“Le disgrazie sono per le persone come te, ma per tutti quanti noi c’è il lavoro”
– Oliver
Attenzione: evita la lettura se non vuoi imbatterti in spoiler di Saltburn
Immagini speculari, riflessi nell’acqua, frammenti a lume di candela e ombre che danzano di fronte a un caminetto. La nuova pellicola diretta da Emerald Fennel mette da parte i colori pastello prediletti in Promising Young Woman per destreggiarsi, stavolta, su una tavolozza di chiaroscuri che, come lei stessa ha ammesso, richiamano l’arte di Caravaggio. L’anno è il 2006, quello delle serie tv da 22 episodi, del punk di Avril Lavigne e dei libri di Harry Potter. Quel periodo di mezzo che non era più primi anni Duemila ma che non si affacciava neppure sulla Gen Z dei giorni moderni. Eppure, sembra il 2006 solo di nome perché addentrandosi nel maniero di Saltburn ci sembra quasi di tornare ancora più indietro nel tempo, a un Medioevo dai rimandi boccaccieschi in cui cavalieri, giullari e dame di corte si ritrovano sotto un cocente sole estivo per lasciarsi andare a faccende di amore e follia.
In questa caldissima estate, dunque, un novello Mr. Ripley fa la sua comparsa all’orizzonte, decisamente più inquietante di quello interpretato da Matt Damon. Un ragazzo dagli occhi di ghiaccio e dalla mascella squadrata di nome Oliver Quick che entra silenziosamente e indisturbato nella vita degli sventurati Catton. Anche nel nome del protagonista un altro rimando non da poco è d’obbligo, sia esso voluto o meno, ed è nell’accostamento fonetico con il ben più sfortunato Oliver Twist di Charles Dickens che possiamo trovare un ulteriore motivo di drammatica ironia. Se il secondo era davvero un orfano senza un soldo, in cerca di una nuova vita, il primo invece è uno psicopatico sotto mentite spoglie, una volpe vestita da pecora che banchetta in mezzo ai lupi. Quatto quatto, Oliver si fa strada nel branco mimetizzandosi con gli altri e cogliendoli impreparati. Li sbrana senza lasciare segni e trionfante si sveste delle pelli finte indossate fino al momento della vittoria finale. Così, la volpe può mostrarsi nuda ballare per le stanze della fortezza espugnata senza sforzo, tronfia del suo successo mentre ciò che resta dei lupi è esposto come un premio.
Il film è letteratura che si combina a poesia, arte e musica in un’opera dalla natura cangiante e dalla bellezza ipnotica.
Saltburn si presenta dunque al mondo come i suoi protagonisti: bello fuori, marcio dentro. Un’opera di squisita fattura ma divorato al suo interno dalle tarme dell’ossessione e dalla scalata sociale. Chiacchieratissimo, adorato, detestato, poco importa “purché se ne parli” come avrebbe detto qualcuno che all’estetica ci teneva particolarmente. E così, conscio dei suoi avi, Saltburn si inserisce perfettamente in una tradizione cinematografica britannica (e non solo) che racconta di ricchezza, ostentazione e passione senza limiti. Ma questa non è affatto una storia d’amore. Oliver desidera Felix in maniera carnale, ferina e violenta, priva di quella delicatezza di sensi di cui i prosatori di un tempo amavano riempire le pagine delle loro opere. Non è il guardare dal lontano di Dante o le pene d’amore consumate nel segreto di Shakespeare e neppure quella passione vitale e ridanciana del Boccaccio. Questa è l’ossessione senza requie di una bestia feroce che vuole solo divorare ciò che si trova sul suo cammino.
