebbero di certo sfigurato in un pezzo del genere. Non è un caso, infatti, che Qualcuno volò sul nido del cuculo compaia due volte (adesso tre), perché è un film incredibile, profondo, che tocca tematiche delicate, che ci ha regalato interpretazioni fenomenali e si è aggiudicato le 5 statuette più importanti. E ne potremo citare tanti altri, tra le categorie che abbiamo preso in considerazione, ma vogliamo lasciare a voi la parola: se poteste allungare l’elenco, quali vittorie inserireste che non abbiamo nominato?