C’era davvero bisogno di un altro film su Pinocchio? La fiaba scritta da Collodi, universalmente riconosciuta come una delle storie di formazione più belle della letteratura mondiale, è stata adattata in ogni modo possibile nel corso degli anni: dal cartone animato targato Disney alla versione nostrana di Garrone, fino a un discutibilissimo live action con protagonista Tom Hanks nei panni di Geppetto. A sentir parlare, quindi, dell’ennesimo adattamento cinematografico della fiaba, qualche dubbio è più che lecito ma l’interpretazione data da Guillermo del Toro della celeberrima fiaba risulta così assurdamente fresca e nuova da farci assaporare la storia del burattino più famoso al mondo sotto una luce molto diversa.
Già dai primissimi minuti è palese come il film in stop motion proposto dal regista messicano sia una versione molto personale e piena di libertà creative. Libertà di fronte alle quali il pubblico ha preso posizioni nettamente agli antipodi. Tra chi ha elogiato la trasposizione e i suoi numerosi cambiamenti rispetto all’opera originale e chi, invece, ha quasi urlato al sacrilegio letterario scambiando la volontà di del Toro di parlare di ciò che conosce per autocelebrazione fine a se stessa.
La domanda che ci poniamo oggi, al di là del gusto personale, è: questo nuovo Pinocchio prodotto da Netflix possa essere considerato a pieno titolo un’opera firmata da del Toro o semplicemente una pellicola “acchiappa like”?
Dopo aver perso il proprio bambino, un disperato Geppetto intaglia un pezzo di legno dandogli sembianze umane e desiderando che possa prendere vita. Il desiderio dell’uomo si realizza quando, quella stessa sera, un essere misterioso e surreale (lontano anni luce dalla bellezza eterea della Fata Turchina e vicino invece, per sembianze, al fauno di un film del regista) infonde di vita il pezzo di legno e gli dà nome Pinocchio. In una Italia fascista, Pinocchio si trova ben presto alle prese con situazioni similari a quelle della fiaba – come il teatro di burattini o la balena – e con altre che sono invece create su misura – la scuola militare, l’incontro con il Duce.
Se il lato storico è di certo un elemento innovativo e molto presente in questo Pinocchio, non manca nemmeno una componente grottesca e fantastica, esemplificata dalle figure dello Spirito del Bosco e della Morte (doppiate in originale da Tilda Swinton). Il fantasy, protagonista nelle storie del regista, è sempre di carattere oscuro, molto legato al folklore e a un generale senso di angoscia e paura di fronte a ciò che non si conosce. Da sempre affascinato dai mostri, Guillermo del Toro non ha mai nascosto di sentirsi particolarmente legato a queste figure e, per tale motivo, di averli resi i personaggi principali delle sue storie: siano essi creature della foresta come i fauni o “mostri” nell’animo come il protagonista di Nightmare Alley.
Anche in Pinocchio è presente questa duplice interpretazione.
Se da un lato sono presenti esseri misteriosi, legati a un mondo altro, dall’altro possono risultare ancor più mostruosi gli uomini che cercano di sfruttare l’ingenuità di Pinocchio. Come già avvenuto in Il Labirinto del Fauno, del Toro inserisce una storia fantastica all’interno di una cornice storica ben precisa e alla quale tiene particolarmente. Se la prima pellicola si inserisce nel contesto della guerra civile spagnola e delle atrocità commessa dai seguaci di Franco, qui la parola viene lasciata all’insensatezza del fascismo e del suo Duce, tratteggiato con ironia tagliente.
Altro tema importante e caro a del Toro è quello dell’oltretomba, in questo caso regista riprende la parte più oscura della fiaba e la rende ancora più dark. Stiamo parlando della sezione dedicata alla morte di Pinocchio, del funerale e della processione di conigli che, forse, non tutti conosceranno perché nella versione di Disney non viene fatto alcun riferimento. In realtà, si tratta di una delle parti più importanti della fiaba dove il burattino riceve una delle lezioni più costruttive. Del Toro ripropone i conigli come piccoli burocrati pelosi al servizio della Morte, essere gemello dello Spirito dei Boschi ma dall’indole meno empatica.
Il tema della perdita è ciò che tiene insieme la storia, dalla morte del figlio di Geppetto fino a quel finale dolceamaro che parla al cuore di tutti. La morte è un concetto tanto naturale quanto difficile da accettare, rifuggito nelle nostre vite fino all’ultimo istante anche quando – cosa che capita con raccapricciante frequenza ormai – veniamo bombardati di notizie del genere ogni giorno sui social e in tv. Del Toro riesce, ancora una volta, ad affrontare il tema con delicatezza e con quello sguardo un po’ stralunato rende il tema della morte decisamente meno spaventoso e più magico.
Ogni “morte” per Pinocchio diventa una piccola lezione, una pausa nello scorrere della clessidra che permette al burattino di crescere e, infine, scegliere l’umanità. Perché è proprio la mortalità umana, nella sua caduca e straordinaria essenza, a rendere la nostra vita non solo banalmente preziosa ma carica di scelte, di possibilità, di sogni e di speranze che vanno vissuti come unici e insostituibili. Alla domanda con cui abbiamo intitolato questo articolo, non possiamo quindi che rispondere: assolutamente si!