Ogni anno attendiamo gli Oscar con trepidazione, soprattutto perché vogliamo vedere se i nostri attori e attrici preferiti riusciranno a strappare l’ambita statuetta. Certe volte succede e ne siamo felicissimi; altre invece ci dobbiamo rassegnare alla sconfitta, ma non ci disturba se chi vince se lo merita. La cosa cambia, invece, quando a salire su quel palco è la persona sbagliata. Basti pensare a Grace Kelly che nel 1955 l’ottenne contro una strepitosa Judy Garland – e no, darlo a Renée Zellweger nel 2020 per averla interpreta non è un risarcimento adeguato. E di esempi, purtroppo, ce ne sono più di quanti ne riusciamo a ricordare. In questo pezzo ne abbiamo individuati 10 più numerose menzioni, cercando di spaziare tra generi e anni e di rimanere il più obiettivi possibili.
Ci teniamo a precisare una cosa: sbagliata non vuol dire necessariamente non meritevole, ma che quell’anno la performance migliore non era quella che ha vinto. Per questo abbiamo cercato di inserire i casi più netti, che siano più o meno conosciuti, evitando quelli dubbi che, inevitabilmente, avrebbero coinvolto il gusto personale, come potrebbe accadere per l’edizione del 2015 o del 2022 nella categoria miglior attore protagonista.
Dunque, bando alle ciance e iniziamo questo viaggio nel mondo degli Oscar.
1) Gwyneth Paltrow… ma anche Judi Dench e Roberto Benigni (Oscar 1999)
Quasi niente andò per il verso giusto nell’edizione del 1999.
Gwyneth Paltrow vinse immeritatamente la statuetta per la miglior attrice protagonista in Shakespeare in Love. Non c’è niente di speciale nella sua performance e non ha niente a che vedere con le altre nominate, tra cui Meryl Streep, Emily Watson, la meravigliosa Fernanda Montenegro in Central do Brasil e soprattutto colei che avrebbe davvero dovuto vincere: Cate Blanchett. Quest’ultima offre un’interpretazione iconica, imponente e fantastica nei panni della regina Elisabetta I. Se ci aggiungiamo le accuse di aver rubato il ruolo a Winona Ryder e nonostante Weinstein, diviene ancora più incomprensibile il suo trionfo. E nessuno si mette a discutere un’attrice come Judi Dench, ma i suoi otto minuti scarsi in Shakespeare in Love, che non sono sufficienti per incidere, non giustificano l’Oscar da non protagonista. Era l’anno prima, quando vinse una banale Helen Hunt in Qualcosa è cambiato e l’Academy si dimenticò di Pam Grier in Jackie Brown, che Dench avrebbe dovuto ottenere l’ambito premio.
Arriviamo alla nota dolente per noi. Roberto Benigni, che sostanzialmente interpreta sé stesso ne La vita è bella e che ha fatto presa sull’Academy con la sua esuberante performance, non era il miglior attore dell’anno. Basti pensare ai suoi sfidanti (e all’escluso Jim Carrey): Ian McKellen in Demoni e dei, Tom Hanks in Salvate il soldato Ryan e, soprattutto, uno straordinario Edward Norton in un’interpretazione difficile da descrivere da quanto è intensa in American History X. Già era rimasto beffato nel 1997 quando perse ingiustamente, assieme a William H Macy in Fargo, contro Cuba Goolding Jr; cosa che non ha beneficiato quest’ultimo, come succederà alla stessa Paltrow.
2) Art Carney (Oscar 1975)
Gli Oscar 1975 avevano quattro attori leggendari, nominati da protagonisti per uno dei loro ruoli più iconici. Uno straordinario Jack Nicholson è Jake Gitters, il detective dai modi sbrigativi e dotato di un’ironia provocatoria in Chinatown; Dustin Hoffman dà vita al travagliato e controverso comico Lenny Bruce in Lenny; Albert Finney si butta anima e corpo nelle vesti di Hercule Poirot nell’Assassinio sull’Orient Express; infine, Al Pacino ritorna a essere Michael Corleone nel Il Padrino II, regalandoci uno dei momenti recitativi più indelebili di sempre, talmente immenso che non tardano ad arrivare i brividi di gioia al solo pensiero. Sembrava la volta buona per quest’ultimo, soprattutto perché si era già visto strappare una meritata vittoria nel 1973 da Joel Grey in Cabaret.
