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Vi diciamo chi secondo noi avrebbe dovuto vincere l’Oscar al miglior film dal 2000 al 2023

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È inevitabile che ogni amante del cinema provi un sentimento di amore-odio per gli Oscar. E sì, ci piace decisamente criticare le scelte dell’Academy, ma chi non ha mai sognato di trovarsi tra i suoi membri per poter esprimere la sua preferenza e far vincere così i suoi favoriti? Siamo convinti che ogni cinefilo che si rispetti l’abbia desiderato almeno una volta. Oggi faremo proprio questo. Vi diremo quali pellicole, secondo il nostro modestissimo parere, avrebbero dovuto vincere l’Oscar al miglior film nell’arco di tempo che va dall’edizione del 2000 a quella del 2023. E scoprirete che solo poche volte ci siamo trovati a concordare con l’Academy. Dopo aver svolto un intenso lavoro di ricerca, abbiamo deciso di prendere in considerazione sia le opere nominate che quelle escluse ingiustamente; per questo, in determinati anni, potreste trovare più film che abbiamo ritenuto meritevoli del premio. Se ne trovate uno tra parentesi, vuol dire che è la nostra seconda opzione; se sono entrambi senza parentesi, vuol dire che avremmo premiato entrambi. Inoltre, cercheremo di essere il più obiettivi possibili e di lasciare i gusti personali da parte.

È il momento di entrare nel vivo del pezzo, iniziando dall’edizione degli Oscar 2000.

Oscar 2000

Oscar al miglior film (640x360)
Kevin Spacey e Mena Suvari in American Beauty (The Guardian)

L’edizione degli Oscar 2000 fa riferimento a una delle annate migliori nella storia del cinema: il 1999. Basti pensare a chi non è entrato nella cinquina. Film del calibro di Fight Club, Ragazze Interrotte, Magnolia, Il talento di Mr. Ripley, Essere John Malkovich, Boys Don’t Cry, Matrix, Three Kings, Tutto su mia madre, The Blair Witch Project, Accordi e disaccordi, Election, Toy Story 2 o Eyes Wide Shut. E siamo sicuri che qualcuno l’abbiamo lasciato per strada. Tra i nominati c’erano Il miglio verde, Il sesto senso, The Insider – Dietro la verità, Le regole della casa del sidro e il vincitore American Beauty. Ora, comprendiamo perché quest’ultimo abbia trionfato data la sceneggiatura sensazionale, la regia brillante, la tematica che toccava abilmente un nervo scoperto e ottime performance.

Peccato che sia invecchiato malissimo, diventando un vincitore problematico (e non solo per Kevin Spacey), a differenza degli sfidanti. Sebbene quasi tutti avremmo votato per Fight Club (o Matrix), della cinquina, più del commovente Il miglio verde o dello scioccante Il sesto senso, è The Insider che meritava.

Non cade nel ruffiano biopic raccontando lo scandalo dell’industria del tabacco. È quasi un documentario in cui veniamo totalmente immersi nella vicenda assieme ai personaggi, diventando poi un tesissimo e avvincente thriller. Con un monumentale Russell Crowe che tiene testa a un sempre gigante Al Pacino, c’è il meglio di Michael Mann sia a livello stilistico che di narrazione; infine, riesce a cogliere e a mostrarci ciò che tantissimi film hanno analizzato nel 1999, ovvero che cosa succede nella testa delle persone.

VINCITORE: American Beauty

IL NOSTRO VINCITORE: The Insider – Dietro la verità

Oscar 2001

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Russell Crowe ne Il gladiatore

Difficile quando le scelte per l’Oscar al miglior film erano solo 5. Già, perché a Il gladiatore, Chocolat, Erin Brockovich – Forte come la verità, La tigre e il dragone e Traffic noi ne avremmo aggiunto qualcuno. Ma procediamo con ordine, anche perché ci sono pareri contrastanti riguardo la vittoria de Il Gladiatore. Tolti Chocolat ed Erin Brockovich, Traffic è cupo, brutale, realizzato con estrema bravura da Steven Soderbergh, con cast e sceneggiature sublimi. La tigre e il dragone di Ang Lee rimane una delle migliori pellicole in lingua straniera di tutti i tempi, che ha spinto l’Academy a guardare oltre i suoi confini e a pensare, per la prima volta, di poter votare un’opera straniera e non in lingua inglese. In un mondo giusto, avrebbe sicuramente vinto quest’ultimo.

Ma togliere la statuetta al Gladiatore, pur con tutti i difetti che si possono trovare in quella pellicola, era impossibile. È un grandissimo film che ha riscosso un successo enorme, godibile da guardare e talmente iconico da entrare nell’immaginario comune. Non dimentichiamo, però, chi è rimasto fuori: ad esempio, Almost Famous, Fratello dove sei?, Cast Away, Dancer in the Dark, Billy Elliot, Snatch – Lo strappo e, soprattutto, Requiem for a Dream. Un’opera dall’immensa forza espressiva e dalla crudezza necessaria che rimane sempre con noi anche se non lo vedremo mai più in vita nostra. Se fosse stato nella cinquina, per quanto leggendario sia il film di Ridley Scott, forse avremmo azzardato scegliendo quello di Darren Aronofsky. Perché questo, semplicemente, è IL cinema.

