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Il film della settimana: Panic Room

Panic Room
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Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Panic Room.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Panic Room? Ecco la risposta senza spoiler

Disponibile su Sky, NOW e Timvision (a noleggio su Amazon Prime Video e Apple Tv), Panic Room vede Meg Altaman trasferirsi con la figlia diabetica Sarah in un’elegante casa a New York, in seguito al divorzio col marito. La prima notte nella nuova residenza, però, si trasforma in un incubo a causa dell’irruzione di tre delinquenti, entrati nell’abitazione per cercare un vero e proprio tesoro, credendola ancora disabitata. Le due donne riescono a rinchiudersi nella panic room (che tradotto è “stanza antipanico”), luogo che dovrebbe rappresentare la loro salvezza. Peccato che in proprio quella stanza blindata contenente tutto l’occorrente per poter sopravvivere (come cibo, videosorveglianza e telefono) è nascosta la grossa somma di denaro che i malviventi sono venuti a rubare, trasformando quel bunker in una trappola mortale e facendoci chiedere: riusciranno le due a salvarsi?

Tra i titoli più sottovalutati di David Fincher, Panic Room è un thriller ad alta tensione che ridefinisce i confini del cosiddetto filone dell’home invasion grazie all’ottima sceneggiatura di David Koepp: bilancia magnificamente il dramma della storia con la suspense della situazione e, senza mai far rallentare niente, introduce temi importanti e pone l’attenzione sui momenti di tensione tramite la creazione di plot twist inaspettati. Allo stesso tempo, Fincher è abilissimo alla regia, soprattutto nell’intelligente uso degli effetti computerizzati per gestire quell’ambientazione che crea fin da subito in noi un senso di claustrofobia. Jodie Foster non era la prima scelta per Meg, eppure risulta perfetta nelle vesti di una madre intenta a tutto per proteggere la figlia. Nonostante anche gli altri attori siano perfetti nei loro ruoli (citiamo una giovane Kristen Stewart, Jared Leto e Forest Whitaker), è lei a trasportarci in un vortice di tensione e paura che ci mette un po’ ad andarsene dopo la visione del film.

Fincher, per sua stessa ammissione, si dedica all’intrattenimento puro, ma lo riempie di riflessioni profonde sulla forza delle donne, sulla tecnologia di videosorveglianza sempre più pervasiva, sulle complicazioni dell’adolescenza e del diabete. Invecchiato benissimo, ve lo andremo a recensire nella seconda parte del pezzo, mostrandovi perché è un film da scoprire o riscoprire su Sky, NOW o TimVision.

SECONDA PARTE: La recensione (con spoiler) di Panic Room

Panic Room
Un scena del film su Sky, NOW e TimVision

Agli inizi degli anni 2000 negli USA scoppiò questa moda delle stanze antipanico, vere e proprie camere blindate piene di sofisticati sistemi di sicurezza e del necessario per vivere, costruite all’interno di case appartenenti a persone facoltose per consentire loro di nascondersi da vari tipi di minacce come rapine, effrazioni, fenomeni atmosferici estremi e via dicendo. Ed è proprio da qui che David Koepp e David Fincher partirono per realizzare Panic Room; in fondo, se ci pensiamo bene, è l’ambientazione ideale per un film ad alta tensione. Bastano già i titoli di testa, in cui i nomi di attori e crew emergono tra i palazzi di una cupa New York per poi confondersi di nuovo con essi, per immergerci nell’atmosfera di inquietudine, di restrizione e di tensione che pervaderà tutta la pellicola. La città è mostrata dall’alto, in tutta la sua bellezza, ma la sensazione che proviamo è quella di sentirci intrappolati tra quei grattacieli, come fossimo sospesi su un filo che li collega. È un po’ la stessa angosciosa sensazione che vediamo in Meg e Sarah, rinchiuse all’interno di una camera che, allo stesso tempo, è rifugio sicuro e prigione invalicabile.

Parlando proprio delle due protagoniste, non può non rimanere impressa l’intensa interpretazione di Jodie Foster.

E pensare che a ricoprire il ruolo di Meg avrebbe dovuto essere Nicole Kidman, ma i postumi di un infortunio al ginocchio avvenuto sul set di Moulin Rouge! la costrinsero ad abbandonare il film di Fincher a circa 20 giorni dall’inizio delle riprese. Kidman che, tra parentesi, fece comunque un cameo nel film: è la voce della fidanzata di Stephen, ex marito di Meg, che sentiamo al telefono. Con il cambio dell’attrice, è cambiato anche il personaggio, il suo senso e il tono generale dell’opera. Kidman sarebbe risultata la classica eroina alla Hitchcock in stile Grace Kelly (e lo dimostra in pellicole come The Others); il che era probabilmente l’obiettivo di Fincher, date le sue parole:

Il mio stile? Nasce dalla passione per Alfred Hitchcock. Avrò visto sessanta volte La finestra sul cortile.”

Foster, invece, ci regala un’eroina più fisica, più adrenalinica, più muscolare, ma anche psicologia e decisamente magnetica. Lo vediamo nella sua atleticità ma in particolare nei suoi taglienti sguardi in macchina, i cui occhi blu rivolti verso l’obiettivo riecheggiano quelli di uno dei suoi personaggi più noti, ovvero la Clarice Sterling de Il silenzio degli innocenti. Ed è in grado di riempire il film, la scena o la singola inquadratura grazie alla sua carismatica presenza. A rendere poi tutto ancor più incredibile è il poco tempo a disposizione per prepararsi, ossia solo nove giorni. Senza contare che lei madre ci stava per diventare, dato che durante le riprese era incinta. Il che ci porta a parlare della sua figlia in Panic Room.