No, purtroppo non lo fu. E nemmeno per gli altri grandissimi nominati all’edizione del 1975.
A vincere fu la dimenticabilissima interpretazione di Art Carney in Harry e Tonto, film incentrato su un anziano vedovo che viaggia negli Stati Uniti assieme al suo gatto per trovare una casa nuova, dato che la loro sta per essere demolita. Una scelta che non riusciremmo a giustificare nemmeno se ci provassimo con tutte le nostre forze. E se proprio non volevano premiare Pacino, gli altri tre rimanevano comunque scelte decisamente migliori di Carney.
3) Al Pacino (Oscar 1993)
È dolorosissimo scrivere questo punto, ma purtroppo in una lista di Oscar sbagliati non può mancare quello ad Al Pacino in Scent of Woman – Profumo di donna. Soprattutto perché è l’unico che può vantare in bacheca, a fronte di numerose altre bellissime interpretazioni che se lo sarebbero meritato molto di più, come quelle nel Padrino, in Serpico e in Quel pomeriggio di un giorno da cani. Ahimè, succede sempre così quando si aspetta troppo a premiare un attore, sporcando quella che dovrebbe essere una sofferta vittoria col sospetto. Humphrey Bogart ne sa qualcosa e, infatti, rimase perplesso di aver vinto nel 1952 battendo uno strepitoso Marlon Brando. Nessuno mette in dubbio la difficoltà del ruolo e la bravura di Pacino nell’interpretarlo, sebbene una parte di critica e pubblico abbia ritenuto la sua recitazione caricaturale e un tantino esagerata – e noi italiani abbiamo anche il paragone diretto con quella delicatissima di Vittorio Gassman.
Il problema è che non solo non era la sua esibizione migliore, ma non lo era nemmeno dell’anno.
Più del crepuscolare Clint Eastwood ne Gli Spietati o del bravissimo Robert Downey Jr in Charlot, è Denzel Washington il vero mattatore del 1993. Si è immedesimato perfettamente nel controverso Malcolm X, è sparito in un ruolo che ha definito la sua carriera, che ha mostrato un lato diverso e più intenso dell’attore, offrendo una delle migliori interpretazioni degli anni ’90, forse di sempre si potrebbe azzardare, e degna di ogni premio possibile.
4) Tommy Lee Jones (Oscar 1994)
Non è che Tommy Lee Jones abbia fatto un brutto lavoro nei panni del poliziotto Samuel Gerard, intento nel catturare il dottor Robert Kimble, accusato dell’assassinio della moglie. Semplicemente la sua statuetta da non protagonista non era meritata perché almeno due esibizioni gli erano superiori. Leonardo DiCaprio è riuscito a elevare Buon Compleanno Mr Grape con un’interpretazione fenomenale, tanto che la critica pensava davvero che l’attore fosse autistico. Peccato che l’Academy lo riteneva troppo giovane per la vittoria finale.
Chi però si sarebbe meritato davvero il premio è lo straordinario Ralph Fiennes in Schindler’s List.
L’attore dipinge uno dei cattivi più spaventosi di sempre, rendendo multidimensionale un personaggio che avrebbe potuto essere una semplice macchietta. Amon Goth è il male puro, violento e sadico, e Fiennes lo incarna così bene che, quando dei sopravvissuti vennero invitati sul set per le riprese, una di loro – Mila Pfefferberg – quasi svenne dal terrore, perché le sembrava di avere davanti il vero gerarca nazista. C’è un paradosso di fondo: era così convincente come Goth che l’Academy non volle dare il premio a un personaggio nazista realmente esistito – però premiavano coloro che avevano interpretato degli spietati serial killer…. c’è qualcosa che non quadra in tutto ciò. Fortunatamente si sono ravveduti con Christoph Waltz nel 2012; ma ciò non cancella l’ingiustizia subita da Fiennes.