VINCITORE: Il Gladiatore

IL NOSTRO VINCITORE: Requiem for a Dream o Il Gladiatore (nella cinquina)

Oscar 2002

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Russell Crowe in A Beautiful Mind

Comprendiamo perché, in un’annata del genere, abbia vinto A Beautiful Mind. È un’intensa e struggente storia d’amore che tocca temi diversamente complessi come la malattia mentale o la matematica. Russell Crowe era lanciatissimo e regalò un’increbibile performance. Oltre al fascino di entrare dentro una mente così geniale, l’Academy era in debito con Ron Howard dopo non avergli dato l’Oscar al miglior film per Apollo 13. E questo è uno dei problemi della pellicola, unito al raccontare, distorcendola, solo le parti della storia di John Nash che fanno comodo, al whitewashing della moglie Alicia e all’abbandono della prima consorte incinta perché ritenuta inferiore socialmente. Cosa puntualmente omessa nella pellicola.

In gara, poi, c’erano nientedimeno che il primo capitolo de Il Signore degli Anelli, da molti ritenuto il migliore della saga, e lo spumeggiante e innovativo Moulin Rouge! che ha avviato una rivoluzione nel genere musical, assieme ai sottovalutati Gosford Park e In the Bedroom. Il problema, però, sono i calibri da novanta esclusi dalla cinquina. Parliamo di In the Mood of Love di Wong Kar-wai, Mulholland Drive di David Lynch, Black Hawk Down di Ridley Scott e Memento di Christopher Nolan. E perché no, pure American Psycho di Mary Harron.

Se dovessimo scegliere tra la cinquina, il nostro voto andrebbe al Signore degli Anelli. Ma allargando il cerchio, nonostante l’amore profondo per Memento, quello era il momento di Lynch e di quel capolavoro chiamato Mulholland Drive.

VINCITORE: A Beautiful Mind

IL NOSTRO VINCITORE: Mulholland Drive (o Il Signore degli Anelli – La compagnia dell’anello)

Oscar 2003

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Catherine Zeta-Jones e Renée Zellweger in Chicago (Wikipedia)

Ora, il musical è un genere complesso, che pare piacere all’Academy in maniera inversamente proporzionale ai gusti del pubblico. Certo, Chicago non è brutto. Anzi. Inoltre, la forte campagna marketing di chi un tempo aveva in mano Hollywood, ovvero Harvey Weinstein, e la rievocazione della vecchia e gloriosa era di Hollywood hanno fatto il resto.

Ma c’è un ma. Non era il miglior film dell’anno.

Sicuramente The Hours non avrebbe vinto. Premiare Martin Scorsese non è ancora nei piani dell’Academy. Certo, Gangs of New York è imperfetto in alcune sue parti, ma è un’opera mastodontica e un’analisi brillante sulle origini etniche e socio-politico newyorkesi, metafora di quelle attuali. Con un grande Daniel Day-Lewis aggiungiamo. Il secondo capitolo de Il Signore degli Anelli, pur essendo ottimo, è inferiore agli altri due. Resta Il pianista. Un film crudo, doloroso, che non romanza la tragicità dell’Olocausto come La vita è bella, né dà speranza come Schindler’s List, ma ci squarcia l’anima senza mai darci un secondo di pace.

Considerando importanti assenze (tra cui Parla con lei di Pedro Almodovar, Far From Heaven di Todd Haynes, il capolavoro La città incantata di Hayao Miyazaki, Prova a prendermi di Spielberg e Il ladro di orchidee di Spike Jonze) e lasciando da parte situazioni extra cinema, era Il pianista che si meritava l’Oscar al miglior film quell’anno.

VINCITORE: Chicago

IL NOSTRO VINCITORE: Il pianista

Oscar 2004

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Orlando Bloom e Viggo Mortensen ne Il ritorno del re

In tantissimi altri anni Lost in Translation – L’amore tradotto e Mystic River (gli altri due, Master & Commander – Sfida ai confini del mare e Seabiscuit – Un mito senza tempo, no) avrebbero probabilmente portato a casa l’Oscar al miglior film. Non nel 2004. Perché questo è l’anno del capitolo conclusivo de Il Signore degli Anelli.

Non c’è una singola cosa che sia fuori posto o sotto l’eccellenza ne Il ritorno del re: dalla recitazione alla produzione, dalla narrazione alla cinematografia, passando per gli effetti, il sonoro, il trucco, i costumi, la scenografia, quelle mastodontiche scene di guerra e un finale che più perfetto non si può. Migliorandosi di film in film, Peter Jackson ci ha immerso nell’ultimo atto in un racconto avvincente, emozionante e visivamente sbalorditivo, rendendolo un’opera accattivante e uno dei risultati più incredibili e impressionanti raggiunti al cinema. Già, perché c’è chi credeva fosse impossibile adattare Tolkien. Jackson non solo l’ha fatto, ma ha realizzato quella che è la miglior trilogia cinematografia della storia. E si meritava il giusto riconoscimento.

VINCITORE: Il signore degli Anelli – Il ritorno del re

IL NOSTRO VINCITORE: Il signore degli Anelli – Il ritorno del re

Oscar 2005

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Hilary Swank e Clint Eastwood in Million Dollar Baby

Ok, ammettiamo che il primo istinto che abbiamo avuto, guardando la cinquina di quest’anno (che comprende The Aviator, Neverland – Un sogno per la vita, Ray e il sottovalutato Sideways – In viaggio con Jack), è che Million Dollar Baby si sia meritato il suo premio. È emotivamente devastante, difficile se non impossibile guardarlo due volte, perché la trasformazione della favola di Maggie nel peggiore degli incubi possibili è straziante. Non è solo un film sulla boxe, ma racconta l’amicizia, il dolore, l’amore, la dignità di un perdente che riesce a rialzarsi e la libertà di scelta. E poi, c’è Clint Eastwood a dirigerlo (e a recitarci), solitamente una garanzia.

