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Com’è nato Rocky

È sempre interessante scoprire che cosa si cela dietro un film, com’è stato creato e le sue origini, a maggior ragione se si parla di quelle opere cinematografiche che hanno segnato la settima arte. Una come Rocky, il frutto dell’immaginazione di un Sylvester Stallone che, per quanto credesse fortemente nel suo progetto, forse non pensava nemmeno lui che sarebbe diventato qualcosa di così grande. Già, perché nei primi anni ’70 non se la cavava molto bene. Otteneva sempre piccoli ruoli per il cinema che, però, non gli consentivano di vivere un’esistenza tranquilla. Molte erano le porte in faccia che riceveva, con agenti e registi che gli consigliavano di cambiare sogno, perché non l’avrebbe mai realizzato. Mentre provava a fare altri lavori qua e là, come il pizzaiolo, il guardiano dello zoo e l’usciere di un teatro, la sua situazione economica era pessima. Lui e la prima moglie erano completamente al verde, faticavano a mangiare e, non potendo sfamare il cane, Stallone dovette venderlo in quello che fu il momento più brutto della sua vita.

Per un periodo visse anche come senzatetto, finché non arrivò il giorno in cui tutto cambiò. Quello che lo ispirò a scrivere Rocky.

Il 24 marzo 1975 Stallone vide l’incontro di pugilato che si disputò tra Muhammad Alì e il semisconosciuto Chuck Wepner. Sebbene alla fine a spuntarla fu il campione, il match è entrato nella storia di questo sport per la resistenza di Wepner. Nonostante ricevesse durissimi colpi da Alì, rimase in piedi e continuò a lottare fino ad arrivare al 15esimo e ultimo round, dove subì un K.O., quando tutti avrebbero scommesso in una sua sconfitta non più tardi del terzo round. Non solo, Wepner mise davvero in difficoltà Alì, tanto da atterrarlo incredibilmente durante la nona ripresa.

La tenacia di Wepner colpì così profondamente Stallone che decise di scrivere una sceneggiatura dal punto di vista dello sconosciuto sfidante che riesce a impensierire seriamente il grande campione, in una sorta di Davide contro Golia al quale lavorò ininterrottamente per tre giorni consecutivi.

Rocky

Wepner, però, non fu la sua unica ispirazione. Di origini italiane, sebbene il suo cognome derivi da una località spagnola, Rocky Balboa prende il nome dal pugile italoamericano Rocky Marciano, nato Rocco Marchegiano. Quest’ultimo detenne il titolo dei pesi massimi dal 1952 al 1956 ed è l’unico nella storia a non aver mai perso durante la sua carriera. Inoltre, Stallone dà al suo personaggio lo pseudonimo di The Italian Stallion, che lui stesso si era scelto in Porno Proibito, film softporn a cui aveva partecipato perché aveva bisogno di soldi dopo esser stato sfrattato dal suo appartamento.

Così, ora che aveva la sceneggiatura, non doveva far altro che presentarla a qualcuno di importante.

L’occasione arrivò durante un’audizione per un altro film, con i produttori Irwin Winkler e Robert Chartoff. Mentre stava per uscire dalla stanza dopo aver fatto il provino, rivelò ai due di essere anche uno sceneggiatore e li convinse a leggere Rocky. I produttori rimasero colpiti dalla sceneggiatura di Stallone, arrivando a offrirgli circa 350.000 dollari per i diritti. Una cifra mastodontica, considerando che al tempo l’attore aveva 106 dollari in banca e ne guadagnava 36 a settimana come usciere. Però, si rifiutò di vendere a meno che non avesse interpretato Rocky, cosa che Chartoff e Winkler dovettero accettare anche se avevano già pensato a star consolidate come Robert Redford, Ryan O’Neal, Burt Reynolds o James Caan. Senza attori di quel calibro, la casa di produzione stanziò per il film soltanto un milione di euro, facendo firmare un accordo ai produttori in cui, qualora si sforasse il budget, sarebbero stati loro a dover tirare fuori i soldi di tasca propria. Per i 100.000 euro in più che servirono alla fine, infatti, ipotecarono le loro case.

Parlando dei casting, Talia Shire – che altri non è che la sorella minore di Francis Ford Coppola – piacque subito a Stallone nel ruolo di Adriana, tanto da battere la concorrenza di Susan Sarandon (giudicata troppo carina) e l’idea Cher. Lei accettò di buon grado la parte, pur con una bassa paga, anche per liberarsi dall’ombra del fratellone e per interpretare un ruolo diverso dai soliti. La timidezza di Adriana, oltre che alla bravura dell’attrice, è dovuta all’influenza che colpì Shire durante le riprese. Ad esempio, era riluttante a baciarlo proprio perché aveva paura di contagiarlo.

