«Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare» (Sigmund Freud).
Pearl (2022) è il secondo capitolo della trilogia X diretta e co-sceneggiata da Ti West, e rappresenta il prequel del precedente X – A Sexy Horror Story (2022) e avrà infine un sequel, MaXXXine (2024). La casa di produzione A24 è nota per la ricerca e l’esplorazione nei generi, e senza dubbio l’horror è uno di quelli analizzati maggiormente. Pearl, grazie all’incredibile interpretazione di Mia Goth, è senza dubbio un horror per l’orrore che decide di mostrare, ma ha qualcosa in più, qualcosa che rimane, qualcosa che rende l’esperienza cinematografica più disturbante. Attraverso un continuo gioco di contrapposizioni visive e psicologiche, infatti, Pearl è un ottimo esempio di ciò di cui il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, parlava nel 1919: il perturbante.
Ma prima di tutto, chi è Pearl?
Pearl è una giovane donna che, nel 1918, vive in una fattoria del Texas in compagnia della severa madre e del gravemente malato padre. Il suo sogno, però, è quello di diventare una star del cinema: il cinema come ispirazione, come via di fuga, come veicolo per essere amata da tutti. È questo che dice di volere la ragazza: tutti la devono vedere, tutti la devono amare per il suo talento. Ma le cose non stanno proprio così. O meglio: le sue parole non sono la verità di una donna sana. Sono la verità di una persona malata, disturbata, crudele, della custode di una oscurità di cui è a conoscenza ma non ha ancora compreso a pieno. Questo è Pearl: la scoperta della protagonista del Male che è dentro di lei.
La scena iniziale del film può esserne la perfetta etichetta: scorrono i titoli di testa nel classico font della Hollywood degli anni ’20 e ’30, con in sottofondo musica del cinema di quei tempi, e la giovane Pearl danza in compagnia degli animali della fattoria nella stalla. Presto, però, ci si renderà conto che c’è qualcosa che non va: la musica via via svanisce, l’atteggiamento di Pearl cambia. Una grossa oca fa il suo ingresso nella stalla e Pearl sembra d’un tratto seria, concentrata, cambia il suo atteggiamento di potere verso il mondo. Quell’oca deve morire e infatti viene infilzata dalla ragazza con un forcone. Lo spettatore si chiede se magari l’avesse fatto perché quell’oca sarà la cena della famiglia, si cerca in ogni modo un senso a un atto così improvvisamente crudele. Niente di tutto ciò: il cadavere del volatile viene dato in pasto al coccodrillo presente nel lago vicino alla fattoria. Fine.
Questa scena appena descritta è il primo esempio di cosa si intende con perturbante. Una ragazza graziosa, molto giovane, intenta a danzare è la stessa persona che trucida un’oca senza ragione. Bisogna guardare, pertanto, all’etimologia della parola tedesca che viene in italiano tradotta con perturbante.
Unheimlich: “un” è la negazione, traducibile come “non“; “heimlich” significa attinente alla casa, al conosciuto, al familiare. “Non familiare” potrebbe essere una traduzione letterale. Ma che significa e soprattutto cosa voleva dire Freud con questa espressione? Andando a fondo, si può definire unheimlich ciò che dovrebbe essere familiare, dovrebbe essere noto e conosciuto, ma in realtà non lo è. È estraneo. La violenza, il sadismo, la cattiveria non sono cose che normalmente la nostra psiche si aspetterebbe da un altro essere umano, a maggior ragione da una giovane donna apparentemente innocente: questi comportamenti dovrebbero essere estranei a lei. Eppure ci sono, e arrivano allo spettatore, che ne resta perturbato. Interdetto. Confuso, quasi.
Il dualismo interpretativo rappresentato dall’unheimlich vive pienamente in Pearl anche dal punto di vista dell’empatia nei confronti delle ragioni della protagonista. Anche in questo caso, tuttavia, l’abilità del regista (e della stessa Goth, co-sceneggiatrice della pellicola) è quella di giocare sapientemente sulle contraddizioni visive e non: si pensi al regime duro e crudele che la madre impone a Pearl, rispetto al quale uno dei tanti litigi finisce in tragedia. Il matricidio prima e il parricidio dopo sono i due atti contro natura per eccellenza, e la presa di coscienza da parte di Pearl di averli commessi è forse più potente e incisiva del fatto in sé. Le resta, dopo l’illusione amorosa con il proiezionista del cinema di paese anch’essa finita con il brutale omicidio dell’uomo, solo il sogno del cinema e della danza: l’audizione presso la chiesa è inaspettatamente straziante per l’esito strappalacrime che offre, in quanto si coglie pienamente la disperazione della ragazza nel prendere atto che l’unica cosa che (forse) avrebbe potuto salvarla dall’oscurità crescente dentro di lei si frantuma davanti a un “non sei abbastanza bionda per la parte“.
La climax del film è, quindi, l’incredibile monologo interpretato dalla Goth, che spiega tutte le follie di Pearl: tutto ciò che prova, l’ultimo barlume di lucidità prima della discesa nella follia, non più frenata da niente. La dolce ragazzina – in un montaggio magistralmente eseguito – fa a pezzi la cognata, rea di aver ottenuto la parte al posto suo, riesuma i cadaveri dei genitori e li pone a tavola, in un macabro pranzo accompagnato da abbondante cibo marcio e pieno di vermi. Howard, suo marito, torna dalla guerra e trova questo delirio: la ragazza non può che accoglierlo con uno dei sorrisi più perturbanti di sempre.
Non familiare, eppure così familiare. Nascosto, ma in realtà così svelato. L’orrore è sempre stato lì, in attesa dell’occasione per trionfare. Comincia così la storia della serial killer Pearl che ha in X: A Sexy Horror Story la sua fine.
Lì la vecchia Pearl, 60 anni dopo, è “solo” inquietante: disturba senza confondere. È un’anziana disturbata da cui chiunque si guarderebbe. Nessuno invece si guarderebbe dalla piccola ragazza di fattoria, dai lineamenti così delicati: dovrebbe invece. Dovrebbe eccome.
Alessandro Fazio