Però, basta scorgere i film usciti quell’anno per ricredersi: c’è Before Sunset, Le pagine della nostra vita, L’uomo senza sonno, Closer, The Butterfly Effect, The Manchiurian Candidate, Kill Bill 2, Harry Potter 3, Gli Incredibili, Le avventure acquatiche di Steve Zissou e via dicendo. Ma uno spicca su tutti e lo scriviamo in inglese perché il titolo italiano non esiste: Eternal Sunshine of the Spotless Mind.

Questa storia straziante, contorta e bellissima è diventata nel corso degli anni uno di quei cult scolpiti per sempre nelle stelle. Meritava decisamente di più delle misere due nomination che ha ottenuto. Meritava l’Oscar al miglior film.

VINCITORE: Million Dollar Baby

IL NOSTRO VINCITORE: Eternal Sunshine of the Spotless Mind

Oscar 2006

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Thandie Newton e Matt Dillon in Crash

Questo è un anno inspiegabile perché a vincere l’Oscar al miglior film fu Crash – Contatto fisico. Il problema non è tanto il film stesso, incentrato sulle tensioni razziali nei quartieri di Los Angeles – che comunque non sono state trattate proprio al meglio – e pieno di nomi importanti nel cast. No, la cosa più grave è che tutti gli sfidanti erano decisamente migliori. Spielberg firma un tesissimo e cupo thriller, con un Eric Bana sublime e una ricostruzione storica ineccepibile in Munich; Good night and Good Luck ripercorre la dura battaglia dell’anchorman Ed Murrow contro il maccartismo, grazie a una regia lucida e ottime interpretazione; Truman Capote – A sangue freddo unisce brillantemente la cronaca, l’intrattenimento sagace e uno spaccato sociale del tempo, godendosi anche l’incredibile performance di Philip Seymour Hoffman.

Ma soprattutto, c’era I segreti di Brokeback Mountain, una delle pellicole più indimenticabili e commoventi nella storia, che aveva già vinto a Venezia, ai Globe e ai BAFTA e ricevuto innumerevoli elogi per le strazianti e incredibili performance di Jake Gyllenhaal e Heath Ledger.

È una pellicola stampata nel nostro cuore e che dimostrò l’arretratezza e la poca inclusività dell’Academy, dato il tema portato avanti dal film. Ed è l’ennesimo screzio a Ang Lee.

VINCITORE: Crash – Contatto fisico

IL NOSTRO VINCITORE: I segreti di Brokeback Mountain

Oscar 2007

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Jack Nicholson e Leonardo DiCaprio in The Departed

Un po’ come è successo nel 2002 e nel 2005, alcuni film esclusi dalla cinquina – composta da The Departed – Il bene e il male, Babel, Little Miss Sunshine, Lettere da Iwo Jima e The Queen – La regina – meritavano di esserci. Tre su tutti: Children of Men di Alfonso Cuaron, Il labirinto del fauno di Guillermo Del Toro e The Prestige di Christopher Nolan. Ora, rimanendo obiettivi (perché The Prestige è uno dei film preferiti di chi scrive e che consiglia sempre), c’è da dire che, nonostante tutto, The Departed è il degno vincitore di quell’anno.

Oltre a spezzare finalmente la maledizione di Scorsese (che avrebbe sicuramente meritato di vincere film e regia molto prima), The Departed è uno dei rari remake riusciti, in cui Scorsese adatta il film honkhongese Internal Affair secondo il suo personalissimo stile. E con una colonna sonora perfetta. Lo trasforma così in uno studio dei personaggi intenso e teso, intriso di violenza e di qualità che lo rende un successo, con un cast da urlo. Era genialità che doveva essere celebrata e un pezzo glorioso di cinema da premiare assolutamente. Come fortunatamente è successo.

VINCITORE: The Departed – Il bene e il male

IL NOSTRO VINCITORE: The Departed – Il bene e il male

Oscar 2008

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Javier Bardem in Non è un paese per vecchi

La corsa all’Oscar al miglior film nel 2008 era a due perché, senza nulla togliere a Espiazione, Juno e Michael Clayton, Il petroliere e Non è un paese per vecchi sono di un altro livello. Il primo è un capolavoro cupo e decadente che decostruisce pezzo per pezzo la cultura americana del self-made man, con una regia impeccabile, musiche eccellenti, una trama unica e coerente e interpretazioni fenomenali, soprattutto Daniel Day-Lewis e Paul Dano. Il secondo è un’opera d’arte in cui i Coen reinterpretano il western con il loro humor brutale, creando qualcosa di nuovo e familiare allo stesso tempo. Il cast, anche qui, è maestoso e spicca Javier Bardem nei panni di uno dei villan più terrificanti mai creati al cinema. Di fatti premiato dall’Academy, come pure Day-Lewis. A ciò si unisce una scrittura brillante e una regia grandiosa.

In pratica, sono due dei film più grandi mai esistiti ed entrambi meritavano la vittoria. Forse avremmo puntato su Il Petroliere, ma ci va benissimo anche la vittoria di Non è un paese per vecchi.