5) Jennifer Lawrence (Oscar 2013)
Non possiamo negare quanto Jennifer Lawrence fosse calata nella parte ne Il lato positivo, così convincente che non sembra nemmeno recitare. Ma era davvero la migliore dell’anno? O semplicemente l’Oscar ha premiato l’attrice più per la sua popolarità che per l’effettiva qualità del lavoro? Molti propendono per la seconda ipotesi, anche alla luce delle sue altre e migliori interpretazioni. Se per la piccola Quvenzhané Wallis la candidatura è già una vittoria, Naomi Watts ci regala in The Impossibile una delle esibizioni più intense che potremmo mai vedere. Emanuelle Riva ci distrugge con la sua commovente interpretazione di un’anziana signora vittima di ictus; così vissuta che ci dimentichiamo che stiamo guardando un personaggio immaginario. Ma è difficile che attrici europee non-britanniche vengano premiate.
La vera mattatrice di quell’anno è sicuramente Jessica Chastain in Zero Dark Trinity.
Tremendamente sottovalutata, Chastain si è caricata egregiamente il film sulle spalle con una performance magistrale, emozionale, vulnerabile e dura contemporaneamente, intrisa di feroce determinazione e fame di giustizia. Maya è solitamente quel tipo di ruolo che, data la sua complessità, porta alla statuetta se ben eseguito. Ma forse il potere da star di Lawrence (e di Weinstein) e la controversia di Zero Dark Thirty sono stati sufficienti per affossarla. Ed è un vero peccato, perché ha dovuto aspettare troppo per ricevere il suo meritato premio.
6) Julia Roberts (Oscar 2001)
La performance di Julia Roberts nei panni di Erin Brockovich – Forte come la verità è brillante ma, anche chi adora quel film perché obiettivamente è intelligente e bene recitato, deve ammettere che non era lei a dover portare a casa la statuetta. Ellen Burstyn, infatti, ci regala il ruolo della vita in Requiem for a Dream, uno dei pezzi di recitazione più belli della storia della cinematografia. E, personalmente, quando si parla di oscar sbagliati, è il suo nome che mi salta subito nella testa.
Certo, non l’ha aiutata essere contro un’attrice così amata dall’Academy come Roberts, essere inserita all’interno di un film controverso e innovativo o aver già conquistato in passato l’ambita statuetta. Però, ciò non toglie niente alla magnificenza della sua interpretazione. Ritrae alla perfezione la confusione e il disorientamento di chi perde il controllo della propria vita, dipingendo un crudo e inquietante affresco sulla dipendenza. È riuscita a essere straziante, comprensiva, spaventosa, commovente, realistica e divertente allo stesso tempo, scomparendo letteralmente nel suo personaggio.
E sarebbe bastato quel monologo, in cui il cameraman si commosse al punto che la telecamera gli sfuggì e Burstyn uscì per un secondo dall’inquadratura, così pieno di emozioni diverse, a darle la statuetta. Perché in fondo non è da tutti influenzare un’opera come Requiem for a Dream.
7) Rami Malek (Oscar 2019)
Sappiamo quanto i biopic attraggono i membri dell’Academy, soprattutto quelli incentrati su grandissimi artisti come era, appunto, Freddie Mercury. Bohemian Rhapsody li ha abbagliati raccontando la tragica storia del frontman dei Queen, nonostante la critica stessa fosse spaccata soprattutto sull’interpretazione di Rami Malek. Non si può negare l’incredibile studio dell’attore, come testimoniano i video che mettono a confronto l’esibizione del film con quelle vere. Ma la resa? Più di qualcuno storce il naso, bollando l’interpretazione di Malek come imitazione e non come veramente mimetica.
