Le nomination agli Oscar 2024 sono in corso. Categoria dopo categoria, i presentatori annunciano al mondo i fortunati e le fortunate che hanno la possibilità d’incidere il loro nome nell’oro. Arrivano quelle principali, ecco gli attori protagonisti. L’ansia sale. Bradley Cooper era atteso. Colman Domingo una sorpresa ma nemmeno più di tanto. Jeffrey Wright ci sta, è piuttosto sottovalutato tanto quanto le è Paul Giamatti. Finalmente è la parola che abbiamo esclamato quando abbiamo udito il nome di quest’ultimo. Non nominare Cillian Murphy sarebbe stato uno scandalo enorme; è il nome scontato della stagione nel senso positivo del termine. Perché, se ci ripensiamo, la sua prova mette ancora i brividi da quanto è stata intensamente fantastica. Ma… un momento. Riavvolgiamo il nastro. Non manca qualcuno? Scorriamo di nuovo i nominati e sì, uno decisamente non è presente. E non è un’esclusione da poco.
Il grande assente agli Oscar 2024 è proprio lui. Leonardo DiCaprio.
Come? Ancora stentiamo a crederci. L’espressione sul nostro volto è un misto di confusione, disorientamento, delusione, incomprensione e rabbia. Insomma, l’abbiamo vista tutti la sua interpretazione in Killers of the Flower Moon? Presupponiamo che anche l’Academy l’abbia fatto, o dobbiamo pensare che abbia votato a scatola chiusa?
DiCaprio riesce a rappresentare magnificamente le complessità di un personaggio contraddittorio, debole, ingenuo, crudele, incapace di distaccarsi dallo zio eppure davvero innamorato di sua moglie. Perché Ernest non è semplicemente cattivo, ma profondamente ignorante. Ciò lo allontana dagli uomini eticamente scorretti che l’attore solitamente interpreta, ma non è nemmeno un antieroe. È raccapricciante e mostruoso; sensazione che DiCaprio trasmette soprattutto grazie a quelle sue espressioni che comunicano più di mille parole. Ed è nel suo sguardo confuso, costretto a venire a patti con le sue azioni, che si nasconde il senso di Killers of the Flower Moon. Paragonato al Marlon Brando decadente, viene da chiedere come diavolo faccia a recitare così naturalmente, così perfettamente. Tanto che molti l’hanno eletta sua performance più complessa di sempre.
Ora, anche chi non è d’accordo con l’ultima affermazione non può negare che Leonardo DiCaprio meritasse la nomination all’Oscar 2024. Noi compresi. Sebbene consapevoli che non avrebbe mai vinto, dato che i favoriti sono Cillian Murphy e Paul Giamatti.
E gli Oscar 2024 non sono la prima volta che il povero Leonardo riceve un trattamento del genere dall’Academy. Ripercorriamone la storia.
Torniamo al 1994, anno della sua incredibile performance in Buon Compleanno Mr. Grape. Il suo Arnie è così drammaticamente vero che non solo la critica rimase impressionata, ma molti credevano che fosse davvero autistico. Avendo trascorso dei giorni in una clinica specializzata, ha potuto studiare i gesti e la postura delle persone con quel disturbo, riproducendoli con naturalezza e facendoci appassionare alla sua ingenuità commovente. Aveva solo diciannove anni. La scusante dell’età, però, regge fino a un certo punto. Quell’anno il premio sarebbe dovuto andare a Ralph Fiennes invece che a Tommy Lee Jones, ma se avesse vinto DiCaprio, qualcuno si sarebbe realmente scandalizzato?
Impossibile che ricevesse una nomination per Romeo + Giulietta, eppure è riuscito nell’impresa di recitare in un perfetto inglese shakespeariano, di renderlo comprensibile al pubblico moderno e di interpretare un Romeo dinamico e intenso all’inizio della sua carriera. Invece, indovinate chi non è rientrato nelle 11 nomination di Titanic? Esatto, il nostro Leonardo. Non è stato sufficiente aver trascinato l’opera alla gloria con la sua iconica interpretazione. E pensare che ci sono attori che vengono nominati per molto meno. Nemmeno per i due film del 2002 è arrivata la candidatura. Forse l’Academy non è rimasta stupita dal modo in cui è passato senza difficoltà dal giovane vendicativo Amsterdam Vallon di Gangs of New York al truffatore Frank Abagnale di Prova a prendermi, di cui è riuscito a rappresentare ogni più piccola sfumatura in diversi periodi della sua vita.
Finalmente la nomina è arrivata per The Aviator nel 2005.
Howard Hughes è una delle sue interpretazioni migliori, in cui ha mostrato come questo imprenditore di successo sia stato completamente risucchiato dalla sua terribile malattia mentale. Addirittura, la sua rappresentazione del disturbo ossessivo-compulsivo è così reale da venir utilizzata in corsi di psicologia o da esperti. Oltre a rappresentarlo profondamente in ogni fase della sua esistenza, la complessità di Hughes gli ha permesso di dimostrare che lui poteva interpretare chiunque. Peccato che il tempismo giocasse a suo sfavore. La sfida era contro un impeccabile Jamie Foxx, interprete del leggendario Ray Charles in Ray. Per quanto lo meritasse, forse però non lo meritava più di DiCaprio. E viene da pensare che, a parità di biopic, a vincere sia stata la figura, permetteteci il termine, più “positiva”.
