Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piattaforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Ragazze interrotte.
PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Ragazze interrotte? Ecco la risposta senza spoiler.
Disponibile su Netflix (a noleggio su Prime Video, Apple e Chili) e ambientato alla fine degli anni 60, Ragazze interrotte vede come protagonista la giovane Susanna che, a causa dei suoi atteggiamenti considerati promiscui e dopo il suo tentativo di suicidio, viene spedita dai genitori in un ospedale psichiatrico. Lì, dove la maggior parte del film di James Mangold è ambientato, le viene diagnosticato il disturbo borderline della personalità, è curata dalla dura ed empatica infermiera Valerie, conosce e si rapporta con le altre ragazze del suo reparto, ognuna ricoverata per ragioni diverse, dalle quali emerge l’affascinante e crudele Lisa, che si diverte a intimorire le sue compagne. Dal momento del ricovero, Susanna intraprende un percorso che la porta a scavare nelle sue insicurezze e a prendere atto del problema mentale che l’affligge, interrogandosi allo stesso tempo sul vero significato di essere completamente sani.
Mangold infatti tenta di rispondere a una domanda: cosa succede quando viene identificato come folle un atteggiamento che devia da norme sociali che non hanno un reale riscontro nella quotidianità? E lo fa attraverso le sue Ragazze interrotte, in particolare con la Susanna di Winona Ryder e la Lisa di Angelina Jolie (ma alle quali possiamo aggiungere Clea DuVall, Brittany Murphy ed Elisabeth Moss), ma anche con coloro che sono considerati “normali” come Valerie (Whoopie Goldberg), la dottoressa Wick (Vanessa Redgrave) o i genitori della protagonista.
Forte di una vittoria agli Oscar e ai Globe per straordinaria interpretazione di Angelina Jolie, Ragazze Interrotte è un’opera psicodrammatica al femminile, un racconto di formazione, un viaggio di una ragazza alla ricerca di sé stessa, una potente riflessione sulla qualità e sul benessere della vita. Intensa ed emozionante, la complessità dei temi che tratta – affrontati per di più egregiamente – merita il giusto approfondimento nella seconda parte del pezzo. Che vi invitiamo a leggere, una volta visto questo bellissimo e profondo film.
SECONDA PARTE: L’analisi (con spoiler) di Ragazze interrotte
“Sono mai stata matta? Forse sì. O forse è matta la vita. La follia non è essere a pezzi o custodire un oscuro segreto. La follia siete voi o io, amplificati”
L’ultima frase pronunciata da Susanna in Ragazze Interrotte racchiude il senso dell’intero film; quell’indagine nella psiche umana per comprendere che cosa differenzia davvero una persona “normale” da una “pazza”. Quello delle malattie mentali è un tema altamente delicato e complesso, che Mangold analizza approfonditamente attraverso le pazienti nell’istituto, povere donne abbandonate a loro stesse e il cui percorso di crescita è stato bloccato (o meglio, interrotto), impedendoli di esprimere il loro vero io: Daisy nasconde nel cibo la sofferenza di chi è costretta a un atto incestuoso per colpa del padre; Polly è rimasta ancorata allo stadio infantile a causa di un incidente che le ha sfigurato il volto; c’è la bugiarda patologica Georgina e, infine, l’anoressica Janet.
Lo sguardo di Mangold, però, si concentra soprattutto su Lisa, Susanna e il loro rapporto.
Il personaggio interpretato magistralmente da Angelina Jolie è il più controverso di tutti. Le viene diagnosticato un disturbo antisociale della personalità, che la porta a essere ribelle, violenta, aggressiva, irresponsabile e a disprezzare le regole che le vengono imposte nell’ospedale – tanto da opporsi al personale sanitario e fuggire spesso da lì – e nella società. Definitasi lei stessa una sociopatica, non prova rimosi né rispetta i sentimenti degli altri, attaccando ripetutamente e senza empatia alcuna le altre pazienti e nascondendosi dietro la maschera dell’onestà.
Eppure, attraverso di lei, il film solleva un dubbio importantissimo sull’ambiguità di alcune diagnosi, dalle quali emergono le discriminazioni di una società moralista e bigotta, che mette ai margini coloro che vuole screditare (come le donne o gli afroamericani); discriminazioni che poi sono la miccia che innesca lo sviluppo di problematiche psichiche più gravi. Lisa, infatti, ha una personalità che diversi studi psicologici hanno profilato nei grandi leader carismatici. Di conseguenza, se fosse nata maschio, non le sarebbe stato fatto pesare il suo essere spregiudicata, forte e sprezzante; anzi, sarebbe diventata qualcuno che detiene il potere. In più, Lisa subisce una potente oggettificazione, trovandosi cucita addosso un’immagine non sua. Ormai lei è considerata una deviata, l’incarnazione di tutte le pulsioni peccatrici della società, che non vuole mai vedere com’è davvero o si frantumerebbe. E allora non prova nemmeno a riportarla sulla retta via.
È come se il mondo stesse dicendo a Susanna: questa potresti essere tu, ma lo vuoi davvero? Lisa ormai è consapevole che il suo ruolo è quello della cattiva e, come per confermarlo, non perde occasione per esserlo. Il personaggio di Winona Ryder la teme e la ama contemporaneamente, perché sono più simili di quanto non si veda.