La differenza, ovvero scomparire in modo da far prendere vita al personaggio interpretato, l’ha mostrata Christian Bale in Vice – L’uomo nell’ombra, che si è trasformato nel paffuto e inquietante vicepresidente di George W Bush, Dick Cheney.
E che dire di Willem Dafoe, che consegna con generosità il suo corpo e la sua anima al tormentato Van Gogh nell’omonimo film? Certo, per sua scelta non imita fedelmente uno dei pittori più importanti di sempre, ma ci lascia un’esperienza difficile da superare in breve tempo. Molti, però, ritenevano che la vittoria dovesse andare al Jackson Maine di Bradley Cooper in una delle sue migliori interpretazioni di sempre, snobbato anche nella categoria miglior regia. E non dimentichiamoci di Viggo Mortensen in Green Book, pur essendo gli altri tre più meritevoli.
8) Judy Holliday (Oscar 1951)
Torniamo parecchi anni indietro con uno degli errori più imperdonabili che l’Academy abbia mai fatto.
Nel 1951 ci fu uno degli scontri più avvincenti nella categoria miglior attrice protagonista. Oltre a Eleanor Parker in Prima colpa e Anne Baxter in Eva contro Eva, due erano le interpretazioni entrate nella leggenda e che ancora oggi chiamano vendetta. Sempre in Eva contro Eva, Bette Davis dà vita a Margo Channing, istrionica e scorbutica diva teatrale che dietro i suoi atteggiamenti da primadonna nasconde le sue debolezze e la sua solitudine. Nel Viale del Tramonto Gloria Swanson si cala in una dei ruoli più iconici della storia della cinematografia, diventando l’attrice cinematografia Norma Desmond, una donna decadente e continuamente sospesa tra ossessione e follia.
Che vincesse Davis o Swanson non aveva importanza, perché entrambe erano meritevoli. Eppure tutte e due andarono via a mani vuote.
Vinse Judy Holliday in Nata Ieri. Ora, lei è stata molto brava nei panni di questa giovane e svampita fidanzata di un politico corrotto, che piano piano comprende la vera natura della realtà in cui vive. Ed è anche bello che abbia vinto un ruolo comico. Sarebbe andato bene in qualsiasi altra edizione, ma non in questa. Non contro Bette Davis e Gloria Swanson che, probabilmente, si sono divisi i voti con Baxter; cosa che ha aperto la strada a Holliday in uno dei casi più clamorosi che ancora oggi perseguita l’Academy.
9) Michael Caine (Oscar 2000)
Il più delle volte la categoria dei non protagonisti non desta interesse, è un premio di consolazione (come quello a Kim Basinger per L.A. Confidential nel 1998), è scontata – o riserva terribili sorprese come il premio controverso a Marisa Tomei nel 1993 – oppure diviene quasi un riconoscimente alla carriera (come Laura Dern nel 2020). Quest’ultimo è il caso di Michael Caine. Il suo personaggio ne Le regole della casa del sidro (che, guarda caso, l’ha prodotto Miramax) è troppo un cliché rispetto al suo enorme talento, molto meno avvincente rispetto ai suoi rivali e non gli ha mai offerto una reale possibilità di brillare.
Ed è un peccato perché il suo anno era estremamente competitivo, con performance molto più meritevoli. Cosa che Caine ha riconosciuto nel suo discorso di accettazione, lodando il lavoro dei colleghi uno per uno.