VINCITORE: Non è un paese per vecchi

IL NOSTRO VINCITORE: Il Petroliere (o Non è un paese per vecchi)

Oscar 2009

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Dev Patel e Freida Pinto in The Millionaire

The Millionaire è riuscito a spingere i tasti giusti per vincere l’Oscar al miglior film, raccontandoci una storia struggente, semplice, quelle di rivalsa che ci piacciono tanto. L’estetica è incredibile, la popolarità travolse tutti, persino l’Academy. Senza dimenticarci che, nonostante troppe coincidenze poco credibili e qualche esagerazione eccessiva, fu importantissima la vittoria di un cast quasi interamente non-bianco. Però, non era assolutamente il miglior film dell’anno. Se guardiamo la cinquina fortunata, vediamo i seguenti nomi: Milk, Frost/Nixon – Il duello, The Reader – Ad alta voce e Il curioso caso di Benjamin Button. Se avessimo avuto diritto di voto, avremmo premiato quest’ultima, perché David Fincher racconta uno degli amori più unici nel cinema, con ottimi effetti speciali mai fini a sé stessi e un toccante Brad Pitt.

Ma, ancora una volta, c’è un ma. Come nel 2002, a far più rumore sono le esclusioni: da In Bruges a Synecdoche, New York, passando per quel capolavoro d’animazione WALL-E e per l’intenso dramma sportivo The Wrestler, con un imperioso Mickey Rourke. Soprattutto, l’assenza tutt’oggi inspiegabile di un’opera universalmente acclamata: Il cavaliere oscuro. E tanto fu il contraccolpo che l’Academy fu costretta l’anno dopo ad ampliare il numero di candidature, cosicché non si ripetessero più esclusioni ingiuste.

VINCITORE: The Millionaire

IL NOSTRO VINCITORE: Il cavaliere oscuro

Oscar 2010

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Jeremy Renner in The Hurt Locker

Che ci crediate o meno, la 2010 è l’edizione che ci ha messo più difficoltà, tanti sono i pareri contrastanti sul vincitore, The Hurt Locker, ma poche effettivamente le alternative valide.

Kathryn Bigelow ci porta dentro l’azione, facendocela vivere al fianco dei protagonisti, tra i quali spicca un intenso Jeremy Renner. Non usa mezzi termini per raccontarci il costo psicologico della guerra sui soldati, narrandone anche la spaventosa quotidianità. Considerato uno dei migliori film di guerra di sempre, la tensione è spesso così forte da riuscire a malapena a sopportarla, soprattutto nelle sequenze di disinnesco delle bombe che hanno ancora il potere di togliere il ​​fiato.

The Hurt Locker era il Davide che sfidava quel Golia chiamato Avatar. Un film ambientalista, antimilitarista, che racconta un bellissimo amore interraziale e, soprattutto, che ha rivoluzionato il cinema proponendo un’esperienza immersiva tramite l’uso del 3D. La domanda però è: l’avremmo votato solo perché eravamo rimasti abbagliati dal 3D? Probabilmente sì, perché ha molte pecche a livello contenutistico e cede di fronte ad altri lavori di James Cameron. Certo, The Blind Side, District 9, An Education, A Serious Man e Up erano sfidanti più deboli; qualcuno avrebbe voluto la vittoria di Tra le nuvole, che rimane una pellicola riuscita, coinvolgente, riflessiva e divertente. Meritevole era Bastardi senza gloria, che riscrive in maniera sorprendente la seconda guerra mondiale con trovate memorabili, interpretazioni iconiche, colonna sonora unica, regia e sceneggiatura… tarantiniana.

Ma soprattutto, il coraggioso e originale Precious, un film che è così tante cose contemporaneamente: un’opera di denuncia contro gli abusi domestici, il sistema scolastico e d’assistenza statunitense; un racconto di rinascita di un’eroina forte, moderna e racchiusa in un mondo arcaico (interpretata in maniera strabiliante da Gabourey Sidibe, che si sarebbe meritata l’Oscar). Ha una grazia unica nonostante tematiche complesse, è dissacrante ma dolce; riesce a confortare e ad angosciare allo stesso tempo. Non era il suo anno ed è un vero peccato.

VINCITORE: The Hurt Locker

IL NOSTRO VINCITORE: Precious (o The Hurt Locker)

Oscar 2011

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Helena Bonham Carter, Colin Firth e Geoffrey Rush ne Il discorso del re

Premettiamo una cosa: Il discorso del re è una pellicola difficile da non amare. È divertente, stimolante, commovente e arricchito dalle meravigliose interpretazioni di Colin Firth, Geoffrey Rush e Helena Bonham Carter. È un biopic emozionante e come può l’Academy ignorare il genere che più ama? Infatti, non l’ha fatto. Peccato che, guardando i nominati, non possiamo che storcere il naso dato che ha vinto il film sbagliato. Già perché tra Il cigno nero, Inception, Il Grinta, Un gelido inverno, The Fighter, 127 ore, I ragazzi stanno bene e Toy Story 3 – senza dimenticare illustri esclusi come Shutter Island ne emerge uno e uno soltanto, che non abbiamo ancora nominato: The Social Network.

David Fincher, supportato dall’impeccabile sceneggiatura di Aaron Sorkin (premiata all’Oscar), è riuscito a rappresentare gli stessi elementi de Il discorso del re in una fondamentale opera d’arte che non oscura la contemporaneità con la classicità. Aggiungiamoci una regia spaziale e abbiamo il cocktail perfetto di un film davvero tanto attuale. Non è solo il miglior film dell’anno, ma uno dei migliori degli anni 2000, azzardiamo di sempre. E si sarebbe meritato quella statuetta, anche se forse ha vinto lo stesso. Perché è leggenda.