L’una l’alter ego dell’altra in Ragazze Interrotte.
All’insicura e depressa Susanna, infatti, le viene diagnosticato un disturbo borderline della personalità: chi ne soffre solitamente è afflitto da un’intensa paura dell’abbandono e del rifiuto, una rabbia immotivata ed estrema, instabilità affettiva, comportamenti autolesionistici o suicidi, disturbo d’identità. Sono persone che vivono le proprie emozioni al limite e, più che a cause neurologiche, sembra che l’influenza dell’ambiente circostante sia determinante per la comparsa di questo disturbo. Il pessimo rapporto che Susanna ha con i suoi genitori, che non l’ascoltano né la capiscono, potrebbe aver influito su tutto ciò. Inoltre, le resta difficile creare relazioni sane con qualcuno. Paradossalmente, le prime che instaura sono con le sue compagne di reparto.
L’amicizia, infatti, è l’altro grande tema dell’opera.
Ragazze interrotte, senza mai cadere nella retorica o nel buonismo, ci mostra come la protagonista comprenda l’importanza di un legame sincero con gli altri, nonostante lo instauri con persone considerate zero dalla società. Anzi, vede in quelle ragazze degli esseri umani di gran lunga migliori di quelli al di fuori di quelle mura, perché hanno molto più da dare di coloro che si ritengono “sani e giusti”. Il suo rapporto con Lisa è fondamentale in questo. Le due, infatti, sono attratte dall’altra: la Susanna di Winona Ryder trova nella Lisa di Angelina Jolie la voglia di vivere e la giustificazione alle sue tendenze autodistruttive, insegnandole che solo loro possono vedere la verità; Lisa a sua volta alimenta il suo charme e la sua leadership attraverso l’appoggio incondizionato di Susanna, che non la mette mai in discussione.
Si instaura tra le due un’amicizia di dipendenza affettiva che Lisa aveva già sperimentato con un’altra paziente, Jaime, che però non aveva retto al suo abbandono e si era uccisa. Inizialmente succede quasi lo stesso a Susanna. Senza il personaggio di Angelina Jolie e non capendo realmente qual è la sua identità, si sente persa e vuota, come se senza di lei, la donna di Winona Ryder non esistesse.
A dare una scossa a Susanna ci pensa il suicidio di Daisy, riuscendo a vedere per la prima volta Lisa per quel che è davvero e riprendendo così il contatto con la realtà. Toccata da uno dei dolori più grandi, comprende il vero significato della vita, smette di negare che ha bisogno di aiuto e solo allora può iniziare la guarigione. Lontana dal personaggio di Angelina Jolie, affronta i suoi demoni invece di alimentarli e, piano piano, scopre che cosa vuole fare in futuro – la scrittrice – e che vuole uscire da lì per vivere finalmente l’esistenza che desidera.
In questo verrà aiutata dall’infermiera Valerie, affezionatissima alle ragazze (ad esempio, quando una delle pazienti torna, le taglia le unghie perché potrebbe ferirsi; oppure mentre Susanna si rade, rimane con lei per la sua incolumità) e fondamentale nel far compiere a Winona Ryder passi importantissimi. Anche la dottoressa Wick è decisiva e, in una delle sedute con la protagonista, vediamo come rimanga sempre calma di fronte alle provocazioni, non giudici e non forzi niente, ma la lasci esprimersi come vuole e le faccia capire che cosa dovrebbe fare per stare meglio. Ed è così che un terapista dovrebbe comportarsi.
Susanna si ricostruisce, a differenza di Lisa che rimane pura distruzione, ed è nel finale che ne abbiamo la conferma in Ragazze Interrotte.
Esasperata dalla vendetta e dal cinismo di Lisa, le grida in faccia la verità che, colpita nel profondo, la fa crollare mostrando la sua fragilità. Perché, e glielo dice apertamente, nessuno l’ha mai curata come stanno facendo con Susanna; è mai andato oltre i suoi comportamenti disturbanti; le ha dato la possibilità di cambiare; semplicemente ha creduto in lei. Si vede tutta la disperazione, l’invidia e la rabbia di chi è stato incasellato in una categoria e non può uscirne. E Susanna sa quanto l’ha ferita, per questo si scusa, le parla, le dà lo smalto e le dimostra che ci tiene a lei. Soprattutto, le dà una voce.
Susanna esce dall’istituto portandosi dietro il buono che ha imparato lì dentro e che le hanno donato, compresa Lisa, pronta per affrontare il mondo. Mettendo su carta la sua esperienza (il film, infatti, è tratto dalle sue memorie), la protagonista di Winona Ryder è riuscita a esternare quel disagio profondo dentro di lei e a mettere in discussione le etichette della società. E allora, Ragazze interrotte suggerisce che l’essere sani forse è semplicemente il coraggio di guardarsi dentro, di capire chi siamo e di andare oltre i limiti nostri, della pressione sociale e dell’ambiente circostante, che non perde un secondo nel puntare il dito contro il diverso. Un messaggio potentissimo, che ancora oggi arriva alle nostre orecchie e ai nostri occhi forte e chiaro.