Come il Diavolo, archetipo delle Tentazioni e delle Catene, Oliver incarna la carta dei tarocchi che simboleggia le forze oscure, le dipendenze, le illusioni e la schiavitù delle proprie paure e desideri. Associato alle tentazioni terrene, al desiderio eccessivo di beni materiali, potere o piaceri sensoriali, la carta rappresenta la lotta con le forze che ci legano a desideri superficiali e a dipendenze materiali. Una lotta che in Oliver non esiste. Completamente assuefatto ai suoi stessi istinti primordiali, Oliver veste una maschera dopo l’altra per ingannare il mondo attorno a sé. Le bugie, sapientemente costruite e impilate una sull’altra come carte da gioco, non crollano mai, neppure quando pensiamo che il ragazzo sia stato definitivamente smascherato. Nei tarocchi, il Diavolo tiene delle catene tra le mani, spesso attaccate ai collo di una figura umana. Queste catene rappresentano le limitazioni autoimposte, le dipendenze e le situazioni in cui ci sentiamo intrappolati ma nel caso di Oliver sarebbe più corretto dire che quelle catene sono le stesse invisibili con le quali ha imprigionato, uno dopo l’altro, i Catton. Mentre il piano a lungo termine della nostra volpe raggiunge il suo apice, assistiamo a una trasformazione fisica di Oliver e degli ambienti che lo circondano segno quasi dell’apocalisse imminente che sta per abbattersi sulla magione.
Oliver si insinua con silenziosa arroganza in un mondo idilliaco, increspando la superficie di quel lago perfetto. È come una crepa minuscola che piano piano si allarga fino a frantumare in mille pezzi uno specchio rimasto inalterato da secoli. È come una muffa letale che fa marcire ogni cosa che sfiora. Ed è anche un vampiro che si nutre del sangue, dei liquidi e della linfa vitale di coloro che lo circondano. In alcune delle scene espressivamente più potenti del film, Oliver rivela il mostro che si cela dentro di lui lasciandosi andare a perverse performance in cui gli unici, attoniti testimoni siamo noi.
Alla figura del Diavolo ecco dunque che si contrappone quella del Matto. Nei tarocchi è spesso raffigurato come un giovane viaggiatore con uno zaino, vestito in modo informale e talvolta con un piccolo cane al suo fianco, il precipizio o la scogliera di fronte a lui. In Saltburn, il Matto ha le fattezze statuarie e angeliche di Jacob Elordi. Il Matto rappresenta la fiducia assoluta nella vita, senza paura degli ostacoli o delle incertezze che si butta a capofitto nell’ignoto con il sorriso smagliante dell’ingenuità tipica dei bambini. Senza restrizioni e preconcetti, il Matto non teme il male ma gli sorride noncurante portandolo spesso alla sua stessa rovina. Il Matto/ Felix è libero da peso emotivo e pronto a vivere il presente. Come la carta che lo rappresenta anche il viziato ragazzo dal cuore d’oro affronta la vita con ingenuità credendo davvero nella bontà d’animo delle persone. Non mette mai in dubbio la parola di Oliver, credendo ciecamente alle sue dolci parole al veleno da arrivare addirittura a voltare le spalle alla sorella e al cugino.
L’ultima a cadere nella trappola di questa volpe dagli occhi glaciali è l’Imperatrice, uno dei simboli più potenti e ricchi di significato presenti negli Arcani Maggiori dei tarocchi. Essa rappresenta il principio femminile nella sua espressione più elevata e simbolizza la fertilità, la creatività, la protezione, e la forza della natura. L’Imperatrice è considerata la Grande Madre, un’archetipo di maternità e amore incondizionato. Simboleggia la forza e la protezione della figura materna, che offre conforto e sicurezza e l’amore verso tutto ciò che di bello e armonioso esiste al mondo. Alla pari di Lady Espleth. A metà tra una dama medievale e un’eroina tragica, lady Espleth soccombe di fronte alla bellezza di Oliver rimanendo per prima avviluppata nei suoi artigli e per ultima divorata in un sol boccone come il lupo della fiaba. Una volta consumata tutta Saltburn e i suoi abitanti, a Oliver non resta altro che compiere l’ultimo, estremo inganno, quello di farsi lasciare in eredità la magione proprio da colei che l’ha accolto in casa come una madre. L’Imperatrice dei tarocchi è spesso rappresentata in un ambiente naturale, circondata da fiori, alberi e animali, che enfatizzano la sua connessione con la natura e suggerisce un richiamo alla semplicità, all’autenticità e all’armonia con il mondo circostante. Allo stesso modo, la bella Espleth, interpretata da una divina Rosamund Pike, fiorisce a Saltburn tra le spighe di grano e le acque limpide del laghetto. Ma quando il labirinto viene macchiato del sangue del suo unico figli maschio, anche la dama del castello inizia a inaridire fino a consumarsi completamente.