VINCITORE: Il discorso del re

IL NOSTRO VINCITORE: The Social Network

Oscar 2012

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Jean Dujardin e Bérénice Bejo in The Artist

Sì, The Artist non avrebbe dovuto vincere l’Oscar al miglior film. Certo, l’Academy si è fatta travolgere dalla nostalgia della vecchia Hollywood muta e in bianco e nero. Ma ciò non giustifica la vittoria per varie ragioni. Intanto, se volevano premiare il cinema di un tempo, c’era l’Hugo Cabret di Martin Scorsese; se puntavano sulla nostalgia, c’era uno degli ultimi film riusciti di Woody Allen, ovvero Midnight in Paris. Se volevano una delicata e genuina pellicola sul razzismo raccontata in maniera inedita dal punto di vista femminile, c’era The Help. Se l’originalità era ciò che cercavano, The Tree of Life, considerato il capolavoro di Terrence Malik, era la scelta da fare. Forse però era troppo criptico, evocativo e autoriale per premiarlo, seppur la scelta sarebbe stata coraggiosa. Un altro che puntava sull’originalità era L’arte di vincere, un dramma sportivo anti-convenzionale che ha raccontato di un successo basato su un’autentica rivoluzione.

Il problema, però, è sempre il solito. Gli esclusi. Ve ne nomino alcuni: Millennium – Uomini che odiano le donne, Shame, Le idi di marzo, Melancholia, …e ora parliamo di Kevin, Crazy stupid love, Contagion, Another Earth e sì, il finale di Harry Potter. C’erano soprattutto quei due capolavori chiamati Drive di Nicolas Winding Refn e Una separazione di Asghar Farhadi. E questi due avrebbero dovuto lottare con The Tree of Life. Con noi che avremmo votato per Refn. Ma ci saremmo accontentati anche del film di Farhadi.

VINCITORE: The Artist

IL NOSTRO VINCITORE: Drive o Una separazione

Oscar 2013

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Ben Affleck in Argo

Argo è stata la scelta sicura dell’Academy, puntando su un film semplice, di facile comprensione, ben realizzato e a tratti divertente, ma che in fondo rimane nella media. Peccato perché quell’anno, osservando i nomi candidati, uno avrebbe dovuto vincere, penalizzato da polemiche extra-cinema che l’hanno lentamente affossato. No, per quanto amiamo Quentin Tarantino, non è Django Unchained. Zero Dark Thirty è incentrato sulla difficoltosa e interminabile ricerca di Osama bin Laden e non usa sensazionalismo spicciolo o retoriche da quattro soldi. Il talento di Kathryn Bigelow la trasforma in film avvincente, con un climax tesissimo e cupo, e in un’ossessione che riempie un vita e che, dopo la riuscita, fa perdere la bussola alla protagonista, una magnifica Jessica Chastain che avrebbe meritato la vittoria. E si vedono i diversi livelli tra le due pellicole. Soprattutto registici.

Tutto però sarebbe cambiato se in corsa per l’Oscar al miglior film ci sarebbe stato quella meraviglia di The Master. Paul Thomas Anderson ci regala un’opera di rara potenza, senza fronzoli e stupenda, servendosi della sua sublime regia, della fantastica fotografia, di dialoghi intensi e capaci di entrare nella psicologia dei personaggi, di stupende interpretazioni. E sì, forse ce ne rendiamo conto solo a distanza di tempo, ma è lui il vincitore per noi.

VINCITORE: Argo

IL NOSTRO VINCITORE: The Master o Zero Dark Trinity (nella cinquina)

Oscar 2014

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Chiwetel Ejiofor e Paul Giamatti in 12 anni schiavo

Nel cinema, come nella vita, ci sono anni buoni e meno buoni. L’edizione del 2014, fortunatamente, rientra nella prima. Sebbene i premi e l’Academy avessero ridotto la corsa a due titoli e un outsider, guardando i nominati, ce ne sono almeno 4 che si sarebbero potuti aggiudicare l’Oscar al miglior film.

American Hustle – L’apparenza inganna è una cinica e divertente commedia nera, con una scenografia perfettamente ricostruita, un cast da urlo e una denuncia sottile a una società piena d’imbroglioni. Gravity fonde in maniera magistrale l’unicità dello spazio, un’avventura tensiva e una significativa metafora sulla vita, dimostrando che lo sci-fi non ha bisogno dell’action a tutti i costi. Her racconta l’amore in maniera differente, senza esagerare o renderlo irreale nonostante l’impiego della tecnologia, riuscendo a toccare profondamente il nostro cuore. Come Her ma in modo diverso, The Wolf of the Wall Street lascia senza fiato: è creativo, irresistibile, sfrenato, geniale, accattivante, divertente ma anche dolorosamente vero. Ed è subito diventato un film di culto, tanto è stato grande il suo impatto. Meno possibilità aveva l’intenso dramma Dallas Buyer Club, il tensivo Captain Phillips – Attacco in mare aperto, il piccolo Philomena e il toccante Nebraska. Senza contare esclusioni dolorose come Prisoners, A proposito di Davis o Before Midnight.