Michael Clark Duncan è semplicemente fantastico ne Il miglio verde, regalandoci un ruolo memorabile e che continua a farci piangere come delle fontane. Haley Joel Osmet impressiona ne Il sesto senso, mostrando una fredda maturità per la sua giovane età. Jude Law è così carismatico che illumina lo schermo ne Il talento di Mr Ripley, tanto che nei momenti in cui non è presente ne sentiamo tremendamente la mancanza. Tuttavia, colui che si sarebbe dovuto aggiudicare la statuetta è Tom Cruise, che riesce a emergere nel mezzo a incredibili performance in Magnolia, mostrando uno dei personaggi più umani e vulnerabili della sua carriera. E se proprio vogliamo mettere i puntini sulle i, sono rimasti fuori dalla cinquina l’iconico Brad Pitt in Fight Club, un villain d’eccellenza come l’Agente Smith di Hugo Wavering in Matrix o il carismatico quarterback di Jamie Foxx in Quella maledetta domenica. E chissà quanti altri.
10) Emma Stone (Oscar 2017)
Siamo stati indecisi sull’ultimo punto. C’era Sandra Bullock nel 2010, ma guardando la concorrenza si comprende perché il premio sia andato a lei: non avrebbero mai dato l’Oscar a Carey Mulligan o Gabourey Sidibe alla prima candidatura, nonostante fossero state migliori. C’è chi obietta sull’Oscar di Meryl Streep nel 2012, perché doveva vincerlo prima (magari nel 2009, l’anno in cui Kate Winslet lo vinse per il film sbagliato) e andare a Viola Davis – che però si è pentita del suo ruolo in The Help – o, soprattutto, alla grande esclusa Tilda Swinton.
Così, anche per non essere troppo scontati, abbiamo optato per il 2017, quando a conquistare la statuetta fu Emma Stone per La La Land.
Non fraintendeteci, Stone è molto brava sia con il canto che con il ballo e la recitazione. Ma quanto la vittoria è merito suo e quanto della popolarità della pellicola? Come fosse un premio di consolazione contro la sconfitta per il miglior film? Qui infatti le cose si complicano. Non solo Stone ha al suo attivo lavori migliori (tipo quello in Birdman nel 2014), ma c’era chi aveva fatto meglio. Natalie Portman è letteralmente diventata Jackie Kennedy, tanto che ha ammesso di essersi ritrovata a parlare come lei anche dopo le riprese del film. L’ha rappresentata in maniera intelligente, stratificata, delicata e devastante, tanto che alcuni gridano al furto. Se non lei, allora c’era Isabelle Hupper in Elle che, con la sua Michelle, ci ha donato un personaggio complesso e una delle migliori interpretazioni di una delle più grandi attrici cinematografiche di tutti i tempi. Ma, ancora, le lingue non-inglesi raramente vengono premiate.
Anche se, con tutta probabilità, è la sorprendentemente esclusa Amy Adams che si meritava la statuetta: non tanto per Animali notturni, ma per Arrival, reggendolo tutto sulle sue spalle e dandoci l’interpretazione migliore dell’anno.
Come? Siamo arrivati in fondo all’articolo e non c’è nemmeno un punto dedicato a Leonardo DiCaprio, eccetto una piccola menzione? La spiegazione è semplice: la sfortuna. Quando è stato nominato, ha sempre trovato una grandissima concorrenza e, benché chi scrive gli darebbe l’Oscar a prescindere, obiettivamente non ritengo corretto dire che averlo assegnato a Foxx nel 2005 o a McConaughey nel 2014 sia sbagliato, perché sono tutte ottime interpretazioni e ci sta di perdere – anche se, ahimè, tocca sempre a DiCaprio. Se nel 2020 non aveva chance contro Phoenix, nel 2006 è stato candidato per il film sbagliato: era meglio The Departed che Blood Diamond per cercare di battere uno splendido Whittaker. Ne manca una da non protagonista che poteva davvero dargli la vittoria: quella in Django Unchained. E la statuetta per Revenant è stata semplicemente un grande sollievo. Dopo questa doverosa precisazione, possiamo dire che l’Academy non ci ha sempre visto giusto, come dimostrano i 10 esempi e le numerosissime menzioni. È arrivato il momento di cedervi il posto, perché ora vogliamo sentire che ne pensate e se ne avreste inseriti altri.