Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piattaforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Revolutionary Road.
PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Revolutionary Road? Ecco la risposta senza spoiler.
Dopo American Beauty, Sam Mendes torna nei sobborghi americani per regalarci un potentissimo ritratto della vita delle famiglie che ci vivono con Revolutionary Road, fedelissimo all’omonimo romanzo da cui è tratto. Disponibile su NOW e Paramount+ , il film è incentrato su Frank e April, una coppia che ha tutto quello che potrebbero mai volere: una villa, dei figli, il lavoro ben retribuito di lui, l’ammirazione e l’invidia dei vicini che fanno a gara per stare con loro. Eppure, dietro quell’illusoria perfezione e mentre pubblicamente sono troppo impegnati a fingere, si nasconde una verità ben più amara, con i due che lottano per salvare un rapporto logoro ed entrato in crisi profondissima.
Mendes dipinge il naufragio di un matrimonio nell’America conservatrice, moralista e bigotta degli anni ’50, che mira a trasformare i suoi cittadini in perfetti Barbie e Ken e che si camuffa dietro l’inganno del sogno americano. Racconta una storia dolorosa attraverso uno sguardo maturo e asciutto, il realismo della situazione e dialoghi impeccabili. Ma soprattutto, sfrutta la chimica incredibile tra Leonardo DiCaprio e Kate Winslet, che danno vita a personaggi veri, che comunicano con i silenzi, i gesti quasi impercettibili, il corpo: la seconda riesce a trasmettere tutta la sofferenza sobria e composta di April (conquistando un Globe); il primo, come sempre, è perfetto nell’incarnare un ragazzo forse ancora troppo immaturo per le responsabilità della vita adulta. Le reunion con Titanic non finiscono qui (beffardamente, è come se Mendes ci mostrasse la possibile vita di Jack e Rose se lui fosse sopravvissuto; ci svegliasse dalle favole riportandoci alla realtà) perché c’è pure Katy Bathes.
Revolutionary Road non è film romantico facile da digerire; è intensissimo, emotivamente carico e fortemente impattante perché è contemporaneamente un’opera intima e sociale. Non resta che vederlo e, dopo, vi attende la nostra analisi di questo gioiellino fin troppo spesso sottovalutato.
SECONDA PARTE: L’analisi (con spoiler) di Revolutionary Road
In Revolutionary Road April e Frank sognano di fare qualcosa di veramente significativo nella vita. Lei vuole recitare, lui fa lo scaricatore di porto mentre sta ancora cercando la sua strada. Si incontrano a una festa, parlano, ridono, ballano, si prendono gioco di chi vuole solo conformarsi e non pensa in grande. Sessanta secondi in cui vengono mostrate la delicatezza del possibile, l’eccitazione di una promessa, la forza di un amore che può superare ogni cosa. Ma subito Mendes ci riporta alla realtà, con la coppia che litiga furiosamente dopo che la commedia di April fallisce: quello della danza e del combattimento sono le due facce della loro relazione. E tenderanno sempre di più per la seconda, finché anche questa non verrà risucchiata nel baratro del silenzio.
Frank e April incarnano la crisi sociale dell’individuo, facendoci pure riflettere sulla difficoltà di vivere in coppia.
Quando passa il periodo iniziale fatto di illusioni e novità, il velo si squarcia, la realtà prende il sopravvento sulle aspettative, la routine si fissa e l’autenticità viene meno. Succede ai personaggi di Leonardo DiCaprio e Kate Winslet. Apparentemente sono la coppia perfetta, socievole e idolatrata dai vicini, che si ama molto e che ha creato un’incantevole famiglia nella loro bella casa. Ma dietro la maschera, quell’amore bellissimo si è totalmente spento. Nascondono una frattura profondissima, data dall’insoddisfazione e dalla frustrazione di un’esistenza ordinaria e solitaria, non riuscendo più a comprendersi.
Frank svolge ogni giorno un lavoro che lo asfissia, in attesa che arrivi lo straordinario, sfogando il suo malcontento nella relazione con la sua segretaria. Lui, però, è ancora un uomo nella società, mentre April può essere solo madre e moglie, accontentandosi di una vita da casalinga e rinunciando alla recitazione, all’essere donna. E se manca uno dei tre elementi, prima o poi svaniscono anche gli altri sotto il peso dell’incompletezza.
È la società perbenista, benpensante e conformista dai sobborghi americani degli anni 50 che soffoca le loro ambizioni e il loro amore. Divisa tra essere o apparire, distrugge l’emergere dell’individualità di ogni persona, impedendo loro di brillare per quello che sono. Conta soltanto quello che April e Frank hanno e fanno, non la loro essenza. Uscendo dai parametri imposti dalla società, non vengono più riconosciuti perché non ne fanno più parte e vengono bollati come pazzi.
Revolutionary Road ci porta un esempio a proposito con John, il figlio della signora Givings (colei che più di tutti incarna i valori di quella società), marchiato come mentalmente instabile.
Nei tarocchi il matto è colui che cammina verso l’ignoto con un fagotto in cui c’è tutto ciò di cui ha bisogno. È il nemico del consumismo materialista, tipico dell’espansione economica degli anni 50 negli States. Perfetto contraltare della madre, John è l’unico che dice sempre la verità ed April si sente compresa solo da lui. Gli altri non riescono a metabolizzare come Frank possa farsi mantenere dalla moglie, come i due possano lasciare una vita sicura per un futuro incentro, iniziando a guardarli con sospetto e timore. Solo John capisce la ragione della fuga a Parigi (simbolo dell’odio per la loro vita attuale e il desiderio di trovarne una speciale), il voler uscire dagli schemi e il peso di recitare una parte perché costretti da una società che ha già deciso il loro destino.