Kristen Stewart e Jodie Foster nel film su Sky, NOW e TimVision

Sarah è una ragazzina ribelle, dall’animo punk, con un taglio di capelli asimmetrico che avremmo rivisto parecchie volte negli anni successivi. E cresce assieme alla sua interprete, Kristen Stewart: pensiamo solo che, all’inizio, era più bassa di Foster ma, alla fine delle riprese, era più alta di lei. La sceneggiatura aiuta tantissimo la giovane, dato che ritrae Sarah non tanto come una bambina da salvare, quanto come fondamentale aiuto per sua madre, in grado di supportarla psicologicamente mostrando un insolito sangue freddo per la sua età e di aiutarla concretamente nel combattere i rapinatori, come quando le suggerisce che cosa dire o fare. La scena della crisi per il bisogno d’insulina, poi, è impattante nel film e dimostra il talento di Stewart, perché in questo caso si recita non solo con le parole, ma anche con il corpo.

Sebbene i tre ladri siano stati considerati in molte recensioni piuttosto stereotipati, in realtà sono ben caratterizzati. A spiccare tra loro è qualcuno che all’epoca non era ancora così famoso e che torna a lavorare insieme a Fincher dopo Fight Club. Jared Leto, con quelle treccine, il suo carisma istrionico e le già evidenti capacità trasformistiche, non passa inosservato con il suo Junior, che rappresenta la scheggia impazzita, colui che incarna la violenza e con il quale non si può trattare.

A mettere in risalto i ladri, le protagoniste e, contemporaneamente, creare loro diversi e imprevedibili ostacoli in Panic Room, ci pensa la sceneggiatura di David Koepp.

Stesa la prima bozza in soli sei giorni e ispirata in un certo senso a Gli occhi della notte con Audrey Hepburn e Alan Arkin, Koepp crea un equilibrio perfetto tra dramma e suspense e dimostra come il diavolo sia nei dettagli, riuscendo attraverso essi a rendere ancor più efficace Panic Room: ad esempio, il mostrarci la stanza antipanico solo alla fine del tour della casa all’inizio del film; nel farci credere della sicurezza totale del bunker, per poi rivelare che la linea telefonica privata è disattiva; oppure nel recupero di un cellulare in extremis e nella speranza di poter chiedere aiuto, salvo poi mostrare come lì dentro non ci sia campo.

Panic Room
Jared Leto e Forest Whitaker nel film su Sky, NOW e TimVision

Ma la ragione primaria per cui questo film funziona ha un nome e un cognome: David Fincher.

È un vero e proprio maestro del thriller contemporaneo e i cui film sono sempre attesissimi (come l’ultimo uscito su Netflix, ovvero The Killer). Il suo tocco è perfettamente visibile, soprattutto in alcuni sublimi movimenti di macchina. Un esempio è proprio all’inizio: la camera scende dalla stanza di Meg fino al piano terra in cui vediamo l’irruzione dei ladri. Ciò serve a farci capire quanto quegli uomini si stiano avvicinando alle protagoniste ancora ignare. Questo è il classico modo con cui si crea suspense al cinema, come faceva Hitchcock: quando sappiamo quello che sta succedendo, la scena viene vissuta da noi con ancor più tensione. Assieme a questo espediente, Fincher usa egregiamente anche quello del rallenty, in particolare nella scena del cellulare. Anche qui, c’è uno scopo ben preciso, ovvero farci comprendere quanto ogni secondo sia fondamentale per la sopravvivenza. Nonostante l’uso innovativo di effetti speciali anche per creare continuità tra i piani di casa e gli eventi, Fincher ha cercato di renderlo un film realistico. In alcune sequenze, girate senza aiuti di alcun tipo, gli attori si sono pure procurati alcune lievi ferite. Inoltre, l’appartamento è stato ricostruito a Los Angeles, mentre la stanza antipanico è modellata su diversi modelli realmente esistenti.

Fincher e Koepp, così, danno vita a una partita a scacchi intensa e incerta tra inquiline e ladri, riuscendo allo stesso tempo ad ampliare il racconto attraverso la riflessione su diverse tematiche. C’è la ricerca ossessiva di sicurezza in una Nazione dove niente pare più sicuro (ricordiamoci che è uscito a marzo 2002 e girato nel 2001, anno dell’attentato alle Torri Gemelle), fino alla creazione di stanze che, però, possono diventare un’autentica prigione, come nel caso delle protagoniste di Panic Room. C’è un sottotesto sociale e politico, che riflette sull’eccessivo uso di tecnologia e su alcune politiche isolazionistiche che fanno più male che bene. C’è il femminismo di Meg e Sarah, donne abituate a prendersi cura di sé stesse senza l’aiuto di un uomo, qui tramutato nel pericolo da affrontare. Meg e Sarah battono i ladri grazie alla loro astuzia, superando lo stereotipo della damigella in pericolo ed ergendosi a simbolo dell’indipendenza femminile.

Ecco perché Panic Room ha messo d’accordo noi e la critica. Invecchiato divinamente, è riuscito a unire una grandissima regia, una sceneggiatura sublime e un cast perfetto, creando quella tensione hitchockiana tale da tenerci incollati allo schermo senza che noi riusciamo davvero a capire che cosa succederà nella prossima scena. Un po’ come accadde a quel capolavoro di The Prestige di Christopher Nolan, la sfortuna più grande di quest’opera è di essere uscita tra i bellissimi e ben più noti Fight Club e Zodiac, portandolo così a essere sottovalutato, se non dimenticato. Motivo per cui riguardarlo (su Sky, NOW e TimVision), riscoprirlo e ricordarlo è dovere di tutti noi cinefili, non credete?

Il film della scorsa settimana: The Wrestler