Non sarà l’unica volta, ma prima parliamo del 2007. È vero che in Blood Diamond emerge la sua versatilità nell’affrontare sia momenti action che introspettivi. Tuttavia, non era questa la performance da nominare. Il suo Billy in The Departed è un personaggio complessissimo fatto di fragilità e psicosi che prova a reprimere in una realtà in cui solo i duri sopravvivono. Accantonarla per Blood Diamond è ancora oggi inspiegabile. Beh, come l’averlo ignorato per Revolutionary Road e Shutter Island, quest’ultima una delle sue interpretazioni più emozionanti. Nemmeno fare un biopic con Clint Eastwood è servito.
Anche se la volta in cui è stato più snobbato, più degli Oscar 2024, rimane quella di Django Unchained, dove tocca l’apice della sua carriera.
È il suo primo villain e, sebbene Calvin Candie sia secondario e davvero orribile, ruba la scena a tutti. Leonardo DiCaprio riesce a trasmettere la profonda crudeltà e la spaventosa follia di quel latifondista razzista, completando la trasformazione dal Jack di Titanic. E sì, non esce dal personaggio nemmeno dopo la famosa scena del bicchiere, perché è semplicemente un professionista coi fiocchi.
Siamo arrivati al 2013, l’anno di The Wolf of the Wall Street, l’anno in cui si meritava dannatamente quella statuetta.
È stato immenso nel ritrarre Jordan Belfort, trasmettendoci tutto il suo delirio d’onnipotenza con un’interpretazione sopra le righe e lo sguardo assetato di potere. Passa senza difficoltà dalla comicità al dramma, mettendo in scena “un esempio da manuale di commedia fisica” quando Jordan cerca di raggiungere la macchina sotto l’effetto della droga. Così iconico, l’attore è onnipresente e regge l’opera sulle sue spalle, anche con quei monologhi da urlo. E allora perché ha trionfato Matthew McCounaghey, che comunque è stato sublime? Semplice: ha vinto il tema, non il personaggio. Insomma, le storie di redenzione alla Dallas Buyer Club piacciono più dell’esistenza controversa del truffatore Jordan Belfort.
Ecco perché non importava che interpretazione facesse successivamente; quell’Oscar sarebbe stato suo in ogni caso. Era inevitabile. Certo, in Revenant non sfigura per niente, anzi; tuttavia, non è la sua prova migliore. Tanto che sembra l’abbiano premiato più alla carriera che al ruolo in sé.
Resta l’ultimo film, ovvero C’era una volta a… Hollywood. Non gli diamo mai troppo credito per Rick Dalton, contemporaneamente eroe tragico e macchietta divertente, capace di far ridere, commuovere e scatenare riflessioni sul tempo che passa e sulla Hollywood di un tempo. Trasmette il terrore, l’insicurezza, la tenerezza di Rick con parole, gesti e sguardi. È una recitazione a tutto tondo, in cui non si può dimenticare l’incredibile e realistica scena improvvisata del crollo nella roulotte. Certo, quello era l’anno di Joaquin Phoenix col suo Joker, ma almeno la nomina è arrivata. Non come agli Oscar 2024.
E allora perché un attore di questo calibro viene così sottovalutato da chi dovrebbe portarlo sul piedistallo? Sia in passato che agli Oscar 2024?
Anche qui, la risposta è semplice. E no, non è legata al modo in cui conduce la sua vita privata. Certo, non si è fatto molta pubblicità, lasciando le luci della ribalta alla bravissima Lily Gladstone. Però c’è una ragione più profonda. Leonardo DiCaprio ha trovato una via alternativa a Hollywood, permettendosi di snobbarla quando non si presentò alla cerimonia nel 1997 in cui Titanic vinse praticamente tutto. Da quel momento, osò seguire un percorso al di fuori del sistema delle Major, contrario a quel cinema statunitense talmente interessato ai soldi da mettere da parte l’arte, se necessario. Insomma, non è mai stato in un film supereroistico, né in un melenso e pompato melodramma romantico. È legatissimo a Martin Scorsese, che all’Academy non va tanto a genio. Usa il suo cachet per finanziare progetti ambientali o pellicole impegnative e che, soprattutto, non sono blockbuster.
In pratica, ha trasformato la sua popolarità in strumento per fare arte e la paga ogni anno, proprio in questo periodo.
Certo, ci dispiace per i suoi mancati premi, ma in fondo sappiamo che Leonardo DiCaprio non ne ha bisogno come riconoscimento del suo enorme talento. Perché ogni suo film è sinonimo di capolavoro, perché il suo nome è già scritto nelle stelle. E non vediamo l’ora di ammirarlo nuovamente nel suo prossimo progetto, tutto ancora da scoprire.