April e Frank ridono di fronte all’alienazione dei loro amici, ai loro squallidi lavori e false carinerie. Ritrovano la sintonia e la gioia anche dentro le mura domestiche, perché adesso guardano entrambi verso il solito obiettivo. Apparenza e sostanza si ricongiungono come mai prima d’ora. Purtroppo però, le cose belle durano poco e pure l’entusiasmo di John, che smaschera la nostra superficialità, si trasforma in disprezzo quando Leonardo DiCaprio e Kate Winslet tornano sui loro passi.
Emergono, infatti, i veri caratteri dei personaggi di Kate Winslet e Leonardo DiCaprio.
Frank è indeciso se abbracciare il progresso (e quindi farsi mantenere dalla moglie) o continuare a vivere in un mondo vecchio fatto di comportamenti patriarcali – infatti, quasi sembra che voglia essere lui a decidere della gravidanza di April. Non ha davvero il coraggio di cambiare. Non vuole rischiare di scoprire di non essere nessuno, non vuole davvero diventare un uomo con una propria identità. Non sa elaborare le sue emozioni; svaluta costantemente sua moglie, come a volerla rimettere nella sua casella sociale, continuando a chiamare “casa mia” la loro abitazione, non considerando i suoi sacrifici e il suo contributo per mandarla avanti. Usa la gravidanza per impedire il viaggio a Parigi (il dubbio che l’abbia fatto apposta aleggia per tutto Revolutionary Road, finché John non lo dice apertamente), non capendo che April è sull’orlo dell’abisso.
Lui, infatti, può sognare grazie alla sua promozione; ad April questo lusso non è concesso. Non ha mai voluto essere ordinaria; non voleva figli e ha avuto il secondo semplicemente per dimostrare che il primo non era un errore; non voleva la staccionata bianca, lo stile di vita dei sobborghi o il marito venditore. Soffre perché è una donna prima del tempo, non si adatta a un’esistenza con lo stampino e cerca nella creatività un modo per sfogare il malessere interiore e la voglia di emergere.
April è stanca di vivere nell’ombra di Frank e di sguazzare nella tristezza, nella solitudine, nella depressione che quella mostruosa normalità le provoca. Man mano che i suoi sogni cadono, si rende conto di che cosa vuol dire essere donna: lei è un animale in gabbia costretta a seguire regole create da altri, a servire e procreare. E un figlio in più è la sua condanna definitiva.
April, però, non si rassegna in Revolutionary Road, nonostante Frank tradisca tutto quello in cui credono. Ed è qui che si scatenerà la tragedia.
Prima il personaggio di Kate Winslet tocca il fondo concedendosi sessualmente al migliore amico del marito in una macchina che non parte (simbolo, dunque, dell’assurdo), a un uomo-fantasma che la vede come un oggetto da possedere. Quasi come se la donna, andando con un guscio vuoto, si stesse facendo ancor più del male. Ed è pure da questo evento che capisce di dover abortire, indipendentemente dai rischi, perché solo così può uscire dal suo incubo. Ancora una volta, sono le parole di John a smuovere i due. Ne segue quella lite furiosa in cui la coppia si dice tutto quello che avevano taciuto durante il film, muovendosi dentro la loro casa, sporcandola con le loro parole e mostrando le reali differenze di potere tra uomo e donna.
Il giorno dopo Mendes riporta tutto alla normalità, come se la lite non ci fosse mai stata. April, calma e serena, sembra ormai rassegnata. Cucina la colazione, mangia col marito, telefona ai figli, ma è chiaro che queste azioni sanno di testamento. Già da quando ritorna la mattina e non entra in casa, dovevamo comprendere che non è più disposta a fingere. Completamente svuotata dalla disperazione, si chiude in bagno, nella sua straziante solitudine, e abortisce. L’espressione sul suo volto è di sollievo e guarda fuori dalla finestra, verso il suo futuro. Ma la purezza del suo abito bianco viene contaminata dal rosso del sangue, sentenziando così la sua fine. Muore di ambizione, come tante prima di lei che cercavano il loro luogo che forse nemmeno esiste, lasciando il Frank di Leonardo DiCaprio nell’angoscia e nella colpevolezza più profonda.
Ed è straziante come i due divengano solo l’ennesima triste storia da raccontare ai nuovi vicini. Le persone che li idolatravano riducono quella tragedia a una sorta di punizione divina per non aver accettato di uniformarsi. Perché i miti che non servono più, si silenziano per lasciare il posto a quelli nuovi. Del resto, Revolutionary Road è permeato dall’incomunicabilità e dalla distorsione del linguaggio per fingersi ciò che non siamo, per manipolare e conformarci alle aspettative, rifiutando allo stesso tempo l’ascolto dell’altro come per proteggere e confermare le nostre illusioni. Smettono di parlare tutti: April, poi Shemp che prega la moglie di non parlare più di loro, infine il marito della signora Givings che spegne il suo apparecchio acustico. Resta, dunque, solo il silenzio, elemento fondante sia dell’autenticità che dell’impossibilità di comprendere davvero l’altro; resta lo schermo nero che sentenzia la fine di quelle vite mai realizzate.