Ha vinto 12 anni schiavo. È un’opera profonda, dall’impatto e dall’importanza notevoli, che non si guarda e basta, ma si vive fino in fondo. Si continua poi a soffrire anche dopo la sua fine, perché è doloroso, scomodo, crudo. E doveva esserlo, per smuovere le coscienze. Quindi, per quanto amiamo follemente The Wolf of The Wolf Street, stavolta concordiamo con l’Academy.

VINCITORE: 12 anni schiavo

IL NOSTRO VINCITORE: 12 anni schiavo

Oscar 2015

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Michael Keaton in Birdman

Non una brutta edizione la 2015, anche se alcuni film meritevoli non sono entrati nei nominati. Parliamo di pellicole come Interstellar, Gone girl – L’amore bugiardo, Vizio di forma, Foxcatcher – Una storia americana, Lo sciacallo – Nightcrawler e Fury, tanto per dirne qualcuna. Certo, nelle nomine ci sono grandi opere come Grand Budapest Hotel, Selma – La strada per la libertà, American Sniper e Whiplash. Anche la scelta del vincitore, in fondo, è comprensibile. Sebbene Birdman sia estremamente polarizzante, non si può negare la maestria tecnica con cui Alejandro Gonzales Inarritu gira il film in circa 10 straordinari piani sequenza. Trova poi un grande equilibrio tra dramma e commedia, aiutato da una sceneggiatura delicata e contemporaneamente complessa e da performance di prim’ordine. Usando il teatro come metafora della vita, ci porta in un viaggio dentro un uomo e il suo mondo.

Una delle critiche mosse a Birdman è la mancanza di cuore. Quello che, invece, è presente in Boyhood. Girato in ben 12 anni, vediamo gli attori crescere in un film magico, autentico e che riflette sull’essere figli e sull’esser genitori. Senza mai perdere di vista la vita e la crescita del protagonista, mostra senza sensazionalismi o giudizi una comune famiglia americana immersa nella loro società, entrambi pieni di contrasti e contraddizioni. Boyhood non racconta altro che la vita, emoziona, diverte e ci lascia addosso la sensazione di aver assistito a un qualcosa di così familiare, eppure così unico, Perché un’opera del genere probabilmente non si ripeterà più.

Birdman è meritevole sì, ma non in quell’edizione. Quell’anno era di Boyhood.

VINCITORE: Birdman

IL NOSTRO VINCITORE: Boyhood

Oscar 2016

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Rachel McAdams, Michael Keaton e Mark Ruffalo ne Il caso Spotlight

Allora, qui potremmo andare controcorrente per quanto riguarda il sentire comune che incorona Mad Max: Fury Road come la pellicola da premiare. Comunque, se avesse vinto l’Oscar al miglior film, saremmo stati d’accordo perché George Miller riesce a modernizzarsi senza perdere lo spirito della saga originale. Ci restituisce un film adrenalinico, spettacolare, con una scrittura intelligente, non molta trama ma una narrazione efficace sui personaggi e temi delicati quali l’oggettivazione femminile e l’ambientalismo. Revenant – Redivivo è visivamente sbalorditivo, con un Leonardo DiCaprio e un Tom Hardy sensazionali, una regia ambiziosa e una fotografia mozzafiato. Però è un film pesante, difficile da sopportare, con qualche imperfezione in regia e sceneggiatura. Il contrario de La grande scommessa, un’opera leggera, corale, divertente e con una narrazione complessa che Adam McKay è riuscita a rendere accessibile e comprensibile. La corsa era ridotta a questi (più il vincitore); gli altri – Sopravvissuto – The Martian, Il ponte delle spie, Room e Brooklyn – erano inferiori.

Ma Il caso Spotlight è difficile da ignorare. Sì, non è la scelta più coraggiosa e sì, sembra uno di quei film esca per l’Academy. Però, rimane un grande omaggio al giornalismo d’inchiesta fatto nella maniera migliore possibile. Viene evidenziato il lavoro estenuante del team del Boston Globe e ciò che ha sopportato per la verità, seguendo passo passo il percorso che ha condotto alla pubblicazione della scioccante storia. E ciò mantiene l’attenzione esattamente dove deve stare. Si uniscono poi ottime performance di personaggi che emergono nonostante la coralità, regia e sceneggiatura che mantengono la tensione e l’emozione senza retoriche di alcun tipo e l’ottimo comparto tecnico.

Certo, se avessero candidato il meraviglioso Carol, le cose forse sarebbero cambiate, nonostante Il caso Spotlight rimanga un glorioso pezzo di cinema.

VINCITORE: Il caso Spotlight

IL NOSTRO VINCITORE: Il caso Spotlight (o Carol)

Oscar 2017

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Mahershala Ali in Moonlight

Tutti ci ricordiamo l’incredibile gaffe agli Oscar 2017 e di come il piccolo e inatteso Moonlight sconfisse il favorito La La Land. In pratica fu Davide che sconfiggeva Golia. E sì, è un film straordinariamente bello, realizzato magnificamente, con una sceneggiatura sublime, un grandissimo cast e tematiche davvero importanti, da premiare effettivamente. Nessuno lo mette in dubbio. Tanti ritengono giusta questa vittoria e possiamo capire il perché.

Però, il problema è che ha tolto la statuetta a uno di quei film che cambiano il cinema. Anzi, in un certo senso a due.

