ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su Quando, il film di Walter Veltroni disponibile su Sky!
La parola “quando” congiunge proposizioni temporali diverse, distanti. Individua un momento preciso e definito, fornisce indicazioni su giorni, ore, mesi, anni, epoche storiche, attimi andati. Ma se usata come avverbio, la parola quando suggerisce pure domande, sollecita risposte, interpella il dubbio. Il quando di Walter Veltroni è una domanda aperta. Ci lascia degli indizi cronologici, dati anagrafici e post-it sulla grande linea del tempo, ma poi si interroga su un intervallo indefinito e ci invita a considerare che la Storia non è tanto circolare, quanto piuttosto una lunga striscia che attraversiamo per brevi tratti, quasi sempre senza incidere sul corso degli eventi. Il film dell’ex sindaco di Roma è stato distribuito nelle sale a marzo 2023 da Vision Distribution. Si tratta del secondo film di finzione del regista, che questa volta utilizza come soggetto un suo romanzo uscito nel 2017, riadattato qui in versione cinematografica. Parla di sospensione e risveglio, di coscienze addormentate e anime assopite, provando a sintetizzare la differenza sottile tra le due cose. Quando parla di un “c’era una volta” che oggi non c’è più. Di un sogno andato, rammendato. Di quei piccoli cofanetti lasciati a prender polvere sulla mensola, in un angolo dimenticato della casa. È un racconto che si svolge in dormiveglia, tra fase rem e piccoli scossoni che riportano al presente. È rassegnato, ma mai rinunciatario. Elegiaco più che malinconico. Sconsolato, amareggiato, abbattuto, ma non triste. Al contrario: c’è una vena allegra che accompagna le scene fino ai titoli di coda, un leggero sottofondo di buonumore, una contentezza innocente, quasi bambina.
Non è un film nostalgico, anche se forse avrebbe voluto esserlo, almeno un tantino.
La nostalgia è solo simbolica, metaforica, non prende consistenza, non è carne che brucia. È un accompagnamento tenue, delicato, forse solo un po’ pallido. Dove finisce il sogno e inizia la veglia? Dove si arena il passato e piomba il presente? La storia raccontata da Veltroni tiene insieme due lembi di un’unica, gigantesca vicenda umana: la nostra. L’angolo di visuale è spostato però a sinistra, quella sinistra di cui il regista è stato ed è tutt’oggi uno degli esponenti più noti. Quando è la storia di Giovanni (Neri Marcorè), un ragazzo che durante le manifestazioni per i funerali di Enrico Berlinguer prende una botta in testa e finisce in coma per trentuno anni. Al suo risveglio, qualcosa è cambiato. Il mondo è cambiato. Non esiste più il PCI, il Muro di Berlino è crollato, l’Unione sovietica si è disciolta, la Prima Repubblica è morta e sepolta, i giocatori della Nazionale sono opinionisti in pensione. La lira è un oggetto da collezione, i vecchi caselli autostradali sono automatici, nelle automobili il finestrino si apre senza manovella. Una vita messa in pausa per trent’anni è una vita estranea, una vita altra. Sono troppe le cose che cambiano, da quelle irrilevanti come i QR code sui menù dei ristoranti, a quelle immense come i ghiacciai che si sciolgono e le stagioni che cambiano. Restare ancorati a un 1984 sepolto e dimenticato significa vivere al trapassato, essere alieni su una terra semisconosciuta. La vicenda raccontata da Walter Veltroni ha come sfondo la politica, i mutamenti avvenuti negli ultimi trent’anni. Parte come un’autobiografia personale e diventa un’autobiografia collettiva, che tenta di raccontare ciascuno di noi come italiano catapultato in questi tempi strani e un po’ stranianti. Il fervore politico di un tempo si è perso, i ragazzi sono a proprio agio in un mondo iper tecnologizzato ma vuoto di ideali. Il racconto del risveglio vorrebbe ravvivare una fiamma ormai fioca, ma manca del necessario pathos.
Quando si ferma alla dimensione fiabesca, non va oltre la favola della buonanotte.
Giovanni è il personaggio più innocuamente illuminante, l’unico in grado di tracciare un bilancio dei mutamenti in corso, di darci la misura reale del cambiamento e di quanto questo abbia inciso sulla storia collettiva. Il protagonista di Quando è un dodo, un uccello estinto incapace di volare. Una figura quasi mitica, resa celebre dall’Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. To go the way of the dodo è un modo di dire che possiamo tradurre come “diventare una cosa del passato, desueta”. E Giovanni è un po’ questo: un grosso oggetto misterioso venuto dal passato a ricordare a tutti quel che è stato e che non sarà più. Oltre la dimensione pubblica, c’è ovviamente anche quella privata, fatta di affetti personali, di amori dimenticati, di amicizie troncate, di figlie cresciute senza il supporto di un padre. Il film si serve del trauma del protagonista per raccontare le vite messe in pausa di tutti noi. Siamo tutti uccelli estinti incapaci di volare. Tutti ingombranti, goffi, problematici, con difficoltà ad adattarci. L’operazione di Veltroni non è una stretta al cuore malinconica: Quando parla di qualcosa che non c’è più, ma riesce comunque ad essere ottimista. L’ex segretario del Partito Democratico ha all’attivo più di una decina di lungometraggi, tra documentari e film di fantasia. Dopo C’è tempo, del 2019, questa è la sua seconda prova dietro la macchina da presa di una pellicola di finzione. La sua ideologia politica è ben visibile. Udibile anche, nelle parole del protagonista, nei dialoghi, nelle scelte musicali. Una decina d’anni fa, con Quando c’era Berlinguer, Veltroni aveva provato a raccontare i sogni di quelle generazioni di giovani che, con il segretario del Partito comunista protagonista della scena politica italiana, avevano creduto fermamente in qualcosa. Poi c’è stata l’era dell’adattamento, della rassegnazione, dell’accettazione. Ma Quando non è solo rimpianto del passato. Tra le righe vi si legge un grosso accenno di speranza per un presente meno accesso sotto il profilo delle idee, ma comunque vivo.
Questo film vuole essere il Good Bye Lenin! italiano, meno incisivo e più superficiale. È un film “buono”, idealista, epidermico. Non lascia il sapore del dubbio, non ci ritrova a fare i conti con lo strazio della nostalgia e del ricordo. Accenna e non approfondisce, è gentile ma non penetrante. Abbraccia la semplicità, ma rischia di essere semplicistico. Nel cast, oltre a Neri Marcorè, troviamo anche Valeria Solarino nei panni della suora che assiste Giovanni al suo risveglio, Fabrizio Ciavoni, Ninni Bruschetta, Stefano Fresi (che in una serie live action italiana sui Griffin sarebbe sicuramente Peter), Gian Marco Tognazzi, Massimiliano Bruno (tra le tante cose, anche il Martellone di Boris). Veltroni ha pescato tra vecchie conoscenze e nomi del panorama comico italiano, segno che l’impronta che voleva dare al suo Quando è anche un’impronta ironica, rintracciabile qua e là nelle sequenze del film. Il Quando come domanda lasciata aperta e come punto di partenza è un altro tassello che si aggiunge alla filmografia di Walter Veltroni, che come regista sta diventando sempre più prolifico e maturo. Il film, che era già apparso nelle sale lo scorso marzo, è disponibile ora anche su Sky.