Durante il provino di Carl Weathers per Apollo Creed, improvvisò un combattimento con Stallone, colpendolo accidentalmente sul mento. Quando quest’ultimo gli disse di calmarsi, perché era solo un’audizione, Weathers rispose che, se l’avesse fatta con un attore e non una controfigura, sarebbe stato molto meglio. Il regista John G. Avildsen gli rivelò che Stallone era il protagonista e scrittore del film, a cui Weather rispose: “Beh, forse migliorerà”. Fu questa sua spacconeria, che aveva lo stesso Creed, a convincere Stallone che Weathers era il suo Apollo. L’attore, a sua volta, si ispirò al vero pugile Joe Frazier, rivale di Creed nel film e di Alì nella realtà. In ultimo, per interpretare Mickey, venne scelto Burgess Meredith, che costruì il suo personaggio studiando dei veri manager di pugilato, creandogli una voce e una postura immediatamente riconoscibile.

Siccome appunto il budget fu scarso, vennero poi improvvisati innumerevoli momenti che finirono nel montaggio finale di Rocky.

La scena dove Rocky, osservando il suo poster, nota che i colori dei pantaloncini sono sbagliati fu un errore di produzione che non poteva essere corretto, portando Stallone a improvvisare quelle battute. Anche il monologo in cui il pugile rifiuta l’offerta di Mickey di allenarlo è improvvisato, con Stallone che ammise di essere stato influenzato dalla puzza che proveniva dal bagno dell’appartamento in cui stavano girando. Queste, infatti, sono le battute:

“Solo adesso si fa vivo eh? Dieci anni per venire a casa mia, come mai? Adesso viene, come mai? Perché puzzava? Casa mia puzzava?”

Rocky

Il primo appuntamento di Rocky e Adriana alla pista di pattinaggio avrebbe dovuto avere 300 comparse, ma chiaramente i soldi non bastavano. Quando Stallone arrivò sul set e vide che ce n’era soltanto una, decise di girarlo lo stesso, rendendolo uno dei momenti più iconici dell’intera saga. Senza contare che la maggior parte delle scene in cui Rocky corre per Philadelphia, oltre a non essere sul copione, sono girate senza permessi, sia per il budget che per il tempo limitato delle riprese. Ma c’è di più. Non vennero usate comparse professioniste; di conseguenza, è vera la reazione di quei proprietari di bancarelle al mercato, che sembrano ammirare Rocky ma che in realtà erano ignari e perplessi nel vedere quest’uomo correre in su e in giù, mentre una camera a bordo di un furgone lo filma. È davvero successo che un commerciante gli lanciò un’arancia e il diretto interessato non poteva immaginarsi che sarebbe finito in un film.  

Fu proprio durante le scene degli allenamenti e delle corse che, in una delle sue prime volte, venne usata la steadicam, riuscendo a dare più dinamismo all’azione che, altrimenti, sarebbe stata difficile da avere in un film a basso costo.

È grazie a questa tecnica al tempo non ancora definitiva che abbiamo potuto vedere l’iconica scena della scalinata.

E il resto è storia. Rocky, partito con tutti gli sfavori del caso come il suo protagonista, fu un successo inaspettato. Questo perché ci rivediamo tutti in Rocky Balboa, l’emarginato, l’outsider, l’eterno secondo che riesce a coronare il suo sogno, nonostante le avversità. Il suo riscatto è il nostro. Non a caso incassò oltre 225 milioni di dollari nel mondo, venne candidato a 10 Oscar e ne vinse tre: film (il primo sportivo ad aggiudicarsi la statuetta), regia e montaggio. Stallone, la cui prima cosa che fece dopo l’ingaggio fu ricomprarsi il cane (è il Birillo che vediamo in Rocky), divenne uno dei volti più amati di Hollywood, diventando il terzo uomo nella storia, dopo Charlie Chaplin e Orson Welles, a ricevere la doppia nomination sia come attore che come sceneggiatore per lo stesso lungometraggio. E ancora, dopo 47 anni, stiamo parlando di un film cult anni ’70 la cui importanza e influenza non è mai diminuita nel tempo. E mai lo farà.