La La Land è una di quelle opere indimenticabili che non solo ha fatto subito breccia nei cuori degli spettatori, travolgendolo con le stupende immagini e la magnifica colonna sonora, ma verrà ricordato per sempre. È un esilarante e innovativa boccata d’aria fresca in un genere che sembrava stantio e che, solitamente, non attira così tanto pubblico. E averlo fatto è una grandissima vittoria per La La Land. Senza contare il doloroso e commovente finale e degli Emma Stone e Ryan Gosling d’eccezione. Se proprio non volevano dare l’Oscar al miglior film a un musical – che invece, a differenza di altre edizione, qui sarebbe stato meritato – c’era quello che è considerato una delle migliori pellicole sci-fi del millennio attuale (forse di sempre), ovvero l’umanissimo, sorprendente, anti-convenzionale e dalle mille letture Arrival.

VINCITORE: Moonlight

IL NOSTRO VINCITORE: La La Land (o Arrival)

Oscar 2018

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Doug Jones e Sally Hawkins ne La forma dell’acqua

Quella per aggiudicarsi l’Oscar al miglior film nel 2018 è stata una delle gare più combattute forse nell’intera storia di questi premi. Tolti L’ora più buia, The Post e il sempre sottovalutato Paul Thomas Anderson con Il filo nascosto, era realmente una corsa a sei.

Chiamami col tuo nome è un bellissimo, passionale e commovente romanzo di formazione che, con raffinatezza, naturalezza e sensualità, racconta la scoperta di sé con tutti i dolori e le gioie che comporta, scavando nel nostro intimo grazie a regia, scrittura e interpretazioni maestose. Greta Gerwig riscrive il teen drama in Lady Bird, donandoci una pellicola che narra l’adolescenza senza idealizzazioni, dal punto di vista femminile, in maniera delicata, malinconica e vera. Tre manifesti a Ebbing, Missouri si regge perfettamente sul filo tra dramma e commedia nera, narrando tramite l’ironia i pregiudizi e la violenza insita nella società americana e creando personaggi complessi e perfettamente recitati. Dunkirk racchiude tutti gli elementi del cinema di Nolan, portandoci all’interno di un viaggio umanissimo e rappresentato in maniera ineccepibile sia visivamente, sia tecnicamente, sia narrativamente. E trovargli un difetto diviene una mission impossibile. Infine, Scappa – Get Out è un horror costruito come un thriller, pieno di tensione e mistero che conducono a una rivelazione finale scioccante e gestita come meglio non poteva.

A vincere fu l’immaginifica e profonda favola di Guillermo del Toro, La forma dell’acqua; un ottimo film pieno di poesia e che ci dona una storia d’amore che va al di là di ogni cosa, dove conta solo il sentimento. Capiamo la scelta ma, a differenza del 2014, noi avremmo votato per un altro. E se non si comprende dall’analisi, ve lo esplicitiamo: Dunkirk.

VINCITORE: La forma dell’acqua

IL NOSTRO VINCITORE: Dunkirk

Oscar 2019

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Viggo Mortensen e Mahershala Ali in Green Book

Per chi l’ha creato e per l’Academy che l’ha votato, Green Book avrebbe dovuto essere una sorta di A spasso con Daisy al contrario rivelando così di non essere un gruppo di privilegiati bianchi. In realtà, l’ha confermato con una storia superficiale e in cui non è nemmeno stata consultata la famiglia di Don Shirley, mentre la sceneggiatura è stata scritta dal figlio del vero Lip, Nick Vallelonga, basandola sulle interviste del padre. E la cosa peggiora perché, se volevano premiare un film “black”, c’era il glorioso ritorno di Spike Lee con Blackkklansman; pellicola elegante, ben realizzata, con un ottimo equilibrio tra politica e commedia ed eccezionali interpretazioni. Oppure, sempre sulle stesse tematiche, c’era Black Panther, anche se la sua vittoria era quotata meno di zero.

Nella lista dei candidati c’erano decisamente film più meritevoli di Green Book, oltre ai già citati. Parliamo dell’emozionante, umano e scenograficamente bellissimo Roma di Alfonso Cuaron e, soprattutto, de La favorita di Yorgos Lanthimos; un’opera che ribalta le regole del period drama attraverso una comedy sovversiva, oscura, grottesca, selvaggia e tre interpretazioni femminili incredibili. Certo, con Povere Creature! si è di nuovo superato, ma il nostro voto sarebbe andato comunque a La favorita.

VINCITORE: Green Book

IL NOSTRO VINCITORE: La favorita

Oscar 2020

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I protagonisti di Parasite

Quell’anno erano in concorso ottimi film quali 1917, C’era una volta a…Hollywood, The Irishman, Jojo Rabbit, Joker, Le Mans ’66 – La grande sfida, Piccole donne e Storia di un matrimonio. Ma sul vincitore, stavolta, non abbiamo niente da dire perché Parasite è una delle pellicole più meritevoli in assoluto dell’Oscar al miglior film. E non è solo un fatto storico, dato che è la prima pellicola in lingua non-inglese a vincerlo.

Bong Joon-Ho è riuscito a far candidare una genere che solitamente non viene considerato dall’Academy. Infatti, Parasite è un oscuro thriller intriso di satira sociale, con battute slapstick, cruda violenza e un finale dolorosamente sconvolgente. Ma nemmeno l’Academy poteva negarne l’intelligenza, l’ingegnosità, la vitalità e l’ironia; è intimo e contemporaneamente universale perché quella Corea del Sud non è altro che lo specchio di ogni società; è radicato nella modernità ma anche senza tempo; è originale, teso e avvincente senza diventare didascalico o morale. D’altronde, non rivela se i “parassiti” del titolo sono i ricchi Park o i poveri Kim, ma costruisce un mondo riconoscibile in cui nessuno è mai contento di quel che ha, volendo raggiungere un ideale di vita irrealizzabile.

VINCITORE: Parasite

IL NOSTRO VINCITORE: Parasite

Oscar 2021

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Frances McDormand in Nomadland

L’edizione del 2021 è stata particolare e sottotono a causa della pandemia da COVID-19. A trionfare è stato Nomadland e, in fondo, ne capiamo il perché. Chloe Zhao crea un meraviglioso equilibro tra contenuto e forma attraverso un approccio naturalistico e documentaristico, cosa che contribuisce ad alimentare l’empatia verso i personaggi. È un film su coloro che la società tende a dimenticare, li mette in luce e scava in essi per comprenderli in profondità. Ne emergono le angosce e i dolori, ma anche la bellezza con cui vivono e guardano il mondo. Estremamente intimo, umano e senza un singolo dettaglio fuori posto, è un’istantanea sull’America moderna e, soprattutto, è la storia di una donna. Non una madre, non una moglie, non una musa o qualcuno che deve essere guidato da uomini che, invece, sono definiti da lei.

Ha meritato l’Oscar al miglior film? Sì, senz’altro. Nonostante buoni sfidanti come Una donna promettente, Sound of Metal, Il processo ai Chicago 7, Judas and the Black Messiah, Mank, Minari e The Father – Nulla è come sembra. Quest’ultimo è quello che colpisce di più; la superba regia e l’incredibile scrittura ci portano all’interno della mente del protagonista – un Anthony Hopkins meritatamente premiato – trasformandosi da dramma teatrale a thriller psicologico cinematografico con punte di horror. Florian Zeller gioca con i generi, tocca ogni emozione umana possibile e ci conduce a un finale potentissimo. Però, obiettivamente parlando, le qualità di Nomadland non possono essere negate e per una volta siamo d’accordo con l’Academy.

VINCITORE: Nomadland

IL NOSTRO VINCITORE: Nomadland

Oscar 2022

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Emilia Jones, Troy Kotsur e Marlee Matlin in CODA – I segni del cuore

La corsa per l’Oscar al miglior film era ridotta a due contendenti anche nel 2022 perché lo psicologico La fiera delle illusioni – Nightmare Alley, l’umanissimo Drive My Car, il polarizzante Don’t Look Up, la nostalgia romantica di Licorice Pizza, il classico Una famiglia vincente – King Richard, l’epico Dune, il frizzante West Side Story e il crudo Belfast non avrebbero mai vinto. CODA – I segni del cuore ha sorpreso tutti con la sua vittoria e sì, è una storia dal grande impatto emotivo, dolce, intensa e con un bel messaggio d’inclusione. Però, ancora una volta, non concordiamo con l’Academy. E non solo noi, dato che viene additato come uno dei peggiori vincitori di sempre.

Il potere del cane è una pellicola più oscura e complessa; un western che, in realtà, è uno psicodramma, una storia d’amore mascherata da storia di odio, una vetrina per gli attori e un fiore all’occhiello tecnico. È uno studio sulla mascolinità nella sua forma più tossica ambientato negli ultimi giorni del Vecchio West; esplora il modo in cui machismo, negazione e violenza si uniscono e, a causa di ciò, molte vite vengono distrutte. Ed è lui che si sarebbe meritato la statuetta. Seguito a ruota da Licorice Pizza e Drive My Car.

VINCITORE: CODA – I segni del cuore

IL NOSTRO VINCITORE: Il potere del cane

Oscar 2023

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I protagonisti di The Fabelmans

Anno interessante il 2023, con dei bei contendenti al trono più prestigioso: da Niente di nuovo sul fronte occidentale a Gli spiriti dell’isola, da Elvis a TAR (con una strepitosa Cate Blanchett che si sarebbe meritata l’Oscar), passando per l’irriverente Triangle of Sadness e i meno gettonati alla vittoria Women Talking – Il diritto di scegliere, Top Gun: Maverick e Avatar 2. C’era un netto favorito, però, che ha spazzato via la concorrenza. Everything Everywhere All At Once è innovativo nel suo mixare cinema popolare e d’autore, nel contaminare fantascienza con generi quali l’horror, l’action, il fantasy, il grottesco e la dramedy. Non perde mai il focus sui personaggi nonostante i momenti surreali e la spettacolarizzazione della storia; è emozionante e pieno di ottime performance.

Nessuno nega le sue qualità. Ma l’Oscar al miglior film l’avrebbe dovuto conquistare The Fabelmans. Spielberg si mette a nudo narrando attraverso Sam Fabelman il suo amore per il cinema, quella sua infanzia piena di zone d’ombra che ha sempre rappresentato nei suoi film, l’importanza di quei genitori a cui dedica l’opera. Al di là della superba regia e degli ottimi interpreti, è un’emozionante e profondo omaggio alla settima arte che l’ha salvato e gli ha permesso di mostrare la sua verità. Per quanto malinconica e dolorosa possa essere. Dimostrando che, in fondo:

I film sono sogni che non dimentichiamo“.

E questa è la forza del cinema; questo è il Cinema con la C maiuscola.

VINCITORE: Everything Everywhere all at Once

IL NOSTRO VINCITORE